6.Troppi perchè.

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Non esitai un solo istante, non appena sentii le sue parole,lo seguii, fino ad uscire dall'edificio.
Mentre camminavo dietro di lui, la mia mente non faceva altro che chiedersi il perchè di tutto quello che stava succedendo: perchè voleva riportarmi a casa? Perchè mi fissava in quel modo, ogni volta? Ma soprattutto, perchè mi aveva baciata?

«Professore, non è necessario che mi accompagni, davvero, non vorrei esserle di intralcio, sicuramente avrà altro da fare»

Raggiunse la sua auto, prima di posare, per l'ennesima volta, il suo sguardo su di me.

«Non ho nessun impegno e poi, sarebbe indifferente. Sei senza motorino, non posso lasciarti andare a casa a piedi, soprattutto, dopo il modo in cui mi hai difeso. Chiariamo il concetto, Rebecca, non che io ne abbia bisogno, ma è stato..... bello.»

Lui parlava ed io non riuscivo a non restare affascinata da ogni suo minimo movimento. Non mi era mai successo prima, ma il suo tono di voce, il suo modo di sorridere, i suoi occhi, erano capaci di farmi sciogliere.
Solo dopo qualche istante, mi resi conto di quanto il mio nome, pronunciato dalle sue labbra, risultasse mille volte più bello.

«Allora, la ringrazio»

Dissi, mentre lui prese l'enorme scatola dalle mie mani, per posizionarla accuratamente nei sedili posteriori,prima di aprirmi lo sportello, per farmi accomodare.
Appena entrai in macchina, sentii il suo profumo, invadermi le narici, a tal punto da farmi girare la testa.
Entrò e dopo aver allacciato la cintura di sicurezza, mise in moto, ingranando la marcia.

«Indicami la strada, Rebecca»
«La prima a sinistra, al semaforo, prosegue dritto. È la prima casa sulla destra»

Avrei voluto sentire la sua voce, chiamarmi continuamente, ero assuefatta da tutto ciò che lo riguardasse.
Abitavo fin troppo vicina alla scuola, solo in quel momento mi resi conto di quanto volessi rendere quel viaggio, interminabile.
Seguì alla lettera le mie indicazioni e nel giro di pochi minuti, la sua Mercedes grigia, si ritrovò parcheggiata davanti al vialetto della mia villa.

"E adesso che faccio, lo invito ad entrare oppure lo saluto?"
L'ennesima domanda iniziò a tormentarmi. Se lo avessi invitato ad entrare, avrebbe potuto pensare che fossi una delle tante, mentre salutandolo, sarei potuta passare per cafona.
"Andiamo Rebecca, deciditi, svegliati!"
La mia vocina interiore prese il sopravvento su di me.

«Posso, posso offrirle qualcosa? È stato così gentile a venire fin qui, che non posso mandarla via, senza sdebitarmi»
«Un caffè, lo accetto volentieri, ma non vorrei metterti in difficoltà con i tuoi»
«Non... Non ci sono, rientreranno domani in giornata, hanno degli impegni di lavoro»

Dissi, prima di scendere dall' auto, mentre osservai il suo corpo così dannatamente sexy, fare il giro della macchina, per prendere la scatola con il mio vestito.
Aprii la tasca dello zaino per prendere le chiavi, prima di entrare.

«Si accomodi, faccia come se fosse a casa sua, io, nel frattempo, vado a mettere via questo.»

Presi la scatola dalle sue mani e gli indicai la cucina, prima di salire velocemente in camera.
Era lì, al piano di sotto ed io, nel panico più totale, non avevo la minima idea di come comportarmi.
Sistemai il vestito nell' armadio, prima di scendere e raggiungerlo, ma non appena tornai in cucina, notai il suo sguardo, immerso a leggere qualcosa.
Dannazione, non avevo fatto sparire il biglietto dei miei.
Credo che non si fosse reso conto del mio arrivo, perché strinse forte tra le mani quel pezzo di carta, come se volesse ridurlo in minuscoli pezzettini.

«Il regalo dei miei genitori»

Furono le uniche parole che riuscii a scandire, causa, ennesimo groppo in gola. No... Non potevo scoppiare a piangere davanti a lui, non doveva succedere.
A niente valse fare appello a tutto il mio autocontrollo, le lacrime iniziarono a solcarmi le guance.
Lasciò cadere il biglietto, prima di avvicinarsi a me, per prendermi il viso tra le mani.

«Ehi, non...Rebecca ti prego, non fare così»

Pronunciò quella frase, con un tono ancora diverso dal solito, sembrava che la sua voce tremasse.
Era incredibile il modo in cui mi facesse sentire, era incredibile come riuscissi ad essere me stessa, quando ero con lui.
Mi attirò a sé, stringendomi forte tra le sue braccia, così forte, da togliermi quasi il respiro. Mi abbandonai completamente al suo abbraccio e lo ricambiai, passando le braccia dietro la sua vita, poggiando la testa sul suo petto, prima di allontanarmi appena.

«Mi scusi, non so che cosa mi sia preso. È guardi qui che disastro, le ho sporcato la giacca»
«Al diavolo la giacca, vieni qui»

Lasciai che mi attirasse ancora a sé e stavolta fui io, ad accarezzargli la guancia.

«Perché mi hai difeso col tuo amico?»
«Uno, non è un mio amico e due, non sopporto chi viene insultato, quando svolge correttamente il proprio lavoro »
«Tre, quindi lo avresti fatto per chiunque?»
«Quattro, lei non è chiunque. Lei è il professor Mainardi. Uno dei docenti più in gamba che abbia mai conosciuto. Mi scusi ancora per prima... »
«Rebecca, parla con me, ti farà bene sfogarti»

Sciolsi l'abbraccio e mi appoggiai al marmo freddo del piano cottura.

«C'è ben poco da dire. Non mi manca assolutamente niente, si guardi intorno, ho tutto ciò che voglio.»

Di solito, come attrice, non me la cavavo male e speravo che sarebbe stato lo stesso anche in quell'occasione.

«A te manca qualcuno di cui fidarti»

Disse talmente vicino alle mie labbra, quasi da sfiorarle.

«Ho Clara, di lei mi fido»

Risposi senza allontanarmi, sentendo il suo respiro, confondersi con il mio.

«Ti manca un uomo, che ti faccia sentire importante.»

Portò le mani sui miei fianchi e le sue labbra sfiorarono ancora le mie.

«Mi mancano degli occhi che mi guardano come fa lei, ogni volta che... »

Ed ecco che la vibrazione del mio cellulare ci interruppe.
Sbuffai, ma non mi allontanai da lui, anzi, presi il cellulare dalla tasca e risposi.

«Ciao Clara, dimmi.»

I nostri sguardi, ancora incollati.

«Tu e il tuo vizio di non segnarti i compiti. Capitolo 4, 5 e 6 dell'Eneide. Si certo, ci vediamo domani. Un bacio»

Chiusi la conversazione, non facendo nemmeno attenzione a dove appoggiassi il cellulare.

«Era...era Clara»
«L'ho capito, ma adesso non mi interessa parlare di lei. Dove eravamo rimasti?»

Sei tu, il mio destino...Where stories live. Discover now