Roma, 27/05/2017 ore 18:04

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Annarita.

È il mio nome.

È il suo nome.

Aumenta la lista delle cose che abbiamo in comune, io e quella ragazza che solleva appena il capo verso suo padre. Uno sguardo languito dalle lacrime, dilaniato da qualcosa che riesco ad intuire ma non mi è ancora del tutto chiara.

Non sono abituata a sentire qualcun altro con il mio stesso nome. A qualcuno risulterà banale, ma penso che chiamare qualcuno per nome sia un chiaro segno della nostra vicinanza, del nostro affetto, della nostra devozione, del nostro amore per quel qualcuno; è per questo che ho dato un nome alla mia coscienza. È vero, un nome fastidioso per le mie orecchie, ma è pur sempre un nome; è pur sempre un segno che io, nel più profondo del cuore, le voglio bene.

Non so se si tratti o meno di un caso, ma è meglio chiedere al Trainer il perché di questa omonimia.

– È una coincidenza questa, che io e lei abbiamo lo stesso nome, non è vero?

Per tutta risposta, lui scuote il capo e replica con un'altra domanda:

– Tu cosa pensi?

– Penso che dovresti smetterla di rispondere ad una domanda con un'altra domanda. E, se proprio vogliamo essere onesti, non credo nel destino, nel fato, nelle coincidenze. Credo che tutto quello che accade non debba avere per forza un motivo. Non credo che esista qualcuno che ha già preconfezionato la mia vita, magari con qualche bel fiocchetto e qualche scatola di cioccolatini... scaduti.

Il mio amico fa qualche passo in avanti, si frappone tra me e l'altra Annarita e, dall'alto della sua enorme conoscenza, si prepara ad un sermone dei suoi:

– Forse non ci hai mai fatto caso, eppure esistono milioni e milioni di piccoli lacci legati, stretti con tantissimi nodi, ad ogni scelta che facciamo, nodi che possono distruggere o migliorare la nostra vita, ogni volta che scegliamo. È nei momenti di massima disperazione, di completa assenza di un qualche barlume di sublimata esistenza che siamo certi che il destino non sia cosa nostra, che non esista. Invece esiste eccome. La fede, il destino, il fato, le coincidenze o in qualsiasi modo tu le voglia chiamare esistono: sono ciò che noi creiamo.

Rimango per un attimo a meditare sul contenuto più intimo di queste parole. Le sento molto mie. Ma non faccio in tempo a ragionare che vedo la ragazza accovacciarsi su di un angolo del letto, conficcando le unghie nelle lenzuola di lino bianco. Poi si siede, incrociando le gambe, mantenendo sempre la testa bassa. Vuole mascherare con i capelli i suoi zigomi, il suo volto.

È piena di vergogna, come se avesse fatto del male a qualcuno, o come se avesse subito un torto. Non so dirlo con esattezza.

E poi, finalmente, alza lo sguardo, toccando quello di suo padre; è come se si fossero guardati per un'ora intera in due secondi.

– Papà, io... io ci ho provato. Ci ho provato più volte.

Cerco di sintonizzarmi sulle sue parole, sulle parole di Annarita.

– Che cosa succede? – dice il padre, accomodandosi accanto a sua figlia e carezzandole teneramente i capelli.

– Ci ho provato a farmela passare, a farmela sparire questa febbre per Adrian; ho passato tutto il pomeriggio a pensare e alla fine sono arrivata a fare un elenco di tutti i suoi difetti, con la speranza che quello che sento dentro scompaia. Nulla, invece, non riesco a togliermi questo pensiero, la vedo ovunque, in qualsiasi gesto, segno o situazione che mi capiti.

"Tutto il pomeriggio a pensare," riecheggiano le sue parole nel mio pensiero.

Anche io passavo pomeriggi interi a pensare, a fissare il soffitto, senza fare assolutamente nulla. Pensare è l'attività più volubile che io conosca. Se poi l'argomento è il destino sentimentale allora il pensiero diventa come un tornado, che più spazio ha da percorrere e più si ingigantisce.

The TrainerWhere stories live. Discover now