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«Quindi, cosa ricordi, Jeon?»

Sentii chiaramente la sua voce pronunciare quelle parole, le sue labbra mimarle, e ciò mi fece alzare un sopracciglio, forse troppo in alto, tanto che per un momento quasi lo avvertii fuori dal mio viso.

Alzai lo sguardo dal giornale, un semplice quotidiano dalle lettere di un colore scuro, un colore dal tratto deciso - quale, se non il nero? -, impresse su una superficie ruvida, di un colore puro. Un colore a sé, che si rifiutava di farsi influenzare dagli altri: il bianco.
I miei occhi erano rimasti tutto il tempo incollati su quell'ammasso di fogli, cercando di prestare attenzione e informarmi su qualsiasi avvenimento che riguardasse il mio paese.

L'unica volta che distolsi lo sguardo, fu solo quando un cruciverba attirò la mia attenzione. Adoravo giochini come quelli, seppur sapessi quanto fossero stupidi. Non trovavo il senso di perdere secondi preziosi del proprio tempo nel cercare di riempire quei quadratini bianchi, ignorando, invece, quelli neri.
Giochi come quelli erano uno spreco di tempo, e seppur sapessi bene ciò, mi divertivo nel farli. Mi sentivo quasi fiero, quando scrivevo l'ultima lettera che completasse quel gigante rettangolo stracolmo di parole sconnesse fra loro.

E per quanto stupidi potessero essere, erano l'unica cosa che riuscì ad attirare il mio interesse, quel giorno.
Ero fondamentalmente stanco di leggere sempre le stesse cose: omicidi, delinquenti in fuga, polizia totalmente inutile che non sapeva neanche svolgere il proprio compito, rapine, gossip.
Tutta roba noiosa, e ancora, tuttora, non capisco perché un sedicenne come me passasse le giornate a leggere giornali su giornali, quando un normale ragazzino della mia età si sarebbe divertito nell'andare a rimorchiare ragazze. Magari a scuola, magari al parco, magari in un centro commerciale. Non che ve ne fossero chissà quanti, a quel periodo.

«Ricordare cosa, esattamente?»

Replicai, una volta aver alzato totalmente lo sguardo dal giornale, e aver rivolto i miei occhi curiosi alla sua figura. Un uomo sulla ventina, con qualche anno più di me, che mi scrutava attentamente, quasi contenessi nel mio corpo il segreto dell'immortalità, quest'ultima desiderata da.. sì, ne sono sicuro, il 99% del mondo. Io, chiaramente, facevo parte dell'1% che se ne fregava totalmente, e la morte la attendeva impazientemente.

Lo guardai allo stesso modo. Tanto che, nel giro di pochi secondi accavallai le gambe, come ero solito fare solo quando ero davvero interessato a un argomento. Anche se, di interessante, il ragazzo - sì, meglio chiamarlo così, dopotutto era davvero giovane -, non aveva un bel niente. Ma lo erano i suoi pensieri. Una cosa più interessante dell'altra.

Cercai di non far trasparire nessuna emozione, se non la curiosità allo stato puro, curiosità scatenata dalle sue parole.
Ricordare chi? Ricordare cosa? Non lo sapevo neanche io.

«Jungkook, sei qui da almeno due settimane. Non ti sei stancato di continuare a recitare questa farsa?»

Sentii chiaramente queste parole - ancora - essere pronunciate dalle tue labbra. Parole caratterizate da un timbro di voce quasi supplichevole.
Probabilmente, hei, Kim, avevi capito che con me non ci sarebbero state speranze, vero? Eri un illuso se speravi di ricavare qualche informazione da me.

«Non so di cosa voi stiate parlando.»

Risposi, non mostrando il minimo segno di esitazione. Anche, perché, non ve ne era. Solitamente non esitavo mai sul dire qualcosa. Ero diretto e conciso, odiavo le perdite di tempo.
E le cosa, è quasi ironica, visto il mio adorare i cruciverba, o giochini simili, e considerando che ci passassi la maggior parte della giornata nel farli.

Appena pronunciai quelle parole, sentii un sospiro, forse di amarezza - sapevo bene che, se l'interrogatorio non avesse dato frutti, avresti rischiato di essere licenziato, Kim -, fuoriuscire dalle labbra del più grande fra i due - lui, ovviamente -.
E devo dire che provai un po' di pena.

«Jungkook, per favore, parla. Sai benissimo che non uscirai da qua finché non ci racconterai cos'è successo in quella casa.»

