37. Medea

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L a vita prende una piega strana quando smettiamo di occuparcene, Laura lo sapeva bene. Il suo lavoro era sempre stato un'ottima scusa per coprire i danni in realtà causati dal suo pessimo carattere e dalla sua totale inettitudine quando si trattava di relazioni umane. Ogni tanto si chiedeva quanto sarebbero state diverse le cose se non avesse divorziato e Fabio non avesse deciso di stare col padre.

"Mi scusi, signora?".

Laura si riprese dal suo temporaneo attacco di stanchezza e si trovò a incrociare lo sguardo dell'addetto al banco degli affettati. Si ricordò all'improvviso di avere in mano il suo sgualcito numerino di carta e di essere al supermercato. Sbattendo una volta di troppo le palpebre sorrise e indicò un prosciutto dallo scaffale, il più magro. "Due etti di crudo e uno di mortadella senza pistacchi".

Mentre il ronzio del supermercato prendeva consistenza attorno a lei, Laura si rese conto di quanto fosse stanca. Ogni parte del suo corpo pesava, soprattutto gli occhi. Due sfere di piombo che avrebbero potuto caderle dalle orbite con un tonfo sordo per poi rotolare qualche passo più in là facendo schifare gli altri in fila al banco. Fortuna che non poteva succedere. Ci mancava anche quello alla vita. Il colloquio con Arianna l'aveva lasciata più dubbiosa del previsto ed Ermanno era stato di pessimo umore per tutto il resto della giornata sapendo che favore aveva chiesto alla regina del seminterrato, come chiamava la Coroner. Una delle sue regole d'oro, ossia quelle che aveva sempre in mente ma non seguiva mai, era che il lavoro finiva in ufficio. Poi si ricordava di aver divorziato proprio perché non era capace di fare così e l'amaro in bocca ritornava più forte di prima.

"Basta così?".

"Sì, grazie" rispose automaticamente allungando la mano al momento giusto perché il salumiere le posasse sul palmo il leggero pacchetto di carta. "Arrivederci" dissero entrambi salutandosi. Il pacchettino finì nel cestino assieme al resto della magra spesa serale. Si era accorta la mattina di non avere quasi nulla in frigorifero, unico motivo per cui era lì in quel momento. Non si poteva vivere di gelato e pasti surgelati no? La melanzana e il peperone che occhieggiavano dai loro pallidi sacchettini biodegradabili non avrebbero potuto sembrare più appetitosi di così. La sera fuori dalle porte scorrevoli sembrava notte, cosa che faceva sì che la notte fosse ancora più scura e più fredda di quanto avrebbe dovuto. Eppure l'aria sulla pelle la fece sospirare di sollievo rispetto al violento riscaldamento della centrale o all'aria esageratamente fredda del supermercato. Una delle cose che apprezzava di casa sua era la vicinanza al minimarket e alla panetteria, cosa che le permetteva di andare a fare la spesa quando volesse semplicemente mettendosi le scarpe e la giacca.

Quel giorno però non era nemmeno salita in casa, era passata direttamente dalla macchina al supermercato. Ora però, con il cibo che le sbatacchiava sulla gamba destra e la borsa del computer che invece le colpiva il ginocchio sinistro, poteva finalmente aprire il portoncino di casa e lasciarsi pervadere dalla penombra abbandonata del suo soggiorno. Un paesaggio lunare dal punto di vista fisico e dal punto di vista emotivo. Provò un moto di tristezza ma lo ricacciò subito indietro, nemmeno fosse stato un conato di vomito. Non si sarebbe rovinata l'unica serata libera che vedeva da ormai tre settimane con i suoi soliti pensieri. Calciò via le scarpe, lasciò il computer vicino al tavolino del telefono, sul quale svuotò il contenuto delle tasche. Pistola d'ordinanza, distintivo, chiavi della macchina e cellulare. Il led sull'angolo dello smartphone era fermo. Non le aveva scritto nessuno, poteva tornare a essere solo Laura e non l'agente Castiglione.

Anche solo per una sera quell'illusione era bella da vivere, così bella e irreale che prese anche una bottiglia di vino dallo stipetto dove teneva tutto l'occorrente alcolico per una possibile visita di qualcuno. Lo stappò e se ne versò un bicchiere osservando gli archi rosso trasparente rimanere sospesi sul vetro per qualche secondo prima di scivolare di nuovo a far parte del piccolo mare scarlatto nel bicchiere. Si sentiva per qualche secondo come le casalinghe americane nei telefilm che passavano alla TV, quelle che ogni tanto amavano trattarsi bene con del vino e una cena sofisticata solo per se stesse. Poi sapeva che in realtà dietro quei comportamenti in genere si nascondeva il germe dell'alcolismo, dell'insoddisfazione profonda. Donne come bombe a orologeria pronte a farsi esplodere, portando con sé chiunque fosse loro abbastanza emotivamente vicino. Questa era la campanella di fine intervallo che la costringeva, non senza un ghigno sulle labbra a riconoscere che, per quanto assurdo il suo lavoro riusciva ancora a darle qualche pensiero divertente che potesse degnamente accompagnare l'innocente sfrigolio delle verdure in padella o il leggero tic tic del timer della pasta. Ogni tanto, anche il suo lavoro le permetteva di smettere di essere wonder woman.

