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SHAWN

Casa.

Una parola, quattro lettere.

Un semplice e banale sostantivo, che però, per me, rappresenta tutto il mio mondo.
Quante volte la diamo per scontata?
Sembra qualcosa di così banale, eppure non lo è affatto.
Quando parlo di casa, non intendo soltanto il significato letterale, e quindi l'edificio in quanto tale, grande o piccolo poco importa, in cui ognuno di noi vive insieme ai propri familiari.
No, io intendo anche e soprattutto il concetto più ampio, che ingloba i propri amici, la propria scuola e i propri posti del cuore. Insomma, tutto ciò che per una persona conta, tutto ciò che permette a un individuo di sentirsi bene e al sicuro. Sapere di avere delle basi solide, su cui fare riferimento e da cui andare ogni volta che qualcosa non va.

Ecco, quante volte diamo per scontato tutto ciò?

Semplice: fin troppe.

A causa del lavoro di mio padre, ho perso il conto delle volte in cui ci siamo dovuti trasferire, delle volte in cui ho dovuto cambiare casa, scuola e amici. Delle volte in cui ho dovuto dire addio a posti in cui stavo iniziando a mettere radici e a costruire dei ricordi.
È anche vero che qualcuno potrebbe dire che i ricordi, una volta nati, creati e voluti, rimangono, a prescindere da tutto.

E in parte mi trovo anche d'accordo.

Tuttavia crescere senza avere un porto sicuro, ma soprattutto delle certezze, fa schifo. Trasferirsi almeno una volta l'anno, fa schifo.
E dire che fin da piccolo ho sempre amato viaggiare e vedere posti nuovi. Ma quando sei costretto a dover rivoluzionare la tua vita per sette volte, fin dall'età di dieci anni, finisci presto per cambiare presto idea.
Ed è così che, grazie a questo ripetitivo schema, ho potuto visitare una buona parte dell'America, perché ogni volta che mio padre veniva trasferito, oppure accettava un incarico, veniva spedito, neanche fosse un pacco postale, da un paese all'altro, che neanche a farlo apposta, finivano sempre per essere agli antipodi.

Penso sia nato dopo il secondo trasloco questo mio lato ribelle e parecchio inquieto. Prima vedevo mio padre come una sorte di eroe, come un vero e proprio punto di riferimento, a cui rivolgermi quando avevo bisogno e di cui essere immensamente fiero.

Insomma, come potevo non esserlo?

Mio padre era un militare e salvava vite umane, e io non perdevo occasione per dirlo a tutti.
Lo amavo immensamente e pensavo che questo amore per lui sarebbe rimasto per sempre. Invece mi sbagliavo di grosso, perché più lui faceva carriera, impegnato prima in missioni sul campo e poi nelle più alte sfere del potere, più si dimenticava di me e di mia madre prima, per poi fare lo stesso con i miei fratellini.

Per tanto tempo sono stato in conflitto con me stesso, perché se da una parte continuavo a volergli molto bene, dall'altro iniziavo a detestarlo per le sue assenze, il suo silenzio e la sua tendenza a volersi comportare da militare anche nelle rare volte in cui era a casa.
Ero piccolo, ma nonostante ciò, capivo benissimo la situazione e i suoi doveri nei confronti del paese. Capivo il suo senso del dovere, la passione che metteva nel suo lavoro e la grinta con cui spronava me a fare lo stesso per ciò che amavo. Lo capivo quando ero piccolo e continuo a farlo ancora adesso, che di anni ne ho ormai diciassette.

Non è tutto, io lo rispetto.
Lo rispetto profondamente perché ogni giorno mette la sua vita al servizio dell'America e di tutti i suoi abitanti, me compreso.
Ma nonostante ciò, non riesco a perdonargli il fatto che ha smesso di fare il padre anni fa. Padre non e' soltanto chi porta a casa lo stipendio.
Padre e' chi ti ama, ti segue e ti sgrida quando sbagli.
Padre e' chi, con la presenza, ti guida nel difficile percorso che è la crescita e ti sorregge quando cadi, oppure ti insegna a rialzarti.
Di certo non lo è, o almeno, non per me, chi si assenta per settimane e settimane, senza quasi mai chiamare, fregandosene di tutto, a eccezione delle apparenze e del rispetto delle sue dannate regole.
Se tornavo a casa con un occhio nero, non si chiedeva mai il perché.
Mi sgridava perché secondo lui avrei dovuto difendermi. Se portavo a casa una nota, non si fermava mai a chiedermi il motivo.
Mi sgridava e basta. Se tornavo a casa ubriaco e mi vedeva arrabbiato, si limitava a urlarmi contro, senza tentare di scoprire i motivi che stavano dietro a questo mio carattere sempre più brutto.

CAN'T STOP THE FEELING (PRESTO CARTACEO)Where stories live. Discover now