Segni Particolari

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Schiena accolta da vetro opaco, per metà spaccato e mal rattoppato da nastro adesivo per imballaggi. La porta del bagno profanata da un pugno mal centrato in una delle tante liti in cui era stato vittima e mai carnefice. Ci sgattaiolava dentro ogni sera dopo cena, Mario.
Affannava in preda alla paura di incappare negli abitanti di quella casa con cui condivideva tutto, tranne il suo piccolo segreto.
Fissava la sua immagine allo specchio, lo stesso riflesso in cui da bambino, si perderva a fantasticare su come sarebbe voluto essere, rimpiangendo ciò che invece era realmente. Costretto ad arrampicarsi goffamente sul lavabo incrostato di calcare per potersi specchiare.
Sulle mensole a lato, il rasoio del padre lo derideva da anni. Si radeva, questo sì, ma non per sentirsi più uomo di quanto fosse stato alla nascita.
Dall'altra, i trucchi della madre gli sorridevano anche se non potevano farlo, per tutte le volte che si era ridotto ad una maschera pur di emularla.

Stretti tra le mani, c'erano appallottolati i suoi peccati di ogni notte. Li difendeva come non aveva mai fatto per niente che lo riguardasse in prima persona.
Una shirt bianca tagliata malamente con le forbici da cucina, resa tale per permettere di mettere in mostra l'ombelico.
Degli jeans logori di lavaggi, consumati più dal tempo che per averli indossati, erano diventati il suo guscio dove rinchiudere lo sbaglio della natura: più intenti a mostrare, che a protegge dal freddo. Modellati a sua immagine e piacimento, squarciati all'altezza del cavallo, lo rendevano molto più appetibile e meno virile.
Calze a rete nere con troppi fori fatti dalle sue dita poco femminili, fasciavano le gambe rendendole disgustose agli occhi, ma appetibili al tatto; e di tanto in tanto qualche strappo non era stato lui a causarlo.

Dei sandali in vernice rossa erano stati l'unico acquisto più arduo da fare. Non era facile trovarne in giro se portavi un quarantasei di piede.
Orecchini a cerchio in bigiotteria scadente, prendevano possesso dei lobi arrivando quasi a sfiorargli le spalle, causandogli non poche allergie per il troppo nichel contenente.
E poi il tocco finale: lo stick di rossetto rosso fuoco, nascosto negli slip per non farlo trovare alla madre, era il particolare a cui non poteva di certo rinunciare, per sentirsi donna a tutti gli effetti.

Non era bella, Mario.
Il viso scarno peculiarità ereditaria, veniva riempito dai neri capelli lunghi un po' mossi. Gli piaceva portarli su un lato dandogli più volume di quel che avessero, sempre meglio così che portarli corti come i fratelli.
Aspettava come un ladro tutte le notti che la casa si addormentasse insieme ai suoi ospiti, per uscire in strada sotto le luci angosciose dei lampioni.
Il quartiere fatiscente in cui abitava non era da meno, ma non poteva correre il rischio di incontrare qualcuno che lo riconoscesse. Come avrebbe giustificato ai suoi genitori ciò che in fondo sospettavano, ma che non avevano il coraggio di chiedere?

A quel padre padrone, uomo tutto d'un pezzo del profondo sud con tutti i suoi tabù e preconcetti radicati dentro come erbacce. Non sarebbe mai andata giù l'idea di avere un omosessuale in casa, figurarsi come figlio. Soprattutto se all'anagrafe ne aveva dichiarati nati cinque, tutti maschi. Cinque tranne uno, l'ultimo. Perché che Mario Natale, nato maschio il dieci gennaio del 1975, e che in realtà si sentisse femmina nell'anima e un po' meno nel corpo, sottoponendosi alla sua metamorfosi esistenziale ogni notte, nessuno lo doveva sapere.
Era Mario per tutti, alla luce del sole; ma dopo il tramonto, dal buio del pianerottolo, per tutti i due piani di scale fino all'angolo della strada del quartiere San Carlo, si vestiva di ciò che era sempre stato, senza doversi giustificare con nessuno.

Camminava tra bidoni di immondizia strapieni, i sacchetti vomitati fuori puntualmente schiacciati dalle auto di passaggio, rendevano quel posto la giusta discarica a cielo aperto che rifletteva la vita di chi ci abitava.
Il degrado più totale avvolgeva i cupi e stretti vicoli di una Sicilia abbandonata. Quando nasci nel nulla, è fin troppo normale sentirsi niente.
Mario questo lo sapeva bene, anche se preferiva non darlo a vedere.
I gruppetti di coetanei rollavano spinelli seduti sui sedili delle loro Vespa 50 truccate. Si passavano lo sballo senza curarsi dei passanti, puntando le prossime vittime degli scippi di borsette come fossero state scelte giustificate e non reati illeciti.
Avanzava con passo svelto nei pressi di quei raduni carcerari, e conosceva bene ognuno di quei piccoli criminali, ma preferiva non averci a che fare.

Lividi CerebraliWhere stories live. Discover now