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La notte seguente ripartì Levi per il reggimento. L’animo di Levi, durante quell’ultimo giorno passato in casa delle zie, non poteva staccarsi dal ricordo della notte precedente. Due sentimenti opposti vi si combattevano; il ricordo scottante di un amore bestiale, e la coscienza di aver commesso una cattiva azione, con l’obbligo di ripararla, non per il ragazzo, ma per sè stesso.
Nello stato di follia egoistica in cui si trovava, Levi non poteva pensare che a sè. Si dava una gran pena per indovinare come lo avrebbero giudicato, ma non pensava affatto a
tutto quello che Eren avrebbe risentito, nè cosa gli sarebbe accaduto.

Levi pensava esser suo dovere di dar del denaro ad Eren, non perchè non ne aveva bisogno, ma perchè in simili casi si fa sempre così, e perchè lo si sarebbe considerato come un uomo senza onore, se non l'avesse pagato per averlo posseduto.

Dopo pranzo del giorno della partenza, egli l’aspettò nell’anticamera. Vedendolo, Eren arrossì vivamente e volle passar oltre, facendogli osservare con un’occhiata
la porta aperta della dispensa. Ma egli lo trattenne.
– Volevo salutarti, gli disse, cercando di insinuargli nella mano una busta in cui aveva posto un biglietto da cento.
– Ecco...
Eren capì, corrugò le sopracciglia, scosse la testa e respinse la mano tesa di Levi.

– Suvvia, prendi! mormorò egli, e gli mise la busta nell’apertura della giacchetta. E come se si fosse bruciato le dita, aggrottò anch’egli le sopracciglia, e corse, gemendo, a rinchiudersi in camera sua.
E là, camminando in lungo ed in largo, si torceva, come se fosse torturato da un dolore fisico, al pensiero di questa ultima scena. Ma che poteva fare? Così sempre fanno tutti e anche lui doveva fare altrettanto.

Cercava di consolarsi con questi ragionamenti, ma non ci riusciva. Il ricordo di ciò che aveva fatto continuava a rimordergli la coscienza.
Nell'animo suo sapeva di aver agito vilmente, bassamente, crudelmente, a punto tale che aveva non solo perduto il diritto di giudicare le azioni della gente, ma anche di guardarla in faccia; che non aveva più neanche il diritto di stimarsi un giovane buono, nobile, generoso, magnanimo. A tutto ciò non c’era che un sol rimedio, ed era di non pensarci più.

Una sol volta, a guerra finita, egli si era di nuovo recato in casa delle zie con la speranza di rivedere Eren, e che vi aveva saputo che esso non c'era più, che se n’era andato, poco tempo dopo la partenza di lui e che, secondo quello che ne avevano udito dire le zie, esso era completamente caduto nella degradazione, Levi aveva sentito il suo cuore stringersi dolorosamente. Quando le zie gli avevano parlato di questo, avevano aggiunto che si erano da molto tempo accorte che Eren era una natura viziosa come sua madre. Questo giudizio delle zie piacque a Levi il quale si trovava in certo qual
modo assolto dalle sue colpe. Da principio egli ebbe l’intenzione di cercare Eren; ma avendo intimamente vergogna della sua condotta, non tentò nulla per ritro-
varlo. Dimenticò il suo fallo e finì per
non pensarci più.

Ed ecco che ora, Levi ricordava
ogni cosa, sapeva di esser stato egoista, crudele, vigliacco, e di aver potuto vivere tranquillamente dieci anni con una simile colpa sulla coscienza.

Era però ancora incapace di confessare sinceramente a sè stesso tutta la sua indegnità; ed anche in quel momento, pensava solo di evitare che tutto venisse scoperto e che le rivelazioni di Eren, o del suo difensore, non rivelassero come era realmente dinnanzi a tutti.

Resurrezione (Ereri fanfic)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora