Dressrosa

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Di morte. Di cosa potevano mai parlare gli articoli che leggeva il Chirurgo della Morte se non di morte? Risi tra me e me nel constatarlo, prima di chiudere gli occhi e addormentarmi, sfinita.

Quello che mi risvegliò fu un fastidioso suono. Qualcuno urlava. Prima di aprire gli occhi, feci mente locale su chi potesse essere. Forse era il cuoco che urlava allo spadaccino, forse era il cecchino che si stava lamentando per qualcosa o forse era il loro capitano che era eccitato per chissà quale motivo. Tuttavia quelle sembravano grida diverse, erano grida...di dolore. Un dolore molto profondo, forse perfino disperazione.
Aprii gli occhi e mi ci volle meno di mezzo secondo per capire che non mi trovavo nel letto in cui mi ero addormentata. Intorno a me era tutto grigio e sotto di me il terreno era duro, segno che dovevo trovarmi su un pavimento. Mi guardai intorno, sembrava un luogo familiare, fatto interamente di pietra. Dove lo avevo già visto? All'improvviso, una nuvola di polvere mi investì e io dovetti portarmi una mano alla bocca per non tossire e socchiudere gli occhi, che già iniziavano a lacrimare. Quando svanì, vidi che non c'erano più né pareti né tetto e tutt'intorno a me vi erano macerie. Le urla continuavano. Spostai il mio sguardo al centro della stanza. Fu allora che realizzai. Li vidi e capii immediatamente. Ero...a Dressrosa!?
Con una velocità sorprendente mi misi in piedi, per poi rimanere paralizzata, indecisa sul da farsi. Una figura imponente, con un sorriso sadico stampato sulla faccia, ne sovrastava un'altra, più esile, l'espressione sofferente e l'unico braccio a reggersi l'altra spalla. Non poteva essere vero. Non potevo trovarmi lì. E soprattutto non in quel momento della battaglia. Da sotto i miei piedi provenivano strani suoni e il terreno vibrava, segno che Bellamy stava molleggiando in giro, deciso ad uccidere Rufy. Non sapevo che fare. Non sapevo se dovevo avvicinarmi a Law che era a terra agonizzante e dargli una mano – o un braccio in questo caso – o rimanere lì dov'ero, fuori dal campo visivo di Doflamingo e relativamente al sicuro. Ero terrorizzata, paralizzata dalla paura.
La scena che vidi dopo mi mise in allarme. Il fenicottero tirò fuori repentino la pistola e il chirurgo, altrettanto repentinamente scattò in ginocchio imprecando. Con il pollice il biondo alzò il cane e mirò. Trattenni il fiato, in preda al panico.
«No! Law!» gridai con tutto il fiato che avevo in corpo, agendo d'impulso. Mi portai una mano alla bocca e sgranai gli occhi mentre il terrore si impossessava di me. Non sapevo se potevano vedermi o sentirmi. Non sapevo niente. Non sapevo neanche perché lo avevo fatto. Insomma, sapevo come andava a finire. Sapevo che Rufy da un momento all'altro sarebbe arrivato e avrebbe salvato la situazione, come sempre. Ma avevo strillato senza pensarci. Perché? Perché avevo agito così sconsideratamente proprio in quell'occasione, io che non facevo mai niente di azzardato? Oltretutto, era probabile che Law nemmeno si ricordasse di me.
Tre teste si girarono verso di me, ognuna con un'espressione diversa sul volto. Il mio cuore perse un battito. Due. Tre. Per poi riprendere al triplo della velocità.
«Bueh eh eh e questa bella ragazzina chi è?» fece una voce. Alla mia destra una mano viscida si allungò in direzione della mia guancia.
«Non mi toccare» sibilai con un filo di voce – anche se mi uscì più come una supplica – facendo un passo indietro. L'unico che riuscii a fare. Data la situazione, infatti, mi meravigliai che le gambe mi reggessero ancora o che il cuore non mi fosse ancora scoppiato.
«Sei un'amichetta di Law?» mi chiese di nuovo lo scagnozzo di Doflamingo, avanzando sempre verso di me.
«Non. Mi. Toccare.» gli imposi, un po' più decisa stavolta, ma con la paura fissa negli occhi. Per fortuna in quel momento ci fu un gran fracasso e qualcosa volò dal basso verso l'alto, ricadendo poi inerme a terra, come un manichino. E proprio di un manichino si trattava, visto che era una copia di fili di Doflamingo.
«Mingo! Libera Bellamy altrimenti morirà!» esclamò Rufy, sotto di noi.
Approfittai di quel momento di distrazione generale per dirigermi a passo svelto verso il chirurgo, ancora mezzo agonizzante.
«Eh? Camilla? Che ci fai qui?» mi domandò stupito Cappello di Paglia notando la mia figura, ora in bella vista in mezzo alla stanza. Mi fermai e mi voltai a guardarlo, confusa e spaventata. Se non altro, la sua era una faccia familiare all'interno di quella situazione caotica e surreale. E mi aveva chiamato per nome, per cui sapeva chi ero. Si ricordava di conoscermi. Doveva essere così anche per l'altro moro.
Non ci fu bisogno di dargli una risposta – che non avrei comunque saputo dargli – perché Bellamy era passato al contrattacco.
Il pavimento tremò di nuovo ed io approfittai dell'ulteriore momento di distrazione per dirigermi a passo svelto verso Traffy. In quel momento, era lui la mia unica preoccupazione, tra le mille altre che avrei potuto avere. Non sapevo perché, era così e basta.

