Casa

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CAPITOLO 4- Tempo

Bellamy continuava a camminare avanti e indietro nella sua stanza, si era isolato dagli altri com'era sua abitudine quando doveva riflettere.

Poteva uscire, guardare il cielo stellato, respirare l'aria pura della Terra, ma solo lì, nella solitudine di quella piccola stanza, sentiva di poter mantenere le promesse che si era fatto: tenere tutti in salvo.

La sua mente viaggiava veloce, ripassava continuamente ciò che doveva fare nei prossimi giorni. Aveva bisogno di tenere ogni cosa sotto controllo, di valutare i pro e i contro di ogni scelta, ogni mossa.

Un'abitudine, un obbligo, che aveva imparato quando era sull'Arca, e, ogni gesto, ogni scelta doveva essere programmata attentamente per continuare a sopravvivere.

Avevano interrogato i prigionieri. Storse la bocca al pensiero di ciò che aveva dovuto fare per ottenere delle risposte da loro.

Scacciò l'immagine dello sguardo sgomento di Clarke quando era uscito dalla stanza di uno di loro. Non era importante cosa avesse fatto, ora sapeva che altri sarebbero arrivati e non avevano alcuna intenzione di dividere con loro i pochi terreni abitabili. Erano molti e non ci sarebbe stato spazio per tutti.

Bellamy si rese conto che tornare sulla Terra significava nuovamente un Noi o Loro.

Ma lui, ora, era pronto.

Sarebbero atterrati presto e quelli erano in pochi, trovare la gente ancora rinchiusa nel bunker sotto Polis era indispensabile per affrontare coloro che sarebbero scesi sulla Terra.

Si concesso un sorriso pensando alla sorella che presto avrebbe rivisto.

Sei anni erano lunghi, era di certo cambiata, ma non aveva mai smesso di credere che lei fosse salva, era grande ormai, una guerriera.

Si chiese cosa sarebbe successo quando si sarebbero rivisti.

Sorrise.

Il ricordo di Octavia lo cullava ora, come nelle lunghe notti sull'Arca, pensare alla sorella non era pericoloso.

Si concesse, dopo molto tempo, di pensare a Lei.

Per un anno, appena erano giunti sull'Arca il fuoco del dolore aveva imperversato nella sua anima. L'incidente e le ferite del suo corpo avevano spento quella fiamma, riducendo in cenere il suo cuore, e avevano cancellato ogni ricordo di Lei.

Aveva dovuto farlo.

Ricordarla significava perdere se stesso, infrangere la promessa di tenerli tutti al sicuro.

Con fatica era riuscito a elevare un muro contro il dolore che lo rendeva impotente e confuso.

Con un gesto, ormai diventata un'abitudine, alzò la mano e sfiorò le cicatrici che gli ricoprivano il torace. Poggiò la mano sulla pelle rugosa sopra il cuore. Si concentrò sul battito. Un muscolo che batteva, nulla di più.

Ciò che era stato, ciò che lei vedeva in lui, ormai non esisteva più.

Non doveva più esistere perché non poteva più permettersi di anteporre lei agli altri.

Lasciò cadere la mano, prese un respiro profondo: lei era viva, ma questo non doveva cambiare nulla.

"Mamma stai dormendo?" la voce di Maddie interruppe il filo di pensieri di Clarke, che continuava a girarsi fra le coperte. Sospirò pesantemente. "No, non ci riesco." Rispose mettendosi a sedere. Anche la ragazzina si rizzò. Clarke notò, anche nella penombra, il lieve sorriso che le increspava le labbra.

When we meet again (Bellarke post 4x13)Waar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu