Milano 16/04/2018, ore 23:00

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Il treno che porta a Bari impiega all'incirca quarantacinque minuti per arrivare a destinazione. Quarantacinque minuti vuoti, buttati tra questa massa di gente melliflua, pronta a scannarsi e che continua a scrutarsi in cagnesco in puro segno di sfida. Tutti pronti a tirar fuori le fauci. Non so se sia realmente così, ma per me lo è.

E lo deduci da quello che vedi?

Ma è ovvio! Homo homini lupus, diceva qualche filosofo del cazzo. Appena un attimo di distrazione e sono tutti pronti a fregarti in qualsiasi modo. Preferisco chiudermi in me stessa a questo punto. Ho sempre fatto così e non ho mai avuto problemi. Qui sto bene, se non fosse per te.

Appunto. Sai quante volte ti ho salvata?

Da chi?

Da te stessa. Ti sei creata la tua ideale e perfetta zona di comfort. Anche se vedo che sta diventando sempre più piccola, sempre più sottile. E non va bene.

Finché mi ci trovo bene. Non vedo necessità di cambiare per gli altri. Gli altri non cambiano per me. Preferisco non farti parlare, guarda.

Ho solo bisogno di qualcosa che mi calmi dall'incontro con Carlo. Ancora devo capire bene cosa sia successo.


Trova qualcosa che ti tenga impegnata allora...

Forse è il caso di controllare la copia del curriculum che ho inviato insieme alla mia lettera di presentazione all'azienda. Spero di non aver combinato qualche altro strafalcione dei miei, penso.

Dal trolley, aprendo l'ultima cerniera, estraggo una piccola valigetta. Dentro ci sono il mio netbook e un paio di cuffiette. Le indosso e sollevo lo schermo. Non ho ancora premuto sul pulsante di accensione.

E cosa vedi?

Me. Il mio riflesso.

Mi fa paura la mia immagine, ogni volta mi mette sempre più a nudo con la vera me stessa, con la vera Annarita, con la parte più profonda e oscura di me. E' come ogni volta aprire la stanza segreta di Barbablù. Non sai mai cosa puoi trovarci dentro, ma hai l'angosciosa sensazione che si tratta sicuramente di qualcosa di sbagliato.

20 spettatori.

Io sono sbagliata.

La consapevolezza è il primo passo verso l'accettazione di sé.

Sì, ma... faccio schifo lo stesso! Cioè vi giuro, mi ero sistemata per bene a casa, non che avessi prenotato l'estetista e la parrucchiera per mostrarmi presentabile per un viaggio in treno, ma un velo di trucco l'avevo messo.

Lì, nel riflesso, non vedo più nulla, solo sbavature.

E Carlo mi ha vista così. Chissà cosa avrà pensato.

E sopratutto quel tipo che ti ha aiutata.

Esatto! Dio, che schifo di impressione devo avergli dato?

Annarita si mette le mani tra i capelli, vedendo la propria immagine nel piccolo schermo del telefono, ruotando la telecamera un po' verso il profilo sinistro, ora verso quello destro. Insomma, vuole vedere in che stato sia, considerando che è stanca, sta parlando già da almeno dieci minuti da sola, stanca per un viaggio infinito e con due occhiaie profondissime.

Grazie per darmi sempre fiducia, Carolì...

Realismo, mia cara, realismo.

Apro il lettore musicale e lo faccio partire con una playlist a caso tra le mie. Si apre un brano di un gruppo che sicuramente non conoscete, i "Love and Money". Un sound tipico della fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, i miei anni.

"When dreams don't become therir people, people become their dreams" dice la canzone.

Mi è sempre piaciuta questa frase.

Già, anche a me.

Ma sapete che vi dico? Che non ho nemmeno voglia di leggere quello che ho scritto, tanto oramai è stato tutto inviato. Anche se dovessi scoprire qualche errore oramai la frittata è fatta e non avrei la forza di sopportare l'ennesimo rifiuto. Poi lì nel treno mi viene improvvisamente voglia di scrivere.

Tu? Scrivere?

Ogni tanto, ma io scrivo per me stessa. Per puro sfogo.

Continuo a rimanere indifferente alle persone che mi circondano, tanto tra una cosa e l'altra il tempo passa. Se poi mi metto a scrivere passerà ancora più velocemente. Non so come mai, la scrittura ha la capacità di cambiare la mia percezione del tempo. E forse non solo la mia.

Apro un nuovo documento, lo chiamo "Sfogo.docx".

Riesco a scrivere solo tre parole incolonnate. Null'altro.

Poi socchiudo leggermente le palpebre. Gli occhi si sono fatti improvvisamente pesanti, come le mani. Come la testa. Come tutto qui intorno.

Annarita fissa la propria immagine sullo schermo mentre pensa a cosa dovrà dire. Forse già si sta pentendo. Forse no. Ma vuole riaprire quel file. Quelle tre parole. Vuole vederle di nuovo sotto gli occhi.

Mette il video in pausa, la diretta si interrompe bruscamente.

0 spettatori.

Poggia il proprio smartphone sul cuscino e con un piccolo gesto di stizza prende il netbook che ha ancora nella valigetta.

Pulsante di accensione.

Doppio click sul file.
Gli occhi che si fermano su quelle tre dannate parole:

The TrainerWhere stories live. Discover now