Capitolo 65: Schiavitù - I

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– Credi che quelle pietre si solleveranno da sole, piccolo idiota? - lo schernì Wirn, il demone con la frusta.

Lauviah gemette quando avvertì la morsa della sferza sulla schiena. I sassi che era riuscito a sollevare gli caddero, facendogli guadagnare due frustate supplementari che lo lasciarono riverso a terra, mezzo svenuto.

Il demone se la rise di gusto, rifilandogli un calcio fra le costole.

– Guardate, signori. L'erede di Raven. - gridò, strappando delle risate agli altri demoni che lavoravano nelle cave di pietra come schiavi.

Lauviah avvertì il suo lurido piede sulla propria faccia, ma non reagì, perché sarebbe servito solo a farlo arrabbiare di più.

– Inutile verme. Non riesci nemmeno a fare il tuo dovere. - disse Wirn, maligno, continuando a stuzzicarlo.

Dato che Lauviah non dava cenno di ribellione finì per stufarsi e andò a tormentare i demoni che prima avevano riso con lui.

– Brutti scansafatiche, tornate al lavoro invece di sghignazzare come cani! - ululò, facendo schioccare la frusta a destra e a manca.

Ci furono dei gemiti di dolore, mentre gli altri riprendevano il lavoro. Lauviah si alzò in piedi, le gambe che tremavano, e raccolse le pietre che gli erano cadute, mettendole nel cesto sulla schiena di un demone alto cinque metri che attendeva, seduto poco lontano, che il carico fosse pieno.

Lauviah avrebbe voluto sedersi per riposare , ma temeva troppo la frusta di Wirn per farlo. La schiena gli pulsava e sangue misto a sudore gli colava sulla pelle, ma cercò di concentrarsi sul proprio lavoro: doveva solo raccogliere le pietre che gli altri picconavano coi loro artigli e portarle dal demone col cesto. Il problema era che erano talmente pesanti da spezzargli la spina dorsale e le sue braccia non riuscivano a reggerle, troppo provate dallo sforzo. Le rocce gli finivano anche sui piedi, ormai ricoperti di lividi. Era appena il terzo giorno che si trovava nella dimensione demoniaca, eppure gli sembrava fosse passata un'eternità.

Il primo giorno era stato il peggiore. Appena arrivati, Lucius lo aveva fatto spogliare dei suoi vestiti e lo aveva marchiato a fuoco fra le scapole con un cerchio di metallo rovente per segnalare che lui ora era una sua proprietà. Dopodiché l'aveva lasciato in compagnia dei suoi amici demoni, che gli avevano sputato addosso e tirato pietre e qualsiasi altra cosa avessero sottomano. La festa era andata avanti finché Lucius non aveva realizzato che l'avrebbero ucciso, continuando di quel passo. Aveva dato ordine a Lilith di sanare le sue ferite – non tutte, solo quelle che avrebbero potuto mettere a rischio la sua vita – e così Lauviah aveva avuto modo di restare un po' solo con lei.

– Un pazzo. Sei un pazzo. - gli aveva detto Lilith, mentre gli massaggiava la schiena ricoperta di tagli e gli spalmava un unguento sulle ustioni. - Ti farà subire l'inferno. Questo è solo l'inizio.

Lauviah aveva provato la sensazione di morire dentro all'idea di avere un'eternità del genere davanti a sè, ma ormai aveva dato la sua parola. Se fosse venuto meno alla promessa, sarebbe scoppiata la guerra. E lui non poteva permetterlo: i pochi Immortali rimasti non ce l'avrebbero mai fatta contro un attacco di Lucius.

– Vuole mandarti alle cave di pietra, assieme ai traditori e ai demoni più deboli, che secondo mio padre sono un peso per la società. Là non ci sarà nessuno a proteggerti, l'unico limite che hanno a quello che possono farti è il divieto di ucciderti. Ti prego, Teddy, scappa. Ti aiuterò io. Scappa e non tornare mai più.

– Lo vorrei tanto, ma non posso.

Alla sua risposta, Lilith si era fatta dura e distante, e aveva ripreso a curarlo senza aggiungere un'altra parola. Era arrabbiata con lui e allo stesso tempo si sentiva a pezzi perché non poteva fare niente per salvarlo da quel destino di tortura.

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