ABIGAIL

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ABIGAIL

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ABIGAIL

Aspetto per quindici minuti in cucina un qualsiasi segno ma niente. Arthur entra ed esce in fretta dalla stanza ignorandomi come fossi un elettrodomestico privo di vita. Trattengo il respiro per tutto il tempo in cui lo sento muoversi per casa, stringo forte il bordo del bancone e solo quando sento la porta di casa chiudersi lascio libero un singhiozzo. Forse sono riuscita ad arrivare in casa in tempo, forse si è addormentato... calzo le scarpe in fretta ed esco di casa dopo aver recuperato lo zaino. Al solito copro il livido e raggiungo l'università. Non aspetto Carol visto che oggi non verrà a causa di una brutta influenza palesatasi ieri pomeriggio. Seguo tutte le lezioni, mi fermo per il pranzo e poi ancora un'ora di lezione che non appartiene nemmeno ai corsi che seguo. Mi trattengo fuori più che posso. Alle cinque torno a casa, mollo tutto in camera e poi preparo la cena. Mangio una fettina di pollo accompagnata con dell'insalata, il tutto mentre giro come una trottola per tutta la cucina e sala da pranzo. Ho fatto una lista di tutti i piatti preferiti di Arthur quindi so sempre cosa preparargli, un peso in meno per mia fortuna. Alle sei e dieci rientra, divento tesa come una corda di violino al solo sentire i suoi passi sempre più vicini.
"La cena è pronta." Dico subito non appena entra in sala da pranzo. "Ieri sera ti ho sentita correre per le scale. Perché?" mi fissa. Fingo di arrossire e distolgo lo sguardo. "È arrivato il mio... il mio periodo." Balbetto. "Non correre più." Ribatte. Con il tempo ho affinato la mia tecnica, riesco a mentirgli usando parecchi problemi femminili e lui sembra credergli. "Scusami." Mormoro. Mi dirigo in camera e mi cambio, avvolgo fondotinta e cipria in un asciugamano e chiudo lo zaino visto che ho lasciato il borsone in palestra ieri. Lascio casa il più in fretta possibile rilasciando un sospiro di sollievo una volta svoltando l'angolo.

Arrivo in palestra con cinque minuti di anticipo; tengo lo sguardo basso lungo il tragitto fino al tabellone e cerco in fretta la mia scheda. "Abigail." La voce di Lucas mi fa irrigidire. Non ho un filo di trucco in viso, il livido è in bella vista e anche con dei capelli in viso sarebbe evidente. Okay, posso usare la scusa della porta. È l'unica soluzione. "Sì?" alzo di poco lo sguardo. "Heath vorrebbe – si interrompe, fissandomi per pochi secondi – vederti nel suo ufficio. Mi sa che hai dimenticato qualcosa ieri." "Vado." Annuisco. Qualcosa mi dice che anche se provassi a giustificarmi lui non mi crederebbe. Raggiungo la porta dell'ufficio di Heath mettendoci più tempo del previsto, mi faccio coraggio e busso. "Avanti." Lo sento dire. Aggiusto i capelli sul viso ed entro. Noto subito il mio borsone ai piedi della scrivania, poi distolgo lo sguardo e lo poso sulla solita targhetta mentre prendo posto. E se volesse chiamare Arthur lamentandosi del mio comportamento? E se l'avesse già fatto? Oh, mio Dio. Deglutisco e mi faccio forza. "Mi hai fatta chiamare..." "Proprio così." Conferma. "Io... mi- mi dispiace di essere scappata via. Non si ripeterà mai più. È tutta colpa mia." Mi scuso sperando con tutta me stessa di non ricevere brutte notizie. "Quando intrattengo una conversazione di solito guardo negli occhi l'altra persona, sai?" rabbrividisco. Ecco, non potrebbe andare peggio. Alzo lo sguardo legando i miei occhi ai suoi. Verde nel blu. Blu nel verde. Mi scrutano attenti, si spostano su ogni centimetro del mio viso e non c'è dubbio che abbia visto il mio livido un po' più marcato. Del resto una cosa deve sempre peggiorare prima di migliorare. "Hai lasciato qui il tuo borsone." Fa un cenno verso il pavimento. "Sei fuggita senza nemmeno darmi il tempo di pronunciare mezza parola per fartelo notare." Aggiunge. "Mi dispiace." Ripeto. "Ti scusi spesso quando non è necessario?" domanda piegando il viso di lato. "Che significa?" chiedo confusa. "Ti stai scusando e non è necessario. Per scappare in quel modo deve essere successo sicuramente qualcosa di importante." Sembra quasi che mi stia prendendo in giro. Non riesco a capirlo. Lo guardo, incapace di formulare una frase di senso logico. Lo vedo alzarsi, fa il giro della scrivania per poi poggiarsi sul bordo proprio di fronte a me, a pochi passi dal mio corpo. Alza una mano nella mia direzione, al suo gesto strizzo subito gli occhi terrorizzata. Perché vuole colpirmi? Perché mi caccio sempre nei guai? Sento la sua mano avvicinarsi al mio viso e scostarmi i capelli dietro l'orecchio. Apro piano gli occhi mentre sento il respiro sempre più affannato. "Che hai fatto?" chiede. "Non ho visto la porta." Non esito a rispondere perché come ho già detto, ho imparato piuttosto in fretta a mentire. "Le bugie hanno le gambe corte." Sfiora il livido facendomi sussultare. "Non sto mentendo." Mi scosto dal suo tocco senza guardarlo. "Continui a farlo e come ti ho detto prima, vorrei che mi guardassi quando mi parli." Dice. "Non sto mentendo." Ripeto stavolta guardandolo. "Una volta, avevo circa sedici anni, mi ritrovai in una rissa e un tipo mi diede un cazzotto in pieno viso. Aveva la mano piena di anelli e lo sai, ricordo perfettamente forma e consistenza. Ho un'ottima memoria e so distinguere un incidente da qualcosa di volontario." Respiro a fatica mentre lo guardo. In fretta mi alzo dalla sedia, recupero il mio borsone e raggiungo la porta. "Mi dispiace per la tua rissa. Io sono solo sbadata." Dico prima di chiudermi la porta alle spalle e correre nello spogliatoio. 

𝑊𝘩𝑎𝑡 𝐼𝑓 [𝐵𝑟𝑜𝑘𝑒𝑛 𝐺𝑖𝑟𝑙𝑠 𝐷𝑢𝑜𝑙𝑜𝑔𝑦 𝑉𝑜𝑙.𝟣]Donde viven las historias. Descúbrelo ahora