Quadretto di famiglia

14 2 0
                                    

Mi chiamo Mery, i miei familiari mi chiamano Rosaria, ho 17 anni ed abito a Roma. Non sono una cima con le parole, ma dato  il cambiamento personale che ho fatto durante l'adolescenza, mi era venuto in mente che magari la mia storia sarebbe potuta interessare (oppure essere di lezione) a qualcuno. 

A 15 anni pensai che a 17 sarei morta. Un giorno, mentre pensavo a tante cose simultaneamente mentre facevo una doccia calda, mi venne in mente quella cosa. Mentre crescevo giorno per giorno pensai che la causa di quel pensiero fosse il mancato affetto da parte dei miei genitori , o forse per il pessimismo che mi accompagna da sempre, quindi in breve pensai che da lì a un paio d'anni sarei crepata come la sorellina del mio povero buon papà. 

Mio padre nacque a Roma nel 12 dicembre del 1972, in un delizioso quartieretto di merda in periferia, conosciuto come il Tufello.  Per carità, ci sarà anche buona gente, ma non è il miglior posto dove tirar su un ragazzino con 4 fratelli appena abbandonati dal padre. Felice, il fratellino minore di mio padre, era il più piccolo di tutti e quello che ne soffrì di più. Rimase completamente traumatizzato, e crebbe con un carattere da malfattore violento e bugiardissimo. Sapeva inventarsi certi castelli in aria e te ci cascavi con tutte le scarpe. Tutti ci cascavano. Alla mia età rubava nei supermercati e nelle officine di motomeccanica, come fece anche mio padre, e poi spacciava e si drogava. Vivere al posto suo sarebbe stato uno straccio assurdo.

A diciannove anni conobbe Roberta, una ragazza bella e innocente dai capelli dorati e gli occhi del cielo, un po' di mesi dopo ebbero una bambina, mia cugina Francesca. Roberta si era pensata più o meno ingenuamente che la vita del suo amato le appartenesse e che potesse rattoppare i buchi nell'anima di Felice con l'amore della famiglia, alleviando il marcio di ciò che era costretto a fare per campare lei e la bambina, ma era tutto un sogno.  In un giorno di primavera di due anni dopo, quando aveva ventuno anni lo ritrovarono morto nel sedile accanto a quello di guida nella sua alfetta parcheggiata all'ombra degli alberi sotto a una palazzina. Aveva gli occhi rigirati e la bava alla bocca, era morto per overdose di cocaina.

Gli altri due fratelli minori di mio padre, con cognome diverso perché figli di un altro padre si chiamano Maurizio e Carlo. Campano ancora ma uno soffre di attacchi di panico e l'altro di depressione. Si imbottiscono di ansiolitici e gocce, Maurizio è sposato e ha una figlia, Carlo è divorziato e ha tre figli. Soffre per quello, vorrebbe di nuovo sua moglie ma lei non ne vuole sapere e quindi da quanto ne so dall'ultima volta che lo vidi mi disse in modo indiretto che faceva pure uso di stupefacenti. Però scherzava, era mezzo pazzo ma mi faceva ridere. Ora mio padre ha litigato con loro e con sua madre ed io non li vedo più da quattro anni. Ho una paura inspiegabile di svegliarmi un giorno e vedere su Facebook le notizie della morte di Carlo per overdose, e io non ho potuto nemmeno parlarci l'ultima volta perché mio padre non parla con loro. E non potrò fare niente per impedirlo, nessuno farà niente. Questa cosa mi schiaccia ogni giorno sempre di più.

Papà aveva anche una sorella col  suo stesso cognome di nome Anna. Era così bella, la chiamo l'eterna minorenne io. Non posso fare a meno di pensare a quanto sia stato autodistruttivo per mia nonna mettere al mondo una figlia e vedersela morire sotto gli occhi a neanche vent'anni. Il visetto innocente e levigato, un fiore blu al collo, l'espressione seria, tanti problemi sulle spalle. Papà di lei ha tante foto. Per tante foto intendo tipo una decina, mia madre non vuole foto di parenti dalla parte di mio padre in casa, li detesta. Comunquesia, Anna morì di setticemia a seguito di una gravidanza non portata a termine, il bambino morì dentro di lei e le causò una gravissima infezione interna che col tempo coinvolse tutto il corpo e  le conseguenze furono irreparabili. Morì pochi giorni dopo il suo compleanno, in aprile, tutta intubata all'ospedale. 

Mia nonna è depressa. Sta 365 giorni all'anno chiusa nel suo appartamento, passa il Natale da sola, le feste da sola, esce solo per fare le pulizie a quelli del suo palazzo o a quelli dei palazzi vicini, poi con le poche lire che guadagna va a farci la spesa. Quando era un ragazzo anche mio padre rubava, certo non poteva rimanere a fare l'elemosina per campare la famiglia essendo il fratello maggiore, quindi entrare di notte nelle officine per rubare pezzi di macchine e moto e poi rivenderli era all'ordine del giorno. Lui però con la droga pesante non voleva averci a che fare, si faceva solo le canne da giovane. 

Aveva amici che si facevano, un paio da quanto ho capito, che poi sono morti. Mio padre litigava e faceva a botte con chiunque. Botte da orbi tra bande di giovani nemici degne di film, stile I ragazzi della 56° strada o dal film I guerrieri della notte. Prima che nascessi io si fece cinque anni di carcere a Rebibbia, poi quando io ero una neonata se ne fece un altro paio, e in quel tempo io e mia madre andammo a vivere da mia nonna materna.

Mia nonna materna Rosa e mia zia Nancy sono persone di cuore che mi hanno cresciuto quando mio padre e mia madre lavoravano dalla mattina alla sera, ma non ho mai compreso il perché anche per loro quando si nomina la famiglia di mio padre è come se si nominasse l'anticristo; tutto ciò è veramente assurdo. La cosa che mi sconvolge di più è che mia madre quando avevo cinque anni riuscì a convincere tutti che aveva ricevuto dalla madre di mio padre delle minacce da aborto quando era incinta di mia sorella Daniela. Tutto è al limite dell'incredibile in questa famiglia, se così si può chiamare.

Sul conto di mia madre non ho molto di particolare da raccontare. Beh, quasi niente.

Quando ero nata da poco ebbe una specie di shock emotivo post-parto, non so come ma di quel periodo mi hanno raccontato che era di un nervoso terribile e che non mi voleva vedere, per questo io fui affidata a mia nonna materna. C'era lei che si svegliava la notte per me quando piangevo, che mi preparava il latte, che mi cambiava i pannolini o che mi faceva guardare i cartoni animati in tv. Crebbi con le sue cure e quelle di mia zia Nancy, che all'epoca aveva dodici o tredici anni circa fino a che non compii due anni. Mia madre però da allora non si è ripresa mai veramente. Io in adolescenza quando mi prendevo ancora la briga di dedicare il mio tempo a questi pensieri avevo l'abitudine di buttarmi sul letto e mettermi a guardare il soffitto, pensando che tante volte se era uscita di testa era stata solo colpa mia. Adesso non ci penso proprio più. 

Il vento tra i palazziWhere stories live. Discover now