"Scappa Law" cercai di dirgli con lo sguardo, ma, seppure in fin di vita, i suoi occhi rimanevano fermi. Era disposto a morire.
«Ti prego...mettiti in salvo» sussurrai in sua direzione. Era come se tutto fosse sparito. Eppure lo sapevo come sarebbe andata a finire. Lui si sarebbe salvato e sarebbe ritornato tutto intero, per poi salpare verso la prossima isola, felice e soddisfatto. Finalmente avrebbe ottenuto la sua vendetta, quella che bramava da tredici anni. Tutto sarebbe andato bene. Ma in quel momento era come se me lo fossi dimenticato. Era come se nemmeno il fenicottero, Trèbol e Rufy fossero esistiti. Volevo solo che Law si salvasse. Almeno finché non udii una risata che mi gelò il sangue.
«Fufufu. Non so chi tu sia ma mi stai rendendo il gioco ancora più divertente» affermò compiaciuto il Demone Celeste. Dopodiché si passò la lingua sulle labbra. Io tremavo come una foglia, lì accanto al dottore. Eravamo più indifesi che mai. Ma perché lo avevo fatto? Perché avevo fatto una tale pazzia? E soprattutto, come diavolo avevo fatto a trovarmi lì!?
«Devi essere un'amica di questo traditore qui. In tal caso, vedrò di trattarti con delicatezza. Che ne dici, Law?» propose il biondo. Ghignò, di un sorriso che non mi piacque molto, oltre al fatto che non prometteva nulla di buono. Incurvai le sopracciglia, assumendo un'espressione molto angosciata. Dal piano di sotto provennero ancora suoni e urli ovattati, che distrassero i due membri della Family.
«Perché lo hai fatto!?» gridò il moro. Sembrava quasi che avesse perso tutta la sua lucidità.
«Io...» scossi la testa, sul punto di piangere «non...non lo so».
Law fece quello che mi parve uno sbuffo e recuperò la sua compostezza.
«D'accordo, ma ora devi andartene» mi disse. Non capii se me lo stava ordinando o consigliando. Ad ogni modo, ero d'accordo con lui.
«Oh sì, decisamente. Tu però devi venire con me, anche perché non so come accidenti io ci sia finita qui e di conseguenza non so come andarmene» lo sollecitai, appellandomi al suo buon senso.
«No.» tuonò, deciso. Abbandonai la testa da un lato, sconsolata.
«Traffy, ti prego! Morirai!» gli urlai.
«Non è affar tuo.» dichiarò con sprezzo.
«Per favore andiamo insie...» provai a dire, tuttavia non riuscì a finire la frase, perché dalla mia gola uscì un verso pacato di dolore. Caddi in ginocchio. La gamba e il braccio mi bruciavano tantissimo. Doflamingo era tornato con gli occhi puntati sulle sue prede e mi aveva lanciato uno dei suoi fili. Per fortuna mi aveva colpito solo di striscio la gamba e il braccio destro. Faceva un male cane uguale però. I suoi fili, del resto, erano talmente affilati che potevano tagliare senza sforzo perfino un meteorite.
«Merda» sibilò Law.
«Fufufu. Due colombelle spaventate in gabbia» cantilenò allegro, facendomi rabbrividire.
Spostò lo sguardo verso di me – o almeno così mi parve visto che con quegli occhiali, dei suoi occhi non ce n'era nemmeno l'ombra – e sorrise. Io avevo lo sguardo vitreo di chi si è rassegnato all'imminente morte, tenendomi la ferita sul braccio con l'altra mano. In cuor mio speravo solo di non soffrire, ma dato il sadismo per cui è famoso il flottaro, non c'era da aspettarsi nulla di buono.
All'improvviso il mio corpo si mosse. Da solo. E anche quello di Law.
"No. No, no, no, no, no" pensai, mentre il panico si impossessava per l'ennesima volta di me. Tentai di divincolarmi dalla sua "presa", ma non ci fu nulla da fare. Era una lotta persa in partenza, comunque la si mettesse.
«Quando si dice prendere due piccioni con una fava. Fufufu» si pronunciò, soddisfatto, continuando a muovere sapientemente le dita.
«Bastardo!» gridò il chirurgo al suo interlocutore, che però era del tutto incurante di ciò che gli accadeva attorno, perché era troppo impegnato ad orchestrare il suo spettacolo. Infatti, non ci volle molto perché iniziasse il Primo Atto.

