Chapter three- Times Square

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A Jungkook non piaceva aspettare. Non era troppo impaziente o irruento, ma puntiglioso sì, e andava in panico quando tutti gli altri non erano in lampante anticipo come lui. Per questo aveva cominciato a dondolarsi sul posto nervosamente, appoggiato alla parete di un chioschetto a Times Square, molto prima che Taehyung fosse anche lontanamente in ritardo. Lui era lì da quasi venti minuti, ma sarebbe arrivato molto prima, se fosse servito.

Dopo la sua brillante uscita a Central Park, si era autoconvinto in maniera ferrea di aver avvelenato in maniera irreversibile un'amicizia che non era ancora nemmeno cominciata. Una volta tornato a casa, aveva lanciato a terra lo zaino e si era maledetto mille volte per non essere riuscito a trattenersi, a  evitare di dare sfogo a quel suo istinto da bambino insofferente a cui non andava bene mai nulla. Eppure, teneva a quel semi-sconosciuto col cappello più di quanto la razionalità gli suggeriva fosse opportuno. Avrebbe continuato a cercare quel ragazzo senza tornare a casa, ma aveva deciso di fidarsi di se stesso, per una volta, del fatto che magari poteva aver colpito quel ragazzo abbastanza da spingerlo a cercarlo ancora. Aveva fatto bene: dopo qualche giorno, aveva timbrato il suo biglietto per entrare al museo.

Probabilmente lo aveva fissato come se gli fosse piovuta tutt'un tratto della pittura fluorescente in faccia, reazione involontaria per mascherare il sollievo che aveva provato nel vederlo lì, nell'assicurarsi che Taehyung era lì per lui, che non aveva voluto mollare la spugna con quello sconosciuto dalla lingua lunga che lo aveva portato al parco. Aveva cercato qualsiasi segno da parte dell'altro, ma aveva avuto solo la sua solita espressione concentrata, che gli fece dubitare persino che lo avesse riconosciuto, e una testa bionda che si infilava nello Space Theater. Non era rimasto lì fino ad orario di chiusura, ma era riuscito comunque a sorprenderlo, lasciandogli, chissà come, un biglietto con il suo numero di telefono attaccato con lo scotch al banco della biglietteria. Non aveva nemmeno dovuto accertarsi che fosse il suo, nessun altro avrebbe scritto 'per Jungkook' nella sua lingua madre.

Ci aveva messo decadi a convincere sé stesso ad usare quel foglietto nella maniera giusta, ma era servito: per messaggio, Taehyung non era sembrato scocciato, offeso, o nient'altro di ciò che Jungkook aveva temuto. Invece, era stato quello tra i due che aveva premuto di più per far sì che quel loro secondo incontro si avverasse: per questo lui era lì, a dondolarsi nervosamente sulla punta dei piedi e a controllare nervosamente l'orologio piuomeno ogni dieci secondi, per convincersi che no, l'altro non gli avrebbe dato buca, che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe custodito gelosamente il ricordo di quella serata che ancora doveva iniziare, ma che sarebbe sicuramente stata uno dei momenti migliori della sua vita, come letteralmente ogni attimo che aveva passato insieme a lui.

Aveva pensato parecchio, con lo sguardo perso nell'orologio digitale di Times Square, mentre aspettava Taehyung. Trovò la risposta alla sua ultima riflessione -chissà se sarebbe venuto di nuovo con quel cappello terribile- puntando lo sguardo a poche decine di metri da lui: no, fortunatamente quell'attentato al buon gusto era stato lasciato a casa. Per il resto, nulla era diverso rispetto al ritratto che Jungkook si era portato in mente per diverso tempo: forse il suo viso aveva una luca diversa, ma quello doveva essere merito del colore degli occhi, assolutamente diverso rispetto alla volta precedente.

-Cosa è successo ai tuoi occhi? - chiese infatti divertito, dopo aver educatamente risposto al sorriso dell'altro. Quello allargò ancora di più il proprio sorriso, riducendo i suoi occhi a due fessure: ecco, in quel modo si riuscivano quasi ad ignorare i luminosi occhi viola che spiccavano sul volto leggermente olivastro come due ametiste. -io odio gli occhi marroni, mi fanno sentire uguale a tutti gli altri, come se non avessi nulla di diverso o speciale. Diciamo che le lenti, di qualsiasi colore, mi sollevano un po' l'autostima-.

-Io credo che tutto ciò che ti riguardi sia unico- si lasciò sfuggire Jungkook, timidamente. -Ma mi piacciono anche le lenti viola- aggiunse, timidamente, quando Taehyung lo guardò con un sopracciglio alzato. Probabilmente il possessore di quelle benedette lenti a contatto a quel punto avrebbe fatto una battuta, una sul perché gli avesse rivolto un complimento così dal nulla. Però, memore di ciò che era successo l'ultima volta, si limitò a rivolgergli un sorriso luminoso, che Jungkook apprezzò davvero, soprattutto dal momento che cominciava a capire dove voleva indirizzare quel rapporto, ma comprendeva anche di aver bisogno di tempo per costruirlo come si deve.

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