Ritrovare uno sguardo

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Annabelle aveva attraversato un intero oceano per sfuggire alla propria tristezza. Ora però, davanti al vetro rigato di pioggia del suo appartamento in centro a Firenze, sentiva quel sentimento tornare con prepotenza a riempirla.

Era arrivata in Italia da poco più un mese, lasciandosi alle spalle una vita sconvolta e un futuro inesistente, ma ancora non riusciva a sorridere come avrebbe voluto. Si era detta che ci sarebbe voluto poco, per rifarsi un'esistenza altrove, e aveva scelto la città che più amava al mondo per gettare le proprie nuove fondamenta. Forse non aveva scelto il momento giusto, forse aveva sbagliato paese, forse era soltanto colpa di quella pioggia triste che ricopriva Firenze da quasi una settimana. O forse era semplicemente lei, a non essere più in grado di tornare felice.

Aveva fatto tante cose, quel mese: affittato un appartamento in Via dei Signatori, vicino a Piazza dei Signori (costato un occhio della testa, ma poco importava); seguito lezioni di storia e di filosofia all'università; visitato gran parte dei musei cittadini; comprato due quadri da un antiquario ai Giardini dei Boboli; esplorato ogni angolo della città che amava.

Quella settimana però continuava a piovere, e Annabelle continuava a rimanere confinata tra le quattro mura dell'appartamento, strette e soffocanti. Non voleva uscire, con quel tempo: non avrebbe saputo che fare; ma non voleva nemmeno rimanere dentro: la sua casa era ancora troppo nuova, troppo poco sua, per trovarcisi a suo agio. Troppo poco suo il tavolo di mogano che occupava quasi tutta la cucina, troppo poco suo il letto in stile impero, troppo poco suo il frigorifero senza magneti attaccati sopra, troppo poco sua la libreria ancora mezza vuota. Ci sarebbero voluti almeno altri sette, otto, forse dieci, mesi, per riempire gli scaffali di libri, riviste, enciclopedie. Ma lei aveva tempo. Doveva ricominciare d'accapo un'intera vita, e non sarebbero bastati pochi mesi per colmare di nuovo la libreria e, passo passo, anche la sua esistenza.

Confusa e triste, alla fine Annabelle optò per una breve scampagnata verso Piazza della Signoria: poteva sempre visitare una seconda volta Palazzo Vecchio, che le era piaciuto così tanto. Uscì dall'appartamento, guardò le nubi sopra di lei e aprì l'ombrello. Si diresse a passo tranquillo verso la piazza, e rimase a osservarne ogni angolo per qualche decina di minuti. Sotto l'ombrello, intriso già di pioggia, l'umidità le avvolgeva il viso facendo arricciare i corti capelli biondi. Intanto, si godeva la vista della sua nuova città, cercando di non ascoltare l'irritante tambureggiare delle gocce sulla tela che la copriva.

La sua passeggiata la accompagnò poi attraverso strette stradine, ancora più cupe nei loro toni grigi sotto quella coltre di nubi che sembrava ricoprire tutto con una patina di tristezza. Si lasciò alle spalle Palazzo Vecchio; osservò le imposte serrate delle case, i volti seri dei passanti, i distinti signori affacciati alle porte delle osterie per valutare con occhio critico quanto ancora sarebbe durato il maltempo. Si fermò un attimo davanti al Duomo: i suoi colori pastello, anch'essi spenti sotto la pioggia, le misero addosso ancora più tristezza di quanta non se ne fosse portata dietro dall'appartamento.

Affrettò il passo e raggiunse l'università: non sapeva nemmeno lei cosa stava cercando, ma quel posto era stata la cosa più simile a una casa che avesse avuto in quel primo mese a Firenze. Le infondeva una certa tranquillità, il fatto di non essere notata in mezzo a tanti studenti, il fatto di essere una matricola in mezzo a tante altre, nonostante il lieve accento anglofono. L'età era pressoché quella di un normale universitario, anche se Annabelle riteneva che quasi nessuno, lì dentro, avesse perso ciò che lei aveva perso in soli ventitré anni di vita. Famiglia, amici, conoscenti. E pensare che era cominciato tutto da lì, il lento declino della sua esistenza. Era cominciato dalla vacanza a Firenze di tre anni prima. Quanto male faceva ricordare quei giorni felici e appassionati, quei giorni di amore... Faceva male, pensare a quegli occhi verdi, a quello sguardo serio che era stato per lei l'ultimo addio a una vita felice. Quegli occhi del colore delle foreste, che l'avevano salutata in aeroporto, lasciandola partire. E quando era arrivata a casa, quando era arrivata lì... le era caduto addosso tutto. La malattia, gli ospedali, le equipe di medici, il cortisone, le preghiere e le speranze... e, alla fine, la solitudine da cui era scappata.

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