VI

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Fuori continuava a diluviare.
Tornai a casa fradicio e stanco.
Posai la giacca e lo zaino sul divano e notai che nella casa faceva più freddo del solito. Andai verso il corridoio dal quale proveniva il rumore della pioggia e percepii l'umidità che aveva governato l'appartamento prima del mio arrivo.
Come sospettavo la pioggia non aveva smesso di cadere e aveva deciso di irrompere anche in casa mia, entrando dalla finestra del bagno.
Dopo aver aggiustato come meglio potevo la finestra, feci una doccia veloce, uno spuntino e andai direttamente a dormire.
Ovviamente il mio turbamento non finì là. Infatti, feci un altro sogno senza alcuna logica o scopo se non quello di lasciarmi in confusione. Tipico, no?

Questa volta davanti a me non si trovava nessuna figura, non mi trovavo nemmeno in un giardino.
Ero nella mia vecchia casa, quella di quando vivevo con mia madre a Boston.
Mi trovavo del corridoio, spoglio di ogni quadro o tappeto. Ai miei piedi si trovava solo il parquet ormai distrutto e le pareti, dominate dalla muffa. Davanti a me, a una distanza di 6 metri, si trovava la porta di ingresso nel suo gelido bianco.
Nel sogno sentivo dei rumori di tuoni e lo scorcio della pioggia... Probabilmente il mio inconscio stava immaginando ciò che sentivo nella realtà.
E mentre i tuoni facevano sentire la loro potenza, a intervalli irregolari si sentiva il rumore di qualcuno che bussava alla porta.
Anche se volevo chiedere chi fosse, dalla mia bocca non usciva una parola.
Non riuscivo nemmeno a muovermi.
Non avevo il controllo di me.
Al mio impulso di muovere le dita, seguiva una gelida scarica che risaliva per tutta la spina dorsale, bloccandomi.
Il freddo, talmente pungente, non mi lasciava nemmeno respirare.
Il perché riuscissi a sentire tutte quelle sensazioni da vivo in un sogno era a me sconosciuto.
Contro la mia voglia, il mio "me personaggio" camminava verso la porta. Il buio della stanza sembrava scrutarmi o forse mi stava solo accompagnando verso la fine dell'incubo.
Riuscivo a sentire il vento freddo accarezzare la mia pelle, lasciando la sensazione della pelle d'oca. Pochi passi prima di arrivare all'ingresso riuscii ad udire una voce, flebile e delicata. Più avanzavo verso la porta, più mi rendevo conto che era la voce di mia madre.

-Magnus

In un baleno ricordai perché odiavo sognare, perché odiavo ricordare Boston e perché, anche se l'odiavo, ritornavo sempre a pensarla.
Aprii la porta e dinnanzi a me si materializzò un muro di fiamme, che esplose, dimostrando tutta la sua potenza.

Al posto di un caldo rovente, fui sommerso da un flebile sospiro di vento.

Invece delle scale, l'ingresso apriva nel salone di casa, come se fosse una porta verso un'altra realtà, un altro punto di vista.

Al centro della stanza si trovava mia madre o quello che doveva esserlo, dietro di lei io... Magnus all'età di 10 anni.

Mia madre non sembrava avere gli occhi, ma solo due pozzi neri. Forse erano le fiamme a farmi vedere male, forse il sogno di per sè, forse era davvero così.
Un urlo tentò di uscire da me, ma morì nella gola non appena tentai di aprire bocca.
Non avevo il controllo di me.
Non avevo il controllo della situazione.
Lo stesso terrore che provai quel giorno, ritornò in me. Crebbe come una pianta arrampicante, fino a soffocarmi, e mentre osservavo mia madre bruciare tra le fiamme mentre chiamava il mio nome, io rimanevo immobile ad osservare.

Il sogno, tremando, iniziò a cambiare. Venni tirato indietro di colpo nel corridoio buio e, completamente sudato, mi svegliai.

La ClematideWhere stories live. Discover now