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"Ciao Damiano. Posso chiamarti Damiano, vero? O preferisci signor David?"

Stringo la sua mano calda nella mia e infilo l'altra nella manica di cotone che ho slargato a furia di fare così. Lui mi sente tremare e ruota il collo per farmi l'occhiolino, teso come una corda.

"Certo, Signore."

Quello chiude le labbra su di esse e si rimbocca la camicia nei pantaloni che gli sono calati lungo il fondoschiena. La ricama per bene, poi passa le mani attorno alla cinta e finisce per puntarle sulla giacca, che tira con uno strattone prima di mettersi seduto.

"Cosa abbiamo qui.. Danneggiamento?"

I suoi occhi verde acqua si sciolgono nei miei per una frazione di secondo, poi tornano a germogliare nel terriccio marrone di quelli di Damiano.

"Uno scarabocchio ad un muro scrostato, niente di più signore." -chiarisce con la voce ferma, guardandolo dritto negli occhi- "Glielo prometto."

Perché te trema la mano, amò?
Lo rifaremo, vero?
Allora perché j'o prometti?

"Mh.." -rimugina il poliziotto, girandosi il rapporto del collega tra le mani- "Lo sapete che è un reato, no?"

"Sì." rispondo decisa, evitando che Damiano possa rovinare tutto.

L'uomo con i capelli argento e il mento a mezzaluna alza il naso dal plico, sorridendomi spento, e ritorna a far correre le pupille sopra i caratteri neri. Di tanto in tanto alza la mano dalla superficie del tavolo e si asciuga il sudore in fronte, lasciando l'alone umido del palmo sul vetro.

"Un graffito. Tutto qui?"

"Sissignore. Quarche disegnino p'abbellì 'n muraccio."

Mi mordo la lingua, stritolandogli le dita con il cuore in gola e gli occhi chiusi. Quando li riapro, il poliziotto mi sta sorridendo.

"Tu piaci un sacco a mia figlia, lo sai?" -riferisce a Damiano- "Ha smesso di ascoltare quel raggaeton spazzatura e ha riempito la camera con il tuo culo stretto nei pantaloni di pelle."

"Me fa piacere, Signore."

L'agente accavalla le gambe, stende la schiena sulla poltrona girevole e incrocia le mani sopra la fibbia metallica della cintura, che sembra stringere più di quanto dovrebbe, come gli aloni che nasconde sotto le ascelle.

"È stata 'na ragazzata, vero Damiá?" -comincia- "Hai capito ch'hai fatto 'na stronzata e ch'è l'urtima concessa, vè?"

Damiano annuisce deciso, forse anche compiaciuto, e si alza non appena l'altro stacca i glutei dalla pelle nera surriscaldata.

"Ci siamo intesi? Niente più avvertimenti."

Damiano fa l'occhiolino anche a lui, rimarcando il tutto con una scrollata di testa, e scuote le loro mani in maniera decisa.

"N'se preoccupi, Signó. Se semo capiti."

Si libera della mia stretta e trasferisce il braccio sulle mie spalle, baciandomi la tempia con le labbra che sanno di caffé colombiano.

"Nnamo a casa, eh Bonnie? Clyde é riuscito a patteggiá."

Mi sorride e io faccio lo stesso, cosí come il sole che penetra dalle tapparelle e lo strano signore vestito di celeste, che manda brividi grotteschi lungo la mia schiena al pensiero che ci osservi mentre ci baciamo.

Imbocchiamo l'uscita, quando le sue parole, scivolando come lenzuola di seta tra le cosce nude, scorrono lungo il solco della spina dorsale.

"Un attimo.." -ci prega, alzando un taccuino di pelle bordeaux- "Clyde può fare un favore a mia figlia?"

un bacio al tabacco 2. | MåneskinWhere stories live. Discover now