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E così è arrivato il fatidico via libera.

Non solo io sono stata ufficialmente dimessa ma, in più, la polizia ha chiamato per dirci che possiamo tornare a casa nostra.

Sembra quasi un segno del destino, come se qualcuno, lassù, mi stesse consigliando di andare il più lontano possibile da questo ospedale.

E come ignorarlo, con delle motivazioni così chiare?

Sono stanca di soffrire, e vorrei solo un piccolo attimo di pace, per quanto sappia che mi mancherà sempre qualcosa per raggiungerlo.

Mi manca Bill, e il poter chiarire con lui.

Non è ancora venuto a trovarmi, e ho paura che gli sia successo qualcosa, anche se questa potrebbe essere solo una scusa che cerco di darmi per giustificare il fatto che, di me, a lui non importa più niente.

Ormai ho due cicatrici, una sul volto e una sul cuore, e non capisco quale faccia più male.

"Vado un secondo alle macchinette." Informo, mentre Rachel ancora mi prepara le valige, come se fossi una bambina incapace "Ho fame."

"Vengo con te." Dice subito, spaventata all'idea di potermi lasciare sola.

Sospiro, annoiata, mentre mi rimetto in piedi "Che, ti prego: voglio andare da sola."

La mia gemella non sembra felice, non lo è affatto, ma sa anche che potrei rischiare una crisi nervosa da un momento all'altro, e non penso voglia esserne il fattore scatenante.

"Okay, va bene: io finisco le valige." Si arrende quindi, risedendosi sul letto pieno di abiti.

Le sorrido, riconoscente, dandole un veloce bacio sulla guancia prima di uscire dalla stanza, percorrendo la piccola distanza fino alla sala d'attesa, per fortuna vuota.

Non sono ancora dell'umore di incontrare qualcuno, soprattutto un estraneo che non conosce la mia storia e potrebbe giudicarmi malamente.

Inserisco la moneta e premo il codice, attendendo che la merendina cada nel cassetto inferiore, iniziando a scartarla.

Non mangio cioccolata da una settimana, e ne sento il bisogno come l'aria.

Mi volto, pronta a tornare in camera, ma subito mi blocco, ritrovandomi a ricambiare uno sguardo che conosco fin troppo bene.

"Ciao." Mi saluta Bill, fermo contro lo stipite della porta della sala d'attesa, vestito completamente di nero e con gli occhiali infilati nel colletto della maglietta.

Non parlo, ancora troppo confusa nel ritrovarmelo qui, davanti a me, come se non fosse passato che un momento.

Bill storce il naso, rimettendosi dritto e venendomi vicino, notando che ancora stringo il pacchetto in plastica come se fosse un salvagente.

Sorride, divertito.

"La stai schiacciando quella povera merendina."

Scuoto il viso, ancora scossa ed incredula "Cosa ci fai qui, Bill?"

Lui scuote le spalle, quasi come se niente fosse, muovendo compulsivamente lo sguardo nella stanza "E' un ospedale pubblico, posso ancora spostarmi liberamente."

Non riesco a crederci, mentre guardo quei suoi occhi chiari, che lui non sia venuto a vedere come stavo, che non ci abbia mai nemmeno pensato.

Mi sembra impossibile, eppure Rachel è stata chiara: non ha visto nemmeno l'ombra di Bill Skarsgård in quei giorni.

"Sapevi dell'aggressione?" Chiedo, ancora fissandolo, mentre lacrime amare bruciano i miei occhi "Sapevi che mi avevano ridotti così?"

Bill rimane immobile, non sorride più, colpito nel tasto più dolente, quello dei sensi di colpa.

On the edge / Bill SkarsgårdWhere stories live. Discover now