Prigionieri

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CAPITOLO 3 – Prigionieri

Clarke si chiuse la porta alle spalle poi vi si appoggiò contro. Senza che lei se ne accorgesse, le gambe cedettero e si ritrovò seduta, le braccia mollemente poggiate sulle ginocchia, la testa china, le lacrime che non riusciva a trattenere bagnavano il pavimento.

La mente era vuota da qualunque pensiero, il dolore riempiva ogni spazio.

Non seppe per quanto tempo rimase lì seduta, lievi singulti uscivano dalle sue labbra, desiderando che Bellamy, oltre la porta, sentisse ogni cosa. Sperava che questo gli ricordasse ciò che erano stati l'uno per l'altra, ma quella porta continuava a restare chiusa.

Sigillata ad ogni emozione.

Scavò lentamente dentro di sé, cercando la forza che le aveva permesso di andare avanti per tutti quegli anni, scacciando il pensiero che parte di quella forza gli fosse stata data proprio da Bellamy, dalla certezza che sarebbe tornato.

Prese un profondo respiro e si alzò in piedi, c'erano troppe cose da fare ora che i ragazzi erano ritornati per lasciarsi andare al dolore.

Si diresse oltre le stanze dove erano stati rinchiusi i prigionieri rimasti in vita dopo l'assalto al laboratorio. Non lanciò nemmeno un'occhiata in direzione delle porte dietro le quali si trovavano quegli uomini; non voleva ancora sapere nulla di loro, la sua mente non era ancora abbastanza lucida per affrontare quel problema. Sapeva che il giorno dopo avrebbero deciso cosa farne e così allungò il passo verso il laboratorio: voleva analizzare il sangue dei ragazzi il prima possibile.

Stava superando la stanza in cui aveva riposto tutti gli aggeggi meccanici su cui aveva lavorato nel corso degli anni, quando sentì provenire un tintinnio. Si accostò alla porta semi aperta e notò Raven seduta su uno sgabello davanti al bancone.

Era intenta a smontare un radar che Clarke aveva tentato invano di convertire in qualcosa che l'aiutasse a fare dei rilevamenti nel sottosuolo di Polis, che ormai era ridotto a un cumulo di macerie.

"Ho provato ad aggiustarlo, ma non ho il tuo talento!" disse Clarke entrando. Si avvicinò al bancone, incuriosita dal lavoro dell'amica. A grandi linee era in grado di seguire ciò che il meccanico stava facendo.

"Eri sulla strada giusta" rispose la ragazza alzando lo sguardo e sorridendole "Scusa se mi sono messa a lavorare su questo senza chiedertelo, ma avevo bisogno di un oggetto come questo."

"Sono contenta che ci sia tu, io ero bloccata da mesi" rispose la ragazza.

Un silenzio sereno calò su di loro, mentre il meccanico collegava delle parti e Clarke osservava ogni sua mossa, notando quanto precisi e sicuri fossero i suoi movimenti.

"Perché dicevi che avevi bisogno di lavorare su questa cosa?" chiese Clarke incuriosita. Era certa che sul relitto dell'Arca le sue doti fossero state fondamentali.

"Perché in sei anni le cose che ho fatto erano sempre le stesse e l'unico scopo che avevano era farci sopravvivere o tornare qui sulla Terra. Finalmente potrò fare qualcosa di nuovo!" replicò sorridendo Raven prima di chinare nuovamente la testa sul radar.

"Deve essere stata dura."

Il meccanico smise di trafficare con il radar e alzò gli occhi verso di lei.

"Sì" una risposta laconica che ricordò a Clarke lo stesso sguardo duro di Bellamy.

Desiderava chiederle ogni cosa di quei sei anni passati lontani, ma una sorta di pudore glielo impedì. Si rese conto che forse, per quanto difficile, la sua vita sulla Terra era stata più facile, anzi, la solitudine e le sue responsabilità nei confronti di Maddie erano state quasi catartiche, rispetto ai primi mesi sulla Terra.

When we meet again (Bellarke post 4x13)Where stories live. Discover now