Riportai il mio sguardo sul giornale, dopo aver udito ciò che l'altro avesse da dirmi.
Ormai era una cantilena che conoscevo a memoria.
Io non rispondevo alle domande, lui mi supplicava.
Io non rispondevo alle domande, lui mi supplicava.
Io non rispondevo alle domande, lui mi supplicava.
Due settimane di continui sforzi avevano stancato anche te, Seokjin, vero? Ti comprendo.

Sospirai, afferrando la penna che avevo precendentemente posato sul tavolo, l'unico tavolo, o meglio l'unico oggetto all'interno della stanza.
Tutto ciò che i miei occhi potevano scorgere era un tavolo, una porta, e delle manette al mio polso. Manette che non mi permettevano di compiere quasi nessun gesto, se non quello di scrivere.
Ma soprattutto, non mi permettevano di allontanarmi da quel tavolo, un tavolo che i miei occhi ispezionavano ogni singolo giorno. E di cui ormai erano stanchi.

Poi, onestamente, ancora adesso non capisco il perché di quelle manette.
Cosa si aspettavano? Che facessi il pazzo come tutta quella massa di deficienti che popolavano quel posto?
Non ero certo il tipo che si divincolava dalla presa di qualcuno, o che disubbidiva. Anzi, ero l'esatto opposto.
Non si fidavano, forse? Eppure ero un ragazzo di parola.

Mi sistemai meglio sulla sedia, riprendendo a leggere il giornale, mentre con la penna cerchiavo ogni singola "s" all'interno di qualsiasi parola.
Era un'abitudine strana, ne sono consapevole, ma mi divertiva fallo.
Lo facevo sempre quando avevo un giornale, un foglio con scritte su delle parole, o altro di simile.
E dopo che finivo il mio "lavoro", ammiravo fiero il foglio pieno di quei piccoli cerchi. Cerchi imperfetti, spesso fatti in modo da far intendere che a cerchiare quelle parole fosse un bimbo.

Ma mi fermai a metà del mio compito, quando una domanda uscì involontariamente dalle mie labbra.
Cosa che non era da me, la curiosità me la tenevo per me. Poiché, sapevo e ancora so benissimo che quest'ultima uccide, nella maggior parte dei casi, e più di una volta ne ho avuta una dimostrazione.
Ma, forse, era stato più forte di me.

«Ti fai davvero chiamare Pink Princess?»

La domanda, forse inopportuna, sembrò sorprendere il ragazzo dall'altra parte del tavolo.
Quest'ultimo aveva sgranato gli occhi, e potei notare anche un leggero rossore colorare le sue guance, rendendole rosse come due pomodori.
Una domanda così sciocca era riuscita a farlo imbarazzare? Interessante anche ciò.

«Di cosa stai.. parlando..?»

Rispose l'agente, alla mia domanda, seppur non fosse proprio una risposta. Ma bensì, un'altra domanda.
Oh, non ti avevano mai insegnato a non rispondere a una domanda con un'altra domanda, Kim? Deludente da parte tua.

«Senti.. non credi di essere.. mh, insomma, quello?»

Chiesi ancora una volta, avvicinando un dito al lobo del mio orecchio, a cui diedi piccoli colpetti, così che il maggiore potesse capire ciò che io intendessi.
Eppure, mi sembrava strano.
Essere gay, lì, non era affatto una buona cosa. Si poteva finire all'altro mondo, e per un poliziotto del suo calibro sarebbe stato scandaloso.

Però, mi dava l'impressione di esserlo. Anche nei modi di fare, o da come guardava il suo superiore. Quella testa calva, o meglio, non proprio.
Com'è che si chiamava? Ah, sì, Namjoon. La palla da biliardo che non faceva altro se non parlare di porno o quant'altro con i suoi colleghi.
Eh già, avevo notato benissimo gli sguardi del ragazzo verso quell'uomo. Un uomo poco affascinante, a dirla tutta.

«Beh, se voi lo foste sarebbe scandaloso, non crede? E poi.. non sarà mica attratto da quello scimmione, vero? Spero che almeno lei abbia dei gusti sopraffini.»

Continuai, fregandomene ben poco di cosa stessi dicendo, o delle conseguenze che presto sarebbero apparse contro il sottoscritto.
Ero, forse per la prima volta, decisamente curioso.
E questa curiosità era stata scatenata dalla mente del castano, che non aveva fatto altro se non pensare per tutto il tempo alla reazione dell'agente Namjoon, all'assaggio del cibo che lui stesso aveva preparato.

«Jeon, l-la smetta subito!»

Cosa fare?
-Continua a stuzzicare.
-Ritorna a leggere.

ᴘʀɪsᴏɴᴇʀ ₈₀₅ | ᴛᴀᴇᴋᴏᴏᴋ.Where stories live. Discover now