Prologo

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Petersburg, West Virginia.

Arrivo davanti casa a notte fonda.

È buia e silenziosa. Vista così sembra una casa come tutte le altre, con al suo interno una famiglia come tutte le altre. Vite normali e tranquille, serene nonostante i mille problemi quotidiani.

Scavalco il cancelletto senza fare rumore. Se lo aprissi, il suo cazzo di cigolio da casa dell'orrore sveglierebbe mezzo quartiere.

E soprattutto lui.

La porta è socchiusa, come al solito sarà stato troppo ubriaco per ricordarsi di chiuderla. Entro di qualche passo, non vedo l'ora di buttarmi sul letto e dormire un paio d'ore prima di andare a scuola.

Sento un leggero scricchiolio alle mie spalle e mi immobilizzo. Cerco di capire se sono stato io, ma prima di riuscire a rendermi conto di qualcosa ricevo un violento colpo alla nuca e finisco a terra sbattendo la faccia sul pavimento. Poi è come trovarsi sotto una violenta grandinata in cui piovono pietre. Ma nel mio caso si tratta di calci che mi colpiscono ovunque: ai fianchi, alle reni, alla testa, alle gambe. Mi raggomitolo in posizione fetale per evitare quanti più colpi possibili, ma quelli assestati alle zone già contuse nei giorni scorsi fanno ancora più male. Un paio di calci più violenti alle costole mi costringono a buttare fuori tutta l'aria.

Non respiro, non ci riesco.

Mi proteggo il viso con le braccia. Lo sento bagnato, ma non capisco se siano lacrime o sangue. Entrambi, forse.

Morirò qui, a quindici anni, ucciso dai calci di mio padre, ubriaco come al solito.

Morirò qui, stanotte, senza neppure sapere perché mi odia così tanto.

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