Black Note

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Uno straccio sporco caduto da chissà quanti metri di altezza, sulla soglia di un palazzo: eccomi qui, raccolta per l'ennesima volta come immondizia messa fuori apposta, in attesa della nettezza urbana. Ma i sacchetti dell'immondizia sono inanimati, e allora com'è che ogni cinque minuti scarsi, mi rialzo per prendere a calci e pugni questo stupido portone, imprecando in qualsiasi idioma esista, per avere un briciolo di soddisfazione?

Sbattuta fuori casa una sera e l'altra pure, il tutto a piacimento del fegato di mio padre; se troppo vuoto mi lascia stare. Se mezzo pieno, mi indica senza molto garbo le scale.
Mia madre che aspetta vada in coma etilico, vestito pari pari la mattina dopo uguale alla sera prima. Oppure, se il suo Dio mi benedice con piscio al posto di incenso, vengo accolta dentro sgattaiolando come una ladra, mentre lui è chino sul cesso a vomitare anche l'anima; sempre se esiste e se lui ne possiede una.

Il tizio strano che abita a pochi metri di distanza dal mio palazzo, viene fuori dalla sua tana vestito sempre alla stessa maniera.
Di solito lo vedo solo all'andata; se mi va male, al ritorno mi trova ancora qui che sto dormendo sul marmo dell'entrata.
Che moda strana che indossa: sempre in nero, capelli rasati a zero, felpa con cappuccio rigorosamente alzato dopo pochi secondi, e mani in tasca che non vengono fuori nemmeno per un saluto. Sembra si nasconda dalla testa ai piedi. Beato lui che ci riesce, io mi sento sempre nuda come un verme anche in pieno inverno.
Passa dritto come se lì, io, nemmeno ci fossi. Che novità, sono invisibile ai miei occhi, figuriamoci ai suoi.

Un colpo di tosse e sobbalzo dal sonno, ancora qui, con i piedi atrofizzati e la bava alla bocca.
Notte fonda e ritorna al nascondiglio che immagino chiami casa, la mia è una galera, solo che al posto dei domiciliari ho il manto stradale.
Si gira a guardarmi prima di entrare come se volesse dirmi "sei ancora qui ad aspettare e tremare?", lo sfido rispondendogli muta "ebbene sì, che ti credevi, mica sono libera di andare e venire come mi pare?".
Apre il portone con la mano fasciata, ed ora che ci penso, quasi zoppicava da un lato, mentre prima era tutto normale.
Scompare così come era apparso poche ore prima, ed io che rimpiango la mia brandina col materasso spesso quanto un'ostia, con l'osso sacro che urla vendetta al mio posto.

Meno due bottiglie e la scena si rigira da sola; ancora qui, oppure dovrei dire di nuovo, ma sono dettagli a cui non presto attenzione.
Un'auto si ferma a pochi metri, il tizio sale con in mano una specie di bastone o manganello di ferro.
Partono spediti per chissà dove, ed io che mi perdo a fantasticare su supereroi che combattono il male per un futuro migliore.
E pensa pensa, fantastica fantastica, vengo risvegliata da lui che inciampa per finta sui mie piedi al bordo marciapiede. Sì, come no, gli sto credendo pure. Ma tu guarda sto stronzo, nemmeno scusa chiede, mi viene una voglia matta di fargli il dito medio mimando un saluto.

Il bastone non c'è più, in compenso, al suo posto, si scopre la testa dal cappuccio: il cranio fasciato lo fa somigliare a una mummia, ma che razza di gente frequenta 'sto tipo? Sembra un cane da combattimento o un lavoratore al macello, solo che le bestie sfasciano lui e non viceversa.
Domani comunque non mi faccio fregare, prima che mi tocchino le scale, infilo il quaderno dei deliri sotto il giubbotto. Così, almeno, le metto per iscritto, tutte le porcherie che penso e lo strambo che vedo.

Meno due bottiglie, più mezza di whisky, e tardo al mio appuntamento, stasera.
Il miscuglio non gli ha fatto bene, a quanto vedo, più che altro a quanto sento.
Invece di sbattermi in strada, ha preferito sballottarmi da un lato all'altro della stanza; mamma che urla, lui che colpisce, e io che piango più dal dolore al viso che dal male che ho dentro. Avrei preferito scrivere della mia merda al freddo, mai più progetti, giuro.
E ci finisco in strada, ma stavolta senza accompagnamento. Giusto per evitare mi ammazzi sul serio, stavolta. Che poi non ho ben capito com'è che funziona: il sangue che ora mi cola dal naso, il labbro spaccato e l'occhio gonfio, me li ha causati mio padre o quel tizio che si impossessa di lui? Mi pare si faccia chiamare Jack Daniel's, ma non ci metterei la mano sul fuoco.

Che opposto strano è 'sta vita: una sera a spingere per entrare, un'altra a tirare per non permettergli di farla finita. E il pianto che non riesco a fermare insieme ai singhiozzi; ma quand'è che imparo a soffrire in silenzio?
Menomale che nel deretano del mondo dove vivo, non passa quasi mai anima viva. Quasi, già, ho dimenticato dell'hooligans vicino di fogna che mi assiste ogni sera nella mia vergogna.
Io che tiro e lui che spinge. Io che lo guardo per fargli capire "ma che diamine stai a fare?". Lui che mi fissa parlando senza parlare. Un attimo ed il frastuono cessa, non prima di aver sentito mio padre urlare "ti prego basta".

Viene fuori dopo un quarto d'ora buono tutto affannato e sorridente, mentre io mi consolo con la testa tra le ginocchia. Dondolo a scandire i secondi, e non so se per farli passare più in fretta o per farli fermare.
Si accuccia al mio fianco porgendomi il quadernetto maledetto che stasera non ho battezzato come speravo.
"Ti è caduto questo, mentre eri intenta a scappare. Che diamine vuol dire Black Note?".

Sbircio più le sue mani che l'intitolazione ai miei deliri, un dito spezzato che molto probabilmente è stato mal curato, devia da un lato.
Graffi sul dorso, creano un continente nuovo chiamato dolore. Le nocche insanguinate, e tratti fresco e altro essiccato. Unghie mangiucchiate molto probabilmente per l'ansia che lo assale. Però, come si spiega che non fanno paura ma mi fanno calmare?
Si appresta cauto per paura di una mia reazione, trema anche lui per l'agitazione, mi asciuga il sangue da un lato e le lacrime all'estremo opposto; ruvide alla vista, ma delicate al tocco. Non ne sono abituata,  è decisamente troppo.

"Perché Black Note? Perché il nero è l'unico colore di vita che conosco."

Lividi CerebraliWhere stories live. Discover now