Capitolo Ventiquattro

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Non le venne mai detto quale fu la sentenza di Nick Fury, o cosa ne avessero fatto della lista che lei aveva stilato.
Semplicemente, il giorno seguente uno degli Avengers scese nella prigione e si sedette affianco alla porta come faceva chiunque non fosse Peter, guardandola dalla propria postazione.
Lei rimase zitta, continuando il disegno che stava facendo da ormai quasi un'ora. Aveva scoperto di avere grandi doti nel disegno, anche se non sapeva dire se fosse una conseguenza a qualche esperimento o una semplice dote naturale.
Ciò a cui stava lavorando con così tanto impegno era un ritratto, il ritratto di suo fratello.
Era così concentrata a disegnare la mascella squadrata del ragazzo a cui più aveva voluto bene in tutta la sua vita da dimenticarsi della presenza della "guardia". Perciò non si aspettava che l'uomo parlasse.
-Disegni bene.
Evie alzò lo sguardo dal foglio, vedendo l'Avenger in piedi appena fuori dal vetro della sua gabbia, intendo ad ammirare con sguardo concentrato il ritratto quasi terminato.
Lei strinse di un poco le labbra, annuendo piano e tornò a concentrarsi sul disegno.
-Evie, non è così?-
La ragazza annuì, senza alzare lo sguardo dalla sua mano che riportava la meravigliosa forma degli occhi di Elijah, identici ai suoi.
-Peter mi ha parlato di te. Troppe volte.-
La sua mano si fermò per un istante, riprendendo poi a disegnare come se niente fosse, ma all'uomo il dettaglio non sfuggì.

-Come mai Peter?
Lei alzò lo sguardo interrogativo, prestando finalmente vera attenzione a colui che avrebbe dovuto semplicemente tenerla d'occhio da una sedia posta a tre, quattro metri dalla sua gabbia.
Steve Rogers sorrise.
-È l'unico con cui comunichi, l'unico a cui hai detto il tuo nome, l'unico che sembra capace di avvicinarsi emotivamente a te. Perché?-
La ragazza mise da parte il disegno e scrisse su un secondo foglio, alzandolo poi verso il vetro che la divideva da quello che, lei lo sapeva bene, era Captain America.
-È l'unico che si interessa. E sai perché lo fa?-
Lei scosse la testa.
Il ragazzo che sapeva essere Spider-Man doveva avere circa la sua stessa età, ma nessun altro dettaglio le suggeriva il perché Peter fosse così determinato ad esserle amico, a starle vicino.
Steve Rogers annuì, tornando poi verso la propria sedia.
-Peter dice che da quando sei qui dentro non ti ha mai sentito parlare, eccezion fatta per ieri.-
La ragazza non rispose, come a evidenziare il concetto.
-Dovevi vedere come era su di giri sapendo che la tua prima parola qui dentro è stato il suo nome. Continuava a guardare nel vuoto sorridendo.-
La Gemella ebbe una stretta allo stomaco a quella rivelazione. Non credeva che per Peter fosse così importante una cosa di quel genere.
Steven le dava ancora le spalle, ma sembrava riuscire a vederla perfettamente in volto.
-Scenderà questa sera, dopo Wanda. Oh e, a proposito di lei, penso che vorrà parlarti. È la prima volta che scende.-

Evie non rispose.
Tentò di tornare al suo disegno ma dopo una ventina di minuti si ritrovò a disegnare il volto di Peter su un altro foglio, con il ritratto del Gemello abbandonato a metà al suo fianco.
Solo una volta terminato quello di Peter la ragazza riuscì a riprendere il disegno del fratello.
I turni duravano quattro ore e quello di Rogers non era nemmeno a metà quando Evie terminò finalmente di riportare su carta il volto impresso nei propri ricordi.
Con una strana sensazione al petto, non esattamente piacevole, attaccò il disegno terminato alla parete della gabbia, facendo poi sparire il tavolo che aveva usato come piano di lavoro e il disegno di Peter insieme ad esso.
Sotto lo sguardo perennemente vigile di Rogers, la ragazza si mise a meditare nel centro della gabbia.
Sentiva il bisogno incessante di liberarsi dalle emozione che avevano seguito la conversazione con il biondo, nonostante solitamente lei meditasse ad altre ore del giorno.
Era praticamente mezzogiorno e avrebbe dovuto mangiare, ma scoprì di aver perso tutta la fame che si era accumulata durante il mattino.
La cosa non la sorprendeva più ormai, erano anni che la fame spariva all'improvviso, come se il suo corpo non avesse un bisogno reale di nutrimento costante.
Sapeva che era una conseguenza dei potenziamenti ricevuti, ma ogni volta che le capitava rimaneva sempre un pochino stupita lo stesso.

Nonostante tutti questi pensieri, riuscì a svuotare la mente e dimenticare di trovarsi in una base S.H.I.E.L.D., in una gabbia sorvegliata da Captain America, privata per sempre del fratello.
Si dimenticò di tutto, concentrandosi solo sul proprio benessere e su ciò che le dava forza.
Ricordava la rarissima risata del Gemello, che le metteva sempre il sorriso, oppure la sensazione di libertà che provava mentre si allenava.
E a quelle sensazioni che erano presenti da una vita in lei si aggiunsero quelle dei nuovi ricordi: l'abbraccio che il soldato Ivanov le aveva dato alla base di Samara, la sensazione di calore data dalle mani di Rodrigo quando esse si chiudevano sulle proprie, le battute insensate ma divertenti di Alvaro e per ultimo il modo in cui Peter arrossiva quando parlava di Liz.
Poi Evie si concentrò di più.
Voleva rivedere quel ricordo, quello che continuava a cercare nella propria mente.
Aprì gli occhi su quel momento impresso nella sua memoria e per l'ennesima volta da quando il giorno prima aveva ripreso a ricordare, si ritrovò seduta su un divano che era tanto familiare quanto estraneo.

Sopra i cuscini color ocra sedeva una donna dai bellissimi occhi azzurri.
Cieca.
Evie lo riusciva a sentire.
"Eli torna qui!" rideva la donna come ogni volta, trattenendo per la maglietta un bambino dagli occhi del più bel verde esistente. Il bimbo si fermava, arrampicandosi sul divano e spintonando leggermente una bambina identica a lui, così da potersi sedere anche lui.
"Ahi!" protestava la bambina, tirando i capelli fitti e neri del fratello.
"No Evie, non si fa." disse quella voce.
Per l'ennesima volta, la Gemella si voltava il più in fretta possibile verso quella che sapeva essere la porta della cucina, nella speranza di riuscire a vedere il volto dell'uomo.
Ma per l'ennesima volta il ricordo sfumò, lasciando come ultima immagine una camicia azzurra che lasciava intravedere due braccia di metallo, accompagnate dalla voce innocente dei due gemellini che chiamavano il padre.

Evie si ritrovò a tornare bruscamente alla realtà, appoggiando le mani davanti a sé sul pavimento.
I capelli le caddero ai lati del viso mentre una lacrima le rigava la guancia, seguendo i solchi delle cicatrici.
-Papà...- sussurrò, fissando il solido pavimento davanti a lei.
Alla sua sinistra il rumore della porta che si apriva precedette dei passi e la costrinse a voltarsi verso l'entrata, dalla quale una ragazza si stava avvicinando al vetro.
-Sono Wanda Maximoff.-




Wakanda
Due aggiornamenti in un giorno yep.
Allora, come prima cosa voglio chiedervi:
quanto è tenero Peter?
Santo Loki, quanto lo amo.

Punto secondo, la parte di Wanda sarà importantissima, se non essenziale per Evie. Vi metterò un po' sulle spine, ma la conversazione che le nostre due ex gemelle avranno sarà di vitale importanza per il futuro di Evie e l'amicizia che nascerà tra le due Scarlet sarà utile ad entrambe. Come avrete di certo capito, le due ragazze hanno una storia simile, molto simile, perciò non è difficile immaginare perché sia proprio Wanda a voler parlare con lei.

Ma basta spoiler, domani posterò l'intermezzo e forse anche la prima parte del capitolo con Wanda (, perché è venuto talmente lungo che l'ho dovuto dividere a metà lel).
E niente, adios.

||Progetto Gemelli Medusa|| ✅Where stories live. Discover now