~Prologo~

94 13 28
                                    

~La legenda del nome Sparta:

Lacedemone è figlio di Zeus e della pleiade Taigete (Pleide=figlie di Atlante e di Pleione); sposò Sparta figlia di Eurona, dalla quale ebbe due figli, un maschio di nome Amicla e una femmina di nome Euridice.
Lacedemone fu re della Iaconia e, secondo la tradizione, fondò la città che porta il suo nome.

~Sparta 550 a.C~

Il vento soffiava inquieto, si poteva udire il suo grido fin dentro i giacigli delle case spartane. Non era facile abbandonarsi al sonno, in una notte irrequieta, soprattutto per il re della stirpe degli Agiadi. Anassandrida II si alzò dal letto, dirigendosi verso una finestra coperta da una sola tenda bianca, si appoggiò alla dura pietra che fungeva da cornicione e rivolse lo sguardo al cielo.
Zeus aiutarmi tu per favore, esclamò in un sussurro il re, prima di voltare lo sguardo per dirigerlo in direzione della sua bellissima coniuge.
Si avvicinò a lei silenziosamente e le accarezzò le gote rosee. Un tocco delicato si appoggiò sopra la mano del re e degli occhi castani si schiusero appena, i raggi della luna piena schiarivano quest'ultimi e ad Anassandrida parve di stare osservando una dea.

«Cosa vi turba mio sposo?» chiese la regina con voce soave.

Anassandrida le regalò un sorriso dal quale traspariva tutto l'amore che provava per lei. «Nulla mia sposa, cercate di riposare, domani avremo una giornata abbastanza impegnativa», rispose con finta calma.

Passò la mano dietro il capo di Olimpia, la sua splendida sposa e là cullò appoggiandola al suo petto. Olimpia assaporò il calore del corpo di suo marito provenire da quell'ampio petto e il forte vento, che incuteva terrore, sembrò fischiare una melodia quasi soave per le sue orecchie, quando le possenti braccia del marito le circondavano, non c'era nulla che potesse tubarla.

*

«Salve Aristarco, come sta tuo figlio?» disse con un sorriso Anassandrida appena fuori casa. Il suo amico si diresse verso lui e, scambiandosi una pacca sulla spalla, si salutarono senza troppo convenienti.
Anassandrida e Aristarco indossavano entrambi il tribon, mantello lacedemone strettamente avvolto al corpo color cremisi, ai piedi i sandali colore oro. Il re aveva lunghi capelli raccolti in trecce e sulla nuca, con due di esse libere.

«Tua moglie sa cosa ti hanno detto gli efori?» chiese Aristarco abbassando il tono della voce e guardandosi attorno.

Anassandrida divenne serio, gli occhi fissarono un punto indefinito e senza mutare neanche un muscolo del viso rispose: «Mia moglie non sa nulla e deve continuare così...»

«Non puoi sottrarti alla legge!» continuò Aristarco preoccupato per l'amico e suo re.

Un uomo si avvicinò con passo deciso verso i suoi e fece un inchino, Anassandrida acconsentì con il capo e l'uomo parlò. «L'eforo eponimo ha chiesto che ti presenti in assemblea.»

«Rispondi che ci sarò», rispose secco il re, l'uomo si congedò con un altro inchino e se ne andò

«Ti lascio alle tue riflessioni amico, qualsiasi parola possa dire, di sicuro non gioverà al tuo animo», concluse Aristarco.

Anassandrida gli rivolse un debole sorriso e la sua mente lo ringraziò per aver capito che l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento, era proprio stare solo.
Alzò gli occhi al cielo, il sole era splendente e pensò che Apollo era dalla sua parte, non poteva regalargli un così splendente e dorato sorriso per poi abbandonarlo al fato avverso. «No... No di certo», mugugnò tra sé.
Dei passi leggeri attirarono la sua attenzione, si voltò e il viso prese a sorridere di gioia. «Mia signora», disse mentre si avviava a gran passi verso Olimpia. Allargò le braccia e la donna si gettò addosso, poche volte potevano godersi un momento così intimo fuori casa, solamente quando erano lontani da qualsiasi occhio, a Sparta non c'era posto per la tenerezza, ciò se avveniva in pubblico, poteva essere scambiata per debolezza e i monarchi non potevano insinuare il dubbio nei loro cittadini.

«Stanotte ho fatto un sogno mio re. Ero ricoperta di sudore e in preda alle doglie di parto e...» Olimpia fu interrotta dal coniuge che le pose una mano nel viso e pronunciò più volte il suo nome. Olimpia sgranò i suoi grandi occhi color nocciola e il viso sfilato dai tratti delicati assunse un'espressione seria.

«Olimpia voi non dovete torturarvi per questo», disse il re con comprensione, ma Olimpia strinse il labbro, segno che si era indisposta con il marito e lui intese immediatamente che l'aveva posta di cattivo umore e trattenne una risata. «Adoro quando ti adiri moglie mia», disse stringendola a sé.

Olimpia osservò le iridi del marito, notò che le rughe intorno ai suoi occhi erano aumentate e i capelli bianchi altrettanto, erano ormai quasi tutti grigi e il suo cuore si strinse in una morsa piena di dolore.
«Oh mio re, voi della stirpe di Eracle, voi senza un figlio. Perché vi siete scelto una donna sterile come me?» Il viso di Olimpia si bagnò di lacrime, Anassandrida abbassò il volto verso il suo e la rincuorò: «Non volevo dirvelo per non creare in te false speranze, ma anch'io ho sognato che mi davate un erede e pensa, ho visto il bambino essere preso in mano dalla nutrice e un leone che usciva dal vostro letto, non potevo toccarlo ma nel sogno mi resi conto che la sua pelle era invulnerabile.»

«Voi pensate che sia un segno degli dei?» domandò colma di speranza.

«Io credo di sì. Apollo mi sostiene e credo che mi stia mandando dei segni», concluse pensieroso.

L'aria era calda, il sole cocente picchiettava sopra le teste degli spartani, ma loro sembravano insofferenti a qualsiasi avversità si abbattesse sul loro corpo, del resto era così che erano abituati. Dovevano dimostrare la loro resistenza alle stagioni e il corpo era talmente abituato che non soffriva né caldo né freddo.

I monarchi si inoltrarono nel centro della città, dei bambini giocavano a battersi e di tanto in tanto anche qualche fanciulla azzardava a provocare qualche bambino perché si battesse con lei.

«Anassandrida!» esclamò un vecchio poco distante.
Il re lo guardò freddamente e Olimpia si preoccupò. «Non è l'eforo eponimo?» chiese quest'ultima.

Anassandrida sapeva già cosa l'eforo volesse comunicargli, ma finora non aveva osato dir nulla a sua moglie, ora era giunto il momento, Olimpia avrebbe saputo e lui non poteva più far nulla per proteggere la moglie dalla decisione che gli efori avevano preso per lui.

L'eforo si avvicinò e salutò la regina ossequiosamente, poi rivolse l'attenzione al re e senza giri di parole disse: «Abbiamo trovato una soluzione al vostro problema. Non avrete bisogno di ripudiare vostra moglie, il consiglio vi concederà di prenderne un'altra in modo che possiate generare un erede per Sparta.»

Anassandrida si voltò immediatamente verso la moglie, non l'aveva mai vista in quello stato, pallida e fragile. «Guardatemi per favore», la supplicò, ma Olimpia restò ferma, i suoi occhi fissavano l'eforo e il suo corpo non era più in grado di muovere un muscolo.

SPAZIO AUTRICE

Salve a tutti 😊
Mi farebbe piacere ricevere un parere su questo prologo, non ho voluto affollarlo subito con tutti gli avvenimenti, però voglio dirvi una cosa al riguardo, della moglie di Anassandrida non si conosce il nome, quindi le ho messe Olimpia di mia fantasia. Pensate sia appropriato e si intoni con la storia?
Aggiungo che sono davvero emozionata, non è facile scrivere di persone esiste davvero, soprattutto quando queste persone sono diventate legende, ho "ansia" nel pensare a quando dovrò descrivere e caratterizzare Leonida, per me uno dei più grandi eroi dell'Ellade.
Un bacio a tutti voi che deciderete di seguire questa storia 😘❤

Leonida e GorgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora