Dal tramonto all'alba

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Nonostante le alzate di testa che faceva ogni tanto mia madre io adoravo la mia famiglia quando ero piccola. Quando andavo ancora all'asilo papà mi portava a lavoro con sé e mi faceva salire sui tetti delle case per riparare la guaina e anche a casa nostra, oppure io correvo e mi arrampicavo sulle montagne di calcinacci che riportava lui a casa dal lavoro e mi graffiavo tutte le gambe perchè la maggior parte delle volte ero in pantaloncini, ma rincasavo con le ginocchia sbucciate solo pochissime volte. Un giorno correvo spedita giù dalla piccola discesa della strada sù casa nostra e sono finita a grattarmi entrambe le ginocchia sull'asfalto, mi uscì un bel pò di sangue ma papà senza fare una piega mi portò a casa e mi pulì le ferite con dell'acqua appena tiepida e senza mettere cerotti o pomate mi guarirono in pochissimo tempo. All'epoca ero così, mi facevo male ma poi mi rigeneravo subito, non smettevo mai di divertirmi e fare la pazzoide. Certe volte i miei mi vestivano da maschio, e per come mi comportavo sembravo veramente un maschio. Giocavo ad i videogiochi con papà e anche con mia zia nel fine settimana, alle volte papà mi portava ad un grande maneggio vicino casa nostra ed aiutava un suo amico a domare dei cavalli ed in cambio mi lasciavano cavalcare i pony ed i cavalli più grandi. Alle volte gli davo anche da mangiare la sera prima che andassimo via io e papà. Papà non aveva un lavoro che lo teneva occupato dalla mattina alla sera tutti i giorni della settimana all'epoca, ma economicamente non ci mancava mai nulla ed eravamo sempre felici tutti insieme. Ci capitava di spendere intere mattinate o pomeriggi andando in giro nella campagna selvaggia con i cani e papà li incitava a correrci dietro quando si portava il motorino. A fine giornata tornavamo a casa tutti pieni di pagliuzze secche e forasacchi attaccati ai vestiti. La maggior parte del tempo eravamo uniti e felici tra di noi, con gli animali e la natura che era il nostro rifugio paradisiaco.

Io e mia madre ci volevamo bene. Quando ero figlia unica mi trattava come fossi la sua fatina, la sua lucciola, la bambina più bella di tutti i bambini del mondo. Non venivo viziata, ma comunque le attenzioni di ma' e pa' erano tutte per me e anche per mia nonna e zia Nancy era lo stesso.

Vivevo una vita serena, non avevo preoccupazioni e negli anni dell'asilo andò tutti benissimo. Avevo un'amica del cuore e schifavo le perfettine della classe, parlavano di me alle spalle già a quei tempi ma a me veniva soltanto da ridere quando beccavo il gruppetto delle bambine snob sussurrandosi cose all'orecchio mentre guardavano me. Mi rispettavano però, perchè sapevano che facevo a cazzotti anche col bullo della classe quando le maestre ci portavano fuori all'aperto e cominciavano a fare riunione tra di loro e ci si aggregavano pure le bidelle, e noi ne approfittavamo per fare gli spacconi dando dimostrazioni di lotta alle bambine e anche ad altri maschi che preferivano rimanerne fuori, senza spaccarci i denti o romperci il naso però, da bravi bambini. Tutto ciò era veramente uno spasso per me, a parte la mia migliore amica Aurora e un'altra buona di nome Vanessa non sentivo il bisogno di fare amicizia con nessun altro, però me la tiravo bene. Vanessa non era una pazzoide come me ed Aurora ma aveva quel tranquillo che faceva anche parte del mio carattere. Non avevo a cuore il combinar danni, ancora. Tutto ciò che facevo era divertirmi a modo mio e basta.

