Capitolo 1. L'inizio di tutto.

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Nel corso della mia vita ho partecipato a tante situazioni che mi hanno portata ad essere quella che oggi sono.
Sono caduta mille volte, mi sono fatta male eppure ho cercato sempre di rialzarmi, curandomi da sola le ferite.
È stato difficile tornare a guardare la luce quando purtroppo sono riuscita a toccare il fondo più buio che potesse esistere.
Il mondo d'oggi non capirà mai quanto le persone possano diventare cattive ed egoiste, non capirà mai quando sarà il momento di smetterla e di cercare di vivere come persone civili e non come soldati ognuno in guerra per il proprio ego.
E adesso mi ritrovo qua a scrivere di me, di quello che mi è successo in questi 19 anni di alti e bassi, di maschere e armature, di colpi bassi e lacrime, di sorrisi finti e pensieri tristi.

Ero una bambina, nonostante i miei chili di troppo, ero una bambina.
Nonostante la paura della gente, ero una bambina.
Nonostante le discriminazioni, ero una bambina.
Nonostante i pugni e i calci, ero una bambina.
Nonostante le dita puntate contro, ero una bambina.
Sola, ma pur sempre una bambina.
Se potessi, riscriverei la mia vita in un modo migliore, cancellerei tutta la serie di ricordi orribili che mi tormentano da anni, come piccoli demoni posati sulle mie spalle come macigni.
Cancellerei tutte le forme di bullismo che ho subito, cancellerei tutte le lacrime che sono cadute sulle mie guance mentre correndo, andavo via da tutto ciò che mi faceva stare male.
Il problema è che non posso.
Avevo i miei sogni nel cassetto, ovvero, quello di diventare una cantante. Amavo cantare come se fosse l'unica cosa che avrei voluto fare nella mia vita. Era il mio obiettivo, forse l'unica cosa in ci rifugiavo la mia totale sicurezza e le mie piccole speranze.
Amavo cantare perché non pensavo a nulla, solo riuscire ad intonare la canzone che volevo imparare.
Poi sono arrivate le scuole medie, dove si sa, nuove emozioni, nuovi amici e nuova vita ti aspettano all'ingresso.
Sono cominciati i miei tre anni di lezioni di canto, fantastici. Ricordo l'emozione ai miei saggi, quando cantai davanti a tutte quelle persone avevo il cuore in gola, l'emozione più bella che possa mai aver vissuto.
E poi c'era la passione che ereditai da mio padre, quella del barista.
Si, scontata come cosa, ma guardare mio padre fare il suo lavoro con tutta la devozione e tutto l'amore che ci metteva, mi fece appassionare. Mi fece vedere come si faceva il caffè a sei anni, mi spiegò che anche in un semplice caffè ci devi sempre mettere del tuo, devi sempre regalare un sorriso alla persona a cui stai dando il caffè, perché il caffè è qualcosa che aiuta a cominciare la giornata e va servito con cortesia e cordialità.
Ricordo che non me ne usciva neanche uno fatto bene e mio papà era sempre pronto a dirmi: "Puoi fare di meglio."
Ed io ho sempre cercato di fare di meglio.

In terza media è cominciato tutto.
Ho riperso la rotta della mia nave, ho perso la stabilità. Non stavo più bene.
Guardavo gli altri bambini avere tutto, io, che a malapena avevo cibo, libri di scuola e vestiti, non potevo permettermi tutto ciò che avevano loro. Mio papà lavorava per portare avanti tre figli e mia mamma cercava di contribuire sempre. Non mi faceva mai mancare nulla la mia mamma, in primis, l'amore e l'affetto.
L'affitto di casa costava tanto, troppo per lo stipendio del mio papà.
La credenza era sempre vuota, e guardavo l'orologio anche se non avevo idea di come si leggesse, convinta che un giorno saremmo stati meglio.
Mio papà aveva fatto una cosa brutta e finì sul giornale.
Era difficile portare avanti una famiglia, con pochi soldi al mese.
Io non lo giudicai mai, continuai a volergli bene sempre e comunque.
Ma il giorno dopo, i ragazzini della mia scuola già sapevano la notizia.
Misi il piede all'interno dell'atrio della scuola, non l'avessi mai fatto.
Centinaia di occhi che mi fissavano e di bocche che sputavano veleno, io ero sola. Non riuscivo a sopportare tutto quel dolore.
Mi ricordo che mi sono seduta sul muretto fuori dal cancello e mi sono messa a piangere. Non volevo andare più a scuola.
Non volevo più essere presa in giro.
E non avevo la forza mentale che ho oggi di reggere le critiche.
Alla fine entrai e i miei compagni di classe mi riempirono di domande e giudicarono, io non gli diedi neanche una risposta e non li ascoltai.
E fu così che cominciarono i miei attacchi di panico, la mia paura della gente, l'insicurezza, e la poca voglia di raggiungere un obbiettivo.
Fu li che cominciai a maledire il giorno in cui misi piede nel mondo.
Fu li che il mio cuore si spezzò in minuscoli frammenti che lacerarono anche la mia anima.

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