Un altro urlo sommesso partì dalla mia gola. Se avessi potuto guardare in basso, avrei visto la nodachi del capitano dei pirati Heart conficcata nel mio fianco sinistro. Strano a dirsi, ma mi fece meno male dei fili di Doflamingo. Chiusi gli occhi e cercai di fare resistenza al dolore. Non potevo vedere la faccia del chirurgo, né quella del flottaro maledetto. Avrei voluto piangere, avrei voluto scoppiare in lacrime, ma per qualche motivo non lo feci. Ero paralizzata, sia fisicamente che mentalmente. Guardai il cielo, l'unica cosa che il biondo mi permetteva di vedere. Ricordo di aver pensato che era così terso, così limpido, così bello e distante. Mi dava una sensazione di pace, nonostante fosse coperto in parte dai fili che costituivano la cosiddetta gabbia per uccelli. Quasi mi faceva scordare del dolore. Il cielo. Il posto dove avevo sempre voluto essere. Chissà che stavolta non ci sarei finita per davvero. Tuttavia, all'improvviso qualcosa mi riportò alla cruda realtà.
«Non ti preoccupare cara, avrai la tua vendetta» il Joker ghignò. Mi passò una pistola, che io fui costretta a prendere e a puntare alla testa di Law, ora in ginocchio a pochi metri da me.
«No...» sussurrai disperata. A quel punto, due lacrime rigarono il mio viso. Non potevo girare la testa e guardare altrove, dovevo per forza rimanere a guardarlo negli occhi. Occhi che nonostante tutto non mostravano segni di paura. O di pentimento.
«Non temere, non lo ucciderai» mi rassicurò – ammesso che si potesse usare tale verbo – il biondo «Questo moccioso ha la pelle dura» sputò poi, con un velo di disprezzo.
Sospirai. Prima o dopo, quel giorno sarei morta comunque. E se dovevo morire, volevo morire lasciando un segno.

Non avevo la forza per trattenermi dal piangere. Stavo per ammazzare una persona a cui tenevo, senza che avessi potuto fare niente per evitarlo. Al diavolo la dignità, al diavolo il contegno. L'importante era che riuscissi a dire ciò che volevo dire. Gettai un'occhiata carica di disprezzo verso il Demone Celeste.
«Non sarò io a ucciderlo e lo sai anche tu. La volontà della D. non si arresterà mai.» affermai con convinzione, trovando la forza per parlare tra un singhiozzo e l'altro. Ora so che non avrei potuto dire una frase peggiore. Non sapevo nemmeno come mi era venuta fuori in un momento come quello. Sapevo solo che dovevo lasciar uscire quelle parole dalla mia bocca.

Lost boys - ONE PIECEWhere stories live. Discover now