사 (acido peracetico)

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Jungkook era un uomo di parola

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Jungkook era un uomo di parola. Taehyung lo imparò nel corso dei giorni, quando trovò davvero una carta di credito nera sul tavolo del salotto, quando davvero le uniche volte in cui si incontravano era per sbaglio la sera. Un solo "ciao" era ciò che gli concedeva il padrone di casa, dopodiché svaniva nelle sue felpe e nei suoi videogiochi. Spesso nemmeno lo salutava, girava per casa con le cuffie sulla testa e fingeva di non vederlo, o forse non lo vedeva davvero. Aveva comprato una cuccia a Yeontan che, probabilmente, costava più di un appartamento al centro di Seoul: era spaziosa, dotata di aria condizionata e dei morbidi cuscini migliori del letto in cui dormiva. Yeontan scorrazzava felicemente nel giardino e aveva imparato a non avvicinarsi troppo a Jungkook, ché non avrebbe ricevuto carezze sulla testa nemmeno facendogli gli occhi dolci.

I giorni all'università si alternavano noiosamente: studiava, attraversava i corridoi della sua facoltà come la Walk of Shame, lanciava sguardi di fuoco a quella che era stata la sua migliore amica e ignorava i bisbigli che lo seguivano per tutto il campus riguardo la sua famiglia. Non che gli importasse granché: a eccezioni di pochi, mai aveva avuto tanti amici; solo conoscenti.

Incontrò il nuovo domestico casualmente, uno dei giorni in cui non avrebbe avuto lezioni. Taehyung aveva l'abitudine di girare in mutande, sfoggiando senza vergogna il proprio corpo, conscio soprattutto dell'assenza di Jungkook. In quei giorni, benché si parlassero sporadicamente, stava imparando a conoscerlo: soffriva il freddo, si rintanava nella sua tana, si dedicava ore e ore alle pulizie, tendeva a chiudersi in un silenzio religioso che nemmeno un sorriso contagioso come il suo avrebbe potuto scalfire. Jungkook era testardo, ostinato, inavvicinabile. Taehyung, d'altra parte, non aveva pazienza.

Con i piedi scalzi e un pantalone della tuta a fasciargli mollemente i fianchi, scese le scale grattandosi distrattamente la testa. Un grosso sbadiglio gli aprì la bocca e gli occhi si strabuzzarono quando scorse un uomo di spalle a lucidare il tavolo basso vicino al sofà.

«Jungkook?» avanzò, ma era una domanda stupida, perché Jungkook non era né basso né aveva i capelli rosa come i confetti della cresima.

Il ragazzo si voltò subito, esibendo un sorriso zuccheroso. «Jungkook è al lavoro, io sono il domestico. Piacere, Jimin».

Quel giorno, Taehyung apprese che Jungkook aveva buon gusto. L'incarnato pallido di Jimin si sposava perfettamente con la tonalità rosata dei suoi capelli, il maglioncino celeste gli regalava quell'aura angelica vincolata solo alla puerilità di un infante. A un sorriso come quello, avrebbe potuto attribuire la stessa età del padrone di casa, ma a un'occhiata più profonda si scorgeva il fascino della maturità nei lineamenti minuti.

«Non mi aveva avvisato. Cioè, non credevo arrivassi oggi» Taehyung lo raggiunse a grandi falcate, stringendogli la mano. Guardò in basso, «Mi sarei reso più presentabile di così».

Jimin scosse dolcemente la testa; in una mano teneva un panno, nell'altra un flacone igienizzante. «Fortunatamente non mi scandalizzo per poco. A proposito» indicò spudoratamente il petto di Taehyung, «Ha fatto male?».

CANDEGGINA SPRAY // vkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora