nove

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Adoro questa parte: quando ti guardo

e non fuggi via

«Dove siamo?» domandai, strattonando la mano di Harry intanto che continuavo a guardarmi attorno spaesata e circospetta, il cuore che ancora batteva con veemenza nel petto a causa della corsa. Lui si voltò nella mia direzione, sorridendomi come era solito fare, un ghigno sfrontato ed impudente, quasi scortese.

Harry quella mattina non era venuto a scuola, lasciandomi sola nell’ultimo banco della fila fiancheggiante la finestra, il viso rivolto verso l’esterno nella speranza di vederlo valicare il cancello con una sigaretta penzoloni tra le labbra, come ogni giorno. Ma sapevo che non sarebbe arrivato, giacché solitamente lo trovavo già seduto scomposto, lo sguardo rivolto fuori dalla finestra in attesa che qualcosa richiamasse la sua attenzione fino a quando non arrivavo io e cominciava ad infastidirmi impedendomi di seguire la lezione. Ma quel giorno, aperta la porta, avevo trovato l’aula deserta se non per la professoressa Dumas, la quale mi aveva sorriso timidamente.

Avevo aspettato qualche minuto in attesa, ma suonato il campanello da un quarto d’ora mi ero decisa a tirare fuori il telefonino e scrivere un messaggio ad Harry, senza trovare il coraggio di inviarlo.

Dove sei?

Avevo alzato lo sguardo, mentre il cuore mi batteva ad una velocità esagerata. Non era da me mandare messaggi durante le lezioni. Non era da me sedermi all’ultimo banco e non prestare attenzione alla lezione, soprattutto dal momento che avevamo cominciato un nuovo libro. Non avevo nemmeno letto le pagine assegnate, essendomene completamente dimenticata. Che cosa mi era successo? Che mi stessi lasciando prendere troppo da quella situazione tralasciando quello che davvero era importante, ovvero la scuola?

Avevo inviato il messaggio quasi per sbaglio; nel tentativo di riporlo nella borsa avevo pigiato sul pulsante d’invio.

Ero stata io a cercarlo e sapevo che non andava bene. Avevo già disobbedito ad una delle regole dettatemi da Nique e non potevo permettermi di fare un altro errore, ma avevo bisogno di sentirlo. Percepivo come la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava, ma non riuscivo a capire cosa fosse realmente. Forse era soltanto la preoccupazione che non fosse più interessato a me, se mai lo era stato e non aveva più intenzione di vedermi. Aveva raggiunto il suo scopo e mi avrebbe trattato esattamente come aveva trattato Nique e Vanna, mi avrebbe buttato in un angolo e avrebbe riso di me con i suoi amici e la sua futura preda, sarei stata una delle tante. E avrei fallito.

La risposta di Harry non si era fatta attendere, come a tranquillizzarmi, cancellare quelle stupide supposizioni paranoiche dalla mia mente, invitandomi ad uscire durante i pochi minuti di pausa tra una lezione e l’altra. Al suono del campanello avevo raccattato tutte le mie cose infilandole malamente nella borsa. Avevo corso verso il portone d’ingresso dell’edificio trovandolo appoggiato ad un muretto nascosto da una delle poche piante del piazzale. Mi aveva sorriso, mentre mi avvicinavo prudente.

Si era chinato, cauto ma rapido, afferrando i lembi della mia cuffia per avvicinare il mio viso al suo per un bacio fugace, breve ma inaspettato.

«Ciao splendore - aveva sussurrato, ridendo davanti alla mia espressione sbigottita - Che ti va di fare?»

«Ho lezione, adesso.»

«Anch’io - mi aveva risposto - Ma non ho voglia di andarci. Ti va di venire con me?»

«Stai cercando di farmi saltare scuola? - avevo domandato perplessa, un poco alterata - Non se ne parla neanche.»

Lui aveva riso, afferrando una mia mano e trascinandomi con forza fino all’uscita del piazzale, quasi sollevandomi da terra. «Solo per oggi.» aveva sussurrato al mio orecchio, facendomi arrossire. Solo quando fummo abbastanza lontani dalla scuola, sapendo che era ormai troppo tardi per tornare indietro, avevo ceduto, seguendolo tra strade sconosciute, mai viste prima di allora, sempre accorta e diffidente.

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