34. Vedere per credere

56 10 7
                                    


3 giorni prima

Per l'ennesima volta le zucchine erano andate a male nell'armadietto sul balcone e la sua coinquilina non le aveva detto nulla. L'odore era dolciastro e la patina bianca lanosa si era attaccata anche alle carote, vicine di scatola delle zucchine. A tutto si aggiungeva il non aver passato il parziale di grammatica tedesca. Tutto per dei crediti extra.

Sbatté l'anta dell'armadietto in plastica e con un ringhio rientrò in casa dove Eleonora, la suddetta coinquilina, stava friggendo delle bistecchine. Lo sfrigolio dell'olio, la puzza di fritto e l'aspetto delle fette di carne impanata sul piatto le diedero il voltastomaco.

"Si può sapere cos'hai, Giulia?" le chiese l'altra ragazza. "Sei pallidissima".

"Mi sta per arrivare il ciclo e non ho un cazzo da farmi a cena".

"Guarda che mi dispiace per le zucchine".

Come no. Ovvio che le dispiaceva. Sbuffò e bofonchiò uno stanco "Fa niente". Avrebbe cenato più tardi, adesso non era dell'umore e nemmeno aveva fame. Voleva solo liberarsi da quel dolorino insistente collocato sotto l'ombelico. Voleva addormentarsi e svegliarsi con la vita risolta: della verdura fresca in dispensa, un diciotto in tedesco e soprattutto più voglia di studiare. Erano tre mesi che provava ad andare avanti senza sosta, senza pensare a quello che stava facendo. La realtà però ora le appariva molto chiara. Aveva bisogno di una vacanza. Aveva bisogno di rilassarsi e pensare un attimo a sé stessa come essere umano, e non solo come a una macchina per produrre risultati accademici. Doveva tenere duro fino alle vacanze di Natale, poi sarebbe tornata a casa e si sarebbe rilassata a dovere e magari sarebbe anche andata dal medico per capire come mai tutta quella stanchezza onnipresente e quel continuo dolore alla pancia. Aveva pensato allo stress, oppure a una sindrome premestruale parecchio insistente. Però ora le sembrava diverso dai soliti.

Camera sua era ordinata per essere la stanza di una studentessa fuori sede, o almeno questo era quello che aveva dedotto vedendo le case delle sue compagne di corso in università. Puliva il pavimento ogni tre giorni, passava l'aspirapolvere tutti i giorni. I libri erano tutti ordinati sullo scaffale che aveva montato lei stessa e non c'era un singolo vestito lasciato in giro. Erano tutti riposti in ordine nell'armadio mentre quelli sporchi erano nella cesta apposta in un angolo accanto alla porta. Eleonora le ripeteva che aveva un problema a vivere in modo così asettico, ma per lei era una specie di terapia. Mettere in ordine le cose era come mettere in ordine la vita, fare pulizia di ciò che le serviva o meno non solo in senso fisico. Proprio per questo aveva pulito così bene in quel periodo: per scaricare lo stress e caricarsi di energia positiva. Era servito fino a un certo punto. Ora temeva che l'unica cosa che potesse curare il suo malumore fosse la parmigiana di sua nonna e ventiquattro ore filate di sonno indisturbato.

"Ele!" urlò dalla porta verso la coinquilina improvvisata cuoca.

"Sì?" rispose la voce nasale dell'altra.

"Senti, io sono stanca morta. Vado a dormire, non lasciarmi le cose in cucina".

"Sei sicura? Se vuoi ti metto su una pasta, eh. Non c'è problema!".

"Nah, davvero ho lo stomaco chiuso. Ci vediamo domani mattina".

Chiuse la porta e i rumori provenienti dal resto della casa si spensero in un lontano brusio come se quella stanza fosse diventata l'unico luogo reale dell'universo ed Eleonora fosse frutto della sua immaginazione. Si mise il pesante pigiama di pile azzurro che usava d'inverno. Di solito accendeva la televisione per guardare qualche cosa di stupido o si perdeva tra le serie tv di Netflix. Oppure anche messaggiava con sua sorella per ore prima di addormentarsi. Oggi non aveva le energie per fare nemmeno quello. Aprì il letto, ci si ficcò dentro e spense la luce.

Tutto divenne grigio e nero nella penombra della stanza e finalmente il suo respiro si calmò e scivolò piano piano nel sonno.

