Capitolo 26 ~ Io posso aspettare

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      Sarah

       Circa due anni prima:

Ho sempre odiato la neve.

Per una come me, che è abituata a vivere tra le verdi praterie e il cielo azzurro del Tennessee, è triste, spenta e rende il manto celeste privo di colore.

Detesto il freddo pungente che porta con sé, mi trafigge le ossa e per certi versi ho l'impressione che riesca a congelare anche il mio cuore. 

So che è assurdo, dopotutto che senso ha prendersela con la neve? Non è colpa sua se tutto quello che sento adesso si limita a un'immenso dolore che mi invade il petto e mi fa sentire vuota, fredda, spenta e triste proprio come lo scenario che appare fuori dalla finestra.

«Ehi, pulce, guardami!»

La sua voce non è più quella di un tempo ormai, si limita a un debole sussurro rauco e forzato.

Un colpo di tosse secca sopraggiunge alle sue parole, annunciando che si è sforzato a sufficienza e non avrebbe dovuto farlo, come se pronunciare tre semplici parole sia una fatica troppo grande da affrontare a soli ventisette anni.

«Ti sto già guardando, Eric»

Incastro le mie iridi verdi nelle sue ambrate, come il colore del whisky che vendono a Nashville.

«No, non è vero! I tuoi occhi sono rivolti verso di me ma non mi stai guardando davvero, fissi il vuoto» mi fa notare, mentre un altro colpo di tosse, più violento del primo, gli blocca il respiro, che non è più regolare e profondo come dovrebbe essere.

«Non dovresti sforzarti così tanto! Smettila di blaterare assurdità e riposati» lo rimprovero, per quanto lo si possa definire tale, visto che la mia voce è bassa, monotona e priva di sentimento.

Mi sto spegnendo insieme a lui, proprio come il cielo grigio che illumina New York.

«Non posso restarmene in silenzio a guardarti soffrire» replica duramente. «Se proprio devi stare male per me voglio poter guardare le sfumature dei tuoi occhi verdi, che tendono all'azzurro e mi riportano in mente il cielo limpido di Nashville»

Le sue dita sfiorano la mia mano, adagiata sopra il letto bianco e candido, come il resto di questa stanza d'ospedale, intanto che io fatico a trattenere le lacrime, che impongono di venir giù dai miei occhi, mentre una moltitudine di ricordi, passati insieme a lui nella fattoria di famiglia, tornano a illuminarsi nella mia memoria.

Vorrei potergli dire che non sto soffrendo per lui ma sto bene perché c'è ancora la speranza che potrà guarire e presto ritornerà e vedere il cielo della nostra città, invece di questo tumulto di nuvole grigie che tempesta New York, ma non posso mentirgli perché non ne sono capace e sappiamo entrambi che la sua fine è vicina.

«Ci pensi spesso al cielo di Nashville? Ti manca casa nostra?» tento di distrarlo dalla realtà che ci circonda, ricacciando indietro il groppo di lacrime che mi è rimasto bloccato in gola.

«Non molto se devo essere sincero» risponde, come se questa fosse una chiacchierata banale e lui non stesse per morire. «All'inizio ci pensavo spesso e avevo un po' di nostalgia, ma adesso non più, l'unica cosa che mi manca quando sono lontano da casa sei tu»

Sorride, anche se gli costa farlo, ed io lo imito illuminando il mio viso così da donargli un po' di serenità.  

«Sei bellissima quando sorridi, pulce» osserva sincero. «Dovresti tornare a farlo più spesso...proprio come una volta...»

Il suo petto si alza e si abbassa con forza, infliggendogli sempre più dolore, facendomi sentire male solo guardandolo.

«Vuoi un po' d'acqua?» domando nel tentativo di alleviare quel fastidio, anche se della semplice acqua non lo guarirà da questa brutta malattia.

Chasing Love #1 ~ Poli opposti Where stories live. Discover now