two are better then one

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~~È buio.
Non so dove sono.
Non sento più il mio corpo e alle mie orecchie arrivano solo suoni vaghi e ovattati.
A fatica,procedendo a tentoni mi trascino verso una debole luce che riesco a scorgere: dovrebbe esserci una finestra, ma non riesco a individuarla bene, sono stordito.
Allungo le mani, ma le ritraggoimmediatamente.
Sento l'odore del sangue, la sua consistenza calda e quasi viscida. Lungo la mia mano destra c'è un lungo taglio. Strappo un pezzo della mia camicia e tento di fasciarlo,pensando che almeno ho trovato la finestra. È alta, e il vetro è rotto, come se vi avessero tirato una pietra, con molte venature intorno al foro. Con le ultime forze finisco di sfondarla con un gomito, e raccolgo con attenzione alcuni frammenti di vetro,nascondendoli nello zaino recuperato alla Cornucopia: potrebbero rivelarsi utili.
Sono per terra, ma riesco a sporgermi dallafinestra, sollevadomi appena. Fuori nello scuro cielo di luna nuovabrillano le stelle,da sempre fonte di speranza per gli uomini.
La speranza. Devo riuscire a non perderla, nemmeno ora: sono sempre stato un ragazzo ottimista fin da bambino. Nell'arena ci sono due cose che non bisogna mai perdere: la speranza e il ricordo della nostra identità e infanzia.
Mi abbandono alla stanchezza, misento al sicuro in questo alto palazzo di mattoni: è diroccatoe ci sono macerie dappertutto,ma sta ancora in piedi.
L'arena quest'anno è questo: una città abbandonata,distrutta, forse bombardata, circondata da una selva praticamente impenetrabile.
Lo sguardo mi cade sul rozzo anello di mio nonno Gaius, l'oggetto che ho scelto di portarmi nell'arena.
Sono sempre stato moltolegato a lui, fin da bambino, anche perché è colui che mi hacresciuto.
Mio padre non ho mai avuto occasione diconoscerlo, e mia madre, ammalatasi gravemente e non potendo piùmantenermi mi affidò a lui quando avevo appena sette anni.
Mi ha protetto, amato, nascosto e istruito, soprattutto quando, verso i miei dodici anni ha capito che non ero un bambino come tutti gli altri:io ho la magia. È stato Gaius a insegnarmi a controllarla,dopo avermi confessato di possederla anche lui.
Mi raccontò dimio padre solo sue anni fa : lui fu ucciso per questo. Anche luiaveva il dono, ed io devo proteggerlo e nasconderlo.
Certamentenon dovrò per nessun motivo usarlo durante i giochi.
Chiudo gli occhi, provando a dormire... la fame mi tormenta... : nella mia mente appare un prato verde di quelli tipici del nostro distretto.
Un'aquila sta volando nel cielo, di un profondo azzurro, e sotto di lei un bimbo dai capelli scuri, abbigliato con una tunichetta dello stesso colore del cielo, corre con le braccia aperte come se fossero ali: si sente libero e felice, come ogni bambino dovrebbe essere.
"Vieni, Merlin, salta!" Gli grida un anziano che lo aspetta ridendo.
"Nonno!" esclama il bambinofinendo nel suo abbraccio.
Un colpo di cannone mi riporta alla realtà, facendo sparire violentemente le immagini del mio sogno.
Un altro colpo. Mi alzo di soprassalto appena in tempo per scorgere da un'apertura del tetto cadente le due sfocate immagini dei caduti proiettate nel cielo artificiale: sono il piccolo Tim Harkey, il dodicenne del distretto 12 ed Eila Horwood, la ragazza dell'8.
Nonho molti ricordi di Tim all'addestramento, solo i riccioli biondi e la velocità straordinaria nella corsa. Sebbene solitamente i bambini non superino la prima notte, lui era durato ben una settimana.
Rivolgo loro una piccola preghiera cantata che mi ha insegnato Gaius, ode to the fallen,sto per ristendermi quando sento un fischio acuto: dal foro nel tetto mi cade sulle ginocchia un paracadute argentato.
Non pensavo di avere qualche sponsor... lo apro con cautela, curioso e felice di questa piccola sorpresa, la prima che ricevo.
Dentro c'è una pagnotta di segale,accompagnata da un biglietto scritto con una calligrafia tremolanteche conosco bene:"Forza, figliolo ". È firmato con unaG.
Addento un pezzo della pagnotta, giusto per spezzare i morsidella fame che non mi facevano dormire, poi chiudo il resto in unabusta di plastica che ho recuperato, cercando di far uscire tuttal'aria per non farlo deteriorare. Ho imparato che è megliodigiunare che mangiare cibi avariati, ed io devo mantenermi in salutese voglio tornare a casa.
Nel caso di vittoria i soldi del premioservirebbero per le cure della mia cara madre.
So di nonavere speramze di vincere, ma la voglia di provarci, di vivere,tipiche dei miei diciotto anni mi portano avanti. Devo solo cercaredi non pensare al gruppo dei favoriti, i tributi dei distretti 1,2 e3, che quest'anno sono particolarmente agguerriti.
Dal distretto 1 i letali fratelli Pendragon, Arthur e Morgana (abilità dei quali ho già avuto modo di sperimentare durante l'addestramento); dal 2 Katija Mizel e Samuel Newman e dal terzo Lyonel Mc Twist ed Emily Casperville.
Sicuramente si saranno alleati e avranno fissato unaccampameto organizzato,da qualche parte...
Facilmente il piccoloTim è stato stanato e preso dal forte Lyonel, loro leader.
"Bastapensare, Merlin!"mi dico ad alta voce.
"Sei debole. Prova adormire un po' o non ce la farai." Aggiungo perautoconvincermi.
Mi preparo un giaciglio con la mia giacca. Fa freddo, ma accendere il fuoco è fuori questione per più di un motivo: non ho legna, tanto per incominciare, e poi sarebbe solo un rischio inutile, mi vedrebbero a grande distanza.
Indosso lo zaino e stringo tra le mai il mio unico coltello, per sicurezza.
Mistendo, chiudo gli occhi e canticchio un po' . Cerco di tranquillizzarmi,mi rannicchio come un gatto per sconfiggere i brividi...
La notte è la parte peggiore... ci sarà un modo per tirare mattina...
*** *** *** *** ***
Mi sveglio alle prime luci, accarezzato dairaggi di un timido sole che si fa strada dalla finestra e daglispiragli del tetto e dei muri.
È così bella l'alba, il soleche si fa largo tra gli intricati alberi laggiù, e dipinge il cielodi mille sfumature acquarello viola, blu e rossastre... per un attimoil mondo mi sembra bello e sorrido al nuovo giorno... ma poi miricordo dove sono.
La voce: "Benvenuti ai 31 esimi Hunger Games,e possa la fortuna essere sempre a vostro favore!" risuona ancora nelle mie orecchie, nonostante la fatidica frase sia stata pronunciata ormai otto giorni fa... sembra una vita.

the odds are never in our favorWhere stories live. Discover now