Fu come cadere lungo uno scivolo di quelli tubolari che ci sono anche nelle piscine. Con un rumore simile a quello che si sente quando si stappano le orecchie dopo un cambio di altitudine e con suo grandissimo disappunto, Giulia Marcomanno riaprì gli occhi di nuovo. Ma il mondo che si trovò davanti non era lo stesso. Dal soffitto pendevano dei fili che sparivano poi dentro il pavimento, nelle pareti. Alcuni erano spessi, altri meno, ma gettavano tutti le stesse ombre bluastre nella stanza immersa nella penombra. Stava per alzarsi a osservarne uno quando, d'improvviso, tremarono tutti assieme come percorsi da una stessa scossa. Affascinata si perse a osservare la danza del cavo più spesso che spuntava dal soffitto e andava poi a finire nella parete di sinistra. Una spessa gomena dal colore chiaro. Fu solo guardando quella strana cosa che si accorse che dalla cucina non veniva più nessun rumore. Quanto aveva dormito prima di svegliarsi?

Ma era davvero sveglia o stava sognando tutto?

Alzando le mani contò le dita più e più volte ma dieci erano e dieci rimasero. Aveva sempre letto ovunque che il numero delle dita non era mai giusto nei sogni e che proprio contarle poteva far svegliare dagli incubi. Lì invece erano proprio dieci e, a meno che lei non fosse in grado di sognare in così alta definizione, allora non era un sogno. Allungò la mano per prendere il cellulare appoggiato sul comodino ma la sua mano toccò qualcosa di diverso. Centinaia di fili erano arrotolati attorno al suo iPhone. Vibravano leggermente e si allargavano poi come una ragnatela sul pavimento per poi sparire oltre le pareti, sotto la porta e verso il soffitto. 

Si decise ad alzarsi dal letto. Sotto i suoi piedi i fili erano tiepidi ma non era affatto una sensazione piacevole camminarci sopra. Sembravano vivi.

Trattenendo il vomito che le stava risalendo l'esofago, Giulia spalancò la finestra e le persiane e guardò giù verso la strada. Il mondo, l'asfalto, l'aria erano percorsi dagli stessi fili. Centinaia di migliaia di miliardi di fili colorati tesi alla luce di un sole reso quasi invisibile dall'enorme rete che occupava gran parte del cielo stesso. Vibravano tutti assieme delle stesse scosse che aveva visto prima, come un gigantesco organismo. Chiuse di scatto la finestra e si allontanò.

L'intero palazzo tremò più forte di prima e la ragazza fece fatica a tenersi in piedi. Senza pensare a cosa stesse facendo o a come svegliarsi se davvero era un sogno, si gettò fuori dalla porta della camera e iniziò a bussare a quella di Eleonora. Nessuno rispose, allora entrò di colpo. La sua coinquilina era in casa, certo, ma non avrebbe saputo dire se era viva o meno. Il letto, infatti, era occupato da un bozzolo dalle dimensioni abbastanza antropomorfe fatto di fili di ogni colore e dimensione immaginabile. Spuntava una mano e un piede, qualche ciocca di capelli, ma Eleonora non sembrava essere raggiungibile.

"Ele!" urlò un paio di volte scuotendo quell'ammasso di cose, senza successo.

Il battito cardiaco iniziò ad aumentare sempre di più mentre le scosse si facevano sempre più frequenti. Cadde bocconi per l'ultima, la più forte fino a quel momento. Si portò una mano al petto e con sua grande sorpresa si accorse di avere dei fili attaccati alla maglia del pigiama. Tiro per strapparli ma quelli uscivano solamente di più dal pigiama come se fossero attaccati da qualche altra parte, fino a che tirando tirando non sentì qualcosa che tirava sotto la pelle. Il panico si impadronì di lei. Si tolse la maglietta più veloce che poté, senza curarsi del garbuglio di corde e fili che stava creando, e vide che i suoi fili partivano dritti dritti dal suo cuore. Tremavano ed erano tiepidi come gli altri, ma questo tepore le sembrava più familiare. Un pallido filo azzurro tra quelli che partivano dal suo cuore era sottile come un capello e si infilava sotto la porta di Eleonora. Un altro, rosso vivo, era spesso quasi un dito e dal pavimento si gettava sotto la porta d'ingresso per andare chissà dove.

Il condominio, il mondo, l'universo tremò di nuovo un modo terribile e molti fili caddero dal soffitto, troncati come serpenti vivi che si dimenano, orfani del resto del corpo. Poi tutto si capovolse e Giulia si trovò per un secondo a galleggiare nel nulla cosmico di una realtà che era ben lungi dall'appartenerle come l'aveva sempre conosciuta.

Poi aprì gli occhi.

Era mattina.

E il mondo non era fatto di fili.

Fuori dalla sua finestra, appostato, sul suo davanzale c'erano un ragazzo e una ragazza, intenti ad osservarla, intenti a uscire dalla stessa visione da cui era appena fuggita anche lei.

"Siamo sicuri?"

"È lei, purtroppo" rispose la ragazza con un sorriso amaro.

GhostedWhere stories live. Discover now