Accese la televisione e si liberò dagli orecchini, lasciandoli sul tavolino da caffè tra il divano e la tv. Avrebbe voluto provare a vedere il canale delle notizie ma poi si ricordò di essere libera e lasciò che il chiacchierio indistinto di un qualche talent show da fascia protetta riempisse la stanza. Davanti a una serata così le veniva quasi voglia di iscriversi in palestra e magari a un sito d'incontri per trovare qualcuno della sua età che le andasse a genio. Magari un corso di cucina che avrebbe reso le sue cene in solitaria molto diverse da come erano. E che magari avrebbe fatto venire voglia a Fabio di tornare più spesso da sua madre a mangiare, se solo fosse stato ancora a Mantova.

Milano non era così lontana, ricordava a sé stessa ogni volta che i suoi pensieri finivano in quell'angolino della sua mente, eppure non sarebbe venuto a trovarla più spesso di così nemmeno se fosse stato a 3 chilometri di distanza. Faceva fatica a chiamarla. A chi voleva darla a bere. Era madre tanto quanto poteva esserlo stata Medea coi suoi figli. Madre fino alla morte. Dei figli. Riabbassò gli occhi sulla cena impiattata e tutti i bellissimi colori che l'avevano inebriata prima le parvero spenti. Sorrise amara, come sempre prima di mettersi le mani sulle tempie per sentire il poco rassicurante battito accelerato del sangue sotto le dita. Possibile che non riuscisse a fare a meno di quell'altalena di pensieri distruttivi? Se lo chiedeva molto spesso, ma la risposta le sfuggiva sempre per qualche millimetro. Per quando si sforzasse di essere una donna libera e rinata, la realtà era ben diversa ma era qualcosa che le piaceva ammettere solo al sicuro di casa sua. Per quanto si sforzasse, non era in grado di riprendere in mano la propria vita, si era dimenticata di come si facesse. E per quando non le piacesse più di tanto la piega che stava prendendo, il caso del ragazzo continuava ad affacciarsi alla soglia del suo cervello come un bambino invadente che si è perso e cerca sua madre ovunque.

Più di una volta aveva pensato come al posto di questo povero ragazzo avrebbe potuto esserci il suo. Si immaginava la foto di Fabio in sovrimpressione ai telegiornali, con i suoi corti riccioli biondi e la mascella troppo grande presa dal suo lato della famiglia, stampato sui volantini appesi per le strade. Milano era una città molto più grossa di Mantova, le probabilità che gli capitasse davvero qualcosa di brutto erano infinitamente più alte di quelle di Mantova. Il crimine organizzato, le gang giovanili, i furti in casa erano una realtà così vicino, soprattutto per uno studente fuori sede in appartamento. La sua mente da poliziotta le diceva che la sicurezza era un'illusione per tutti, ma la sua mente di madre avrebbe voluto proteggere il suo ragazzo da tutto, anche da ciò che non si poteva evitare.

Pensò a che sapore dovesse avere il cibo per la madre di Corrado, improvvisamente conscia che qualcosa le legava. Lo stesso filo che da Eva ad adesso legava tutte le madri del mondo. Senza dubbio anche il più delizioso dei piatti di uno chef stellato in quel momento non aveva nessun sapore per la signora Greco. L'acqua non dissetava e il freddo dalle ossa non passava mai. Il mal di testa e gli occhi di piombo erano diventati suoi migliori amici. Se la immaginava a guardare fuori dalla finestra contando lo scorrere di ciò che non le sarebbe mai più stato restituito: il tempo.

Nessuno le avrebbe ridato le ore con Fabio. Nessuno avrebbe ridato a quella donna le ore con suo Corrado. Cosa avrebbero pagato per averne ancora solo una? Il mondo intero sarebbe stato un prezz onesto che lei sarebbe stata disposta a pagare. Fu in questo momento che la cena finì e il suo sguardo tornò indietro a lei dal riflesso nel bicchiere. La televisione ronzava ancora e lei era ancora vestita a chiedersi cosa ci facesse a casa a godersi la serata quando una madre aveva perso il figlio ed era suo compito trovarlo. Come poteva negare a quella donna l'unica cosa che era in grado di darle? Cosa era in grado lei, Medea, di dare a questa madre? La verità.

E la verità le avrebbe dato.

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