Capitolo 1 - Seconda Parte

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Procediamo in silenzio per alcune decine di metri. Mi tiene per il gomito, forse per impedirmi di scappare via. Non sa che non sarei in grado di farlo: sono davvero stremata e mi reggo in piedi a malapena. Inoltre sono così affamata che, se davvero fossi così folle da provarci, il mio cervello bloccherebbe ogni tentativo sul nascere.

In genere sono molto sospettosa e diffidente, ma in questo momento fame e stanchezza devono aver abbassato le mie difese perché accanto a questo ragazzo mi sento sicura e non avverto nessuna sensazione di pericolo o paura.

Motivo per cui devo stare ancora più attenta del solito.

Appena entriamo nel locale veniamo avvolti da un meraviglioso e caldo tepore. Un profumo di burro, caffè e bacon riempie l'aria facendomi brontolare la pancia.

Sfiliamo davanti a una vetrina piena di ogni ben di Dio dolce e salato per andare nell'ultimo separé, al riparo da occhi indiscreti, e sediamo l'uno di fronte all'altra.

Quando arriva la cameriera a prendere le ordinazioni, il mio nuovo angelo custode ordina muffin e succo d'arancia mentre io ancora sbavo sul listino: non ricordavo neppure che esistessero tali prelibatezze! Alla fine prendo le stesse cose che ha scelto lui che, dopo qualche istante, mi toglie dalle mani il menù che sto ancora studiando e lo appoggia sul tavolo.

Lo osservo e finalmente posso scorgere il suo viso: anche se ha ancora il cappuccio sulla testa, ha abbassato lo scaldacollo. Ha gli occhi scuri e grandi, il naso dritto e proporzionato, la fronte spaziosa e le labbra non molto carnose. I lineamenti spigolosi e gli zigomi alti rendono il suo viso virile, l'espressione è in qualche modo arrogante. Indossa un giubbotto pesante e, sotto, una felpa nera, poggiato accanto a lui c'è uno zainetto; è poco più di un ragazzo, non so se arriva a venticinque anni.

«Finito di passarmi ai raggi X?» Chiede, alzando lo sguardo divertito su di me, che avvampo e abbasso subito il viso.

«Sì. Scusami». Faccio un respiro profondo, sento ancora i suoi occhi addosso. «Anzi, grazie mille per avermi tirato fuori dai casini». Al ricordo del pericolo corso, un brivido di paura mi scorre lungo la schiena. «Non posso pensare a cosa mi avrebbero fatto se non fossi arrivato tu».

«Sei una ragazzina, che ci facevi in giro di notte da sola?»

«Non è notte, è quasi l'alba», ribatto, sperando che questo faccia sembrare meno grave la mia imprudenza. «E poi non sono una ragazzina! Ho ventidue anni».

«Ah, beh. Scusi», mormora con tono buffo, scimmiottandomi e scuotendo la testa mentre parla. «E che ci faceva in giro da sola, quasi all'alba, signora?»

Sento che è una causa persa, così decido di ignorare il suo tono sarcastico.

«La madre di Stella, la ragazza che mi ospita, non sa che a volte sto da loro. Ieri sera non è andata al lavoro quindi non potevo rimanere lì o mi avrebbe scoperta».

Annuisce. «Non ce l'hai una casa?»

«No». Per fortuna il mio tono secco gli fa capire che non è il caso di continuare ad indagare. Non ho nessuna intenzione di raccontargli del mio patrigno e di come, secondo lui, dovessi dimostrargli il mio affetto per avermi tenuta con sé, dopo che mia madre ci aveva abbandonati entrambi.

«Come ti chiami?» Chiedo per cambiare discorso.

Mi guarda in silenzio per qualche secondo, tanto che penso non voglia rispondermi.

«Jonathan».

«Piacere, Valerie», dico porgendogli la mano destra. Lui l'afferra, la stringe brevemente e poi si limita a fissarmi.

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