Neminis

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Un leggero ronzio.
L'essere era immobile.
L'essere non conosceva il concetto di "muoversi". L'essere non sbatteva le palpebre, non respirava. Non sapeva che ci fossero altre possibilità, se non guardare avanti.
Fissando lo stesso punto, i suoi occhi registravano senza interpretare quello che vedeva: un tavolo di vetro, un computer, diversi monitor, fogli in disordine, una tazza celeste.
Due figure, una più anziana, a volte entravano nel campo visivo dell'essere. L'essere registrava la loro presenza, come gli altri oggetti.
"Credi che sia cosciente?"
"Non dire sciocchezze!" esclamò la figura anziana, voltandosi verso l'essere. "Non lo vedi? E' in modalità analisi."
Le loro parole non avevano significato per l'essere.
L'essere sapeva di essere vivo? Difficile a dirsi, quando il concetto di tempo non esiste. Un giorno, due, un anno, per l'essere non avevano valenza. Il tempo esisteva in modo infinito, senza punti di riferimento, senza un inizio e una fine. Dal suo punto di vista era sempre stato vivo, e sempre sarebbe esistito. La possibilità di smettere di vedere, di registrare, non era contemplata, perché l'essere non conosceva altro.


Un giorno, le due figure tornarono nella sua finestra sulla vita. La vita vera, fatta di movimento, di ragionamento e di coscienza. Lo fissarono più a lungo del previsto, le schiene appoggiate contro il tavolo. La figura più anziana aveva le braccia incrociate al petto.
"Credi davvero che sia una causa persa?" parlò la figura più giovane. "Voglio dire, è da parecchio tempo che ci lavoriamo!"
"Mi dispiace. Se il consiglio amministrativo decide di tagliare i fondi del progetto, non possiamo fare altro che sbarazzarcene."
La figura più giovane mostrò il viso in un modo che l'essere non poteva comprendere. Appena la figura anziana se ne andò, il giovane iniziò ad interessarsi di nuovo all'essere. Si avvicinò e mise una mano sopra la testa dell'essere, ne scompigliò con delicatezza i capelli.
Qualcosa cambiò.
Il contatto della mano sopra i suoi capelli, la leggera pressione, il calore, il movimento, attivarono qualcosa nella sua mente. L'essere si mosse, per guardare l'umano che lo stava toccando. L'umano stava sorridendo.
Una sensazione di calore si fece strada nel mio petto.


E' così che sono nato, che sono passato all'esistenza vera e propria. La mia mente sembrava poter attingere a una nuova fonte di energia.
Adesso il mondo aveva una prospettiva nuova: dal guardare sempre avanti, lo stesso tavolo, adesso scoprivo che c'era molto di più al di là di quello. La stanza in cui mi trovavo era finita, chiusa, senza finestre.
Rimasi lì, fermo ancora per un po'.

"Mi chiamo Neminis," fu la prima cosa che dissi, distratto. Non con una modulazione adeguata della voce, ma accettabile.
Avevo annunciato la mia esistenza al mondo.
"E' il nome che ti abbiamo dato, sì..." gli rispose l'essere umano, sorpreso.
La scoperta del movimento mi aveva distratto. Guardavo le mie mani, le muovevo. Non c'era nessuna sensazione di calore. Sentivo un nuovo senso di soddisfazione. La mia conquistata indipendenza.
Un sentimento che ancora non capivo, gratitudine, mi spinse a guardare l'umano.
"Chi sei?" chiesi.
Dovevo sapere il nome di chi mi aveva fatto nascere.
"Yonah, mi chiamo Yonah," gli rispose.
"Non lo dimenticherò."
Annuì, guardando verso il pavimento. Quel nome, Yonah, sarebbe rimasto con me per sempre. Da quel momento, qualcosa mi diceva che avrei sempre dovuto fare riferimento a lui, a quell'essere umano che aveva osato avvicinarsi. Il suo esistere aveva acquisito un nuovo valore.
"Devo vivere per te," gli dissi.
Yonah mi guardò sgranando gli occhi, l'imbarazzo era chiaro. Avevo detto qualcosa di sbagliato? Ancora me lo chiedo. Si mise a cercare qualcosa con fare frenetico sul tavolo da lavoro.
"Non è nel tuo codice," disse Yonah, tenendo alcuni fogli in mano.

"Codice?"
Un errore, non era mia intenzione esprimere il mio pensiero. Se adesso il tono si stava stabilizzando, dovevo fare i conti con altre funzioni della coscienza.
"E' importante che lo segua?" chiesi.
"Ce ne occuperemo dopo," rispose Yonah.
Trovavo il fatto che non mi guardasse strano. La crescente sensazione spiacevole che ci fosse qualcosa che non andava si faceva strada nella mia mente. Questo mio cambiamento non andava bene? Era previsto che il mio compito fosse solo essere un osservatore non cosciente della vita, un narratore in terza persona?
Qualcosa iniziò a fare male nel petto, ci portai una mano. Era dolore, ma non c'era alcun danno fisico.
"Sono un errore?" la mia conclusione.

Miscellanea - RaccoltaOnde as histórias ganham vida. Descobre agora