Il periodo delle elementari fu fortemente critico. Per me e per mamma. Forse lei non aveva mai avuto la pazienza per crescere una figlia già quando era giovane e negli anni a seguire, con la nascita di Daniela e Irene le cose sono semplicemente peggiorate di brutto. Non so dire con precisione né mi ci soffermerò su a pensare, quello che mi interessa dire è che mia madre odiava farmi fare i compiti e ora che deve farli fare anche a Daniela ed Irene che vanno alle elementari perde semplicemente la brocca. Ma procediamo col calma.

Mia madre cominciava a odiarmi perché avevo un qualche disturbo dell'apprendimento che mi costringeva a ragionare qualche momento di più rispetto a tutti gli altri bambini, ma nonostante ciò sapevo capire tutto. Il peggio era nella matematica. Logicamente poi mia madre non si è mai permessa di spendere una lira per farmi fare una visita allo scopo di verificare se avevo la dislessia, quindi ad oggi per me questa faccenda rimane ancora un mistero. Era di routine per me che ogni pomeriggio in qualche modo andassi in circuito durante i compiti, perché mia madre mi metteva pressione o soggezione, quindi pensavo di essere solamente una ragazzina disabile e menomata e andavo a dormire solo dopo aver fatto il pieno di botte. Già da piccola mi sentivo come la peggior merda del mondo, credevo fermamente di non essere brava a fare nemmeno i fottuti lavoretti di Natale.

Quando iniziai la seconda elementare a matematica ci insegnarono le tabelline. Una sera mia madre tornò a casa tardi dal lavoro, l'unica volta che abbia lavorato in vita sua, ed io ero rimasta a casa con papà per fare i compiti e impararmi la tabellina del 2, e alle sette di sera non ero ancora riuscita nell'impresa. Mia madre rientrò e mi trovò in cucina rannicchiata sulla panca di legno a disperarmi perché dicevo solo i risultati e non il due col moltiplicando come voleva la maestra, e sapevo che anche lei mi avrebbe umiliata coi suoi commenti poco carini davanti ai miei compagni di classe. Venivo picchiata e sminuita almeno tre volte alla settimana.

Poi ci si mise anche una ragazzina bulletta, una stronza viziata con i genitori pieni di soldi fino alle orecchie, che mi trattava come fossi la sua Barbie; io a quei tempi ero solo una bambina buona e innocente e sapendo che mia madre era amica della sua non sapevo come difendermi. Ero completamente succube. Ogni volta che mi invitava a casa sua me ne faceva una nuova, io provavo a raccontarlo a mia madre sperando che potesse almeno non mandarmi più a fare i compiti là, ma a lei non fregava un cazzo e questo andirivieni durò qualche mese.
Una volta mi tagliò la frangetta tutta storta e mia madre non se ne accorse fino a quando il giorno dopo a scuola le maestre le domandarono perché fossi conciata così. Non mi ci mandò più e per me fu un vero sollievo.
Qualche volta in classe ci litigavo, perché dopo che la storia della Barbie ebbe termine mi prese in antipatia, e capitava che ce le davamo. Io non ero quella che le dava per prima, tenevo solo a difendermi per non sembrare una ancora più stupida di quello che già sembrava davanti agli altri bambini. Una volta in classe mi beccai un calcio sul collo, mentre le maestre erano a prendersi il caffè nel corridoio, all'uscita di scuola lo dissi a mio padre quasi piangendo perché speravo andasse a parlare con la madre della stronza almeno, ma così non fu. Si incazzò con me per non essermi difesa a modo e il calcio me lo tenni.
Nulla si risolse, ma fortunatamente poi arrivò la quinta elementare, dopo infiniti cicli di botte e parole dure, fatte le prove invalsi le nostre strade si divisero per sempre.

Fortunatamente il periodo delle medie non ebbi bisogno di chiedere sostegno ai miei genitori, cominciavo ad essere abbastanza grande per nascondermi i problemi, e cominciai di nascosto con l'autolesionismo.

Il vento tra i palazziWhere stories live. Discover now