CAP 10

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"Ecco. Bene, così"

Il medico di fronte a me, stava medicando il braccio di mio figlio. Eravamo corsi velocemente in ospedale... Per fortuna non era niente di grave. La lama non aveva lacerato le vene più importanti, ma solo piccoli capillari che comunque perdevano molto sangue. Il fattore più grave era stata la paura. Ero completamente entrata in panico. Se non ci fosse stata Luce... Non so che cosa avrei fatto. Sarei rimasta in quel terribile stato di trance? O sarei riuscita ad agire? Preferivo non saperlo.
Il medico aveva appena finito di mettere una fasciatura bianca per precauzione sul braccio di Nico.

"Perfetto. Io ho finito"

"La ringrazio dottore"

"Non si preoccupi. Mi raccomando Nico, stai più attento la prossima volta! Per fortuna oggi è andato tutto bene..."

"Certo dottore."

Disse Nico. Aveva ancora gli occhi lucidi. Anche lui si era preso proprio un bello spavento.

"Forza, andiamo a casa."

Presi per mano mio figlio e uscimmo dall'ambulatorio seguiti da Luce. Ovviamente era voluta venire anche lei, che come tutti si era presa un grande spavento. Mettendomi alla guida, ancora le mani mi tremavano.

"Nico che cosa stavi facendo con quelle forbici?"

Dissi ad un tratto, interrompendo la quiete che si era creata. La calma dopo la tempesta.
Nico, che aveva già chiuso gli occhi, cascante dal sonno (bisogna tenere a mente che erano le 4 di notte... Un orario molto avanzato per un bimbo di soli sei anni), rispose biascicando.

"Volevo solo fare un ritaglio..."

"Devi stare attento, lo sai!"

Il clima si stava scaldando.

"E tu?"

Dissi poi rivolgendomi a mia figlia.

"Perché non l'avevi mandato a letto? Era tardi!"

Luce si rese conto di essere stata chiamata subito in causa e si mise sulle difensive.

"Ah, io? A me sembra che la madre qui sia tu. Non io."

Le parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso.

"Dov'eri tu? Fuori a divertirti chissà con chi. E io, mi devo occupare di mio fratello. Io, che faccio fatica a stare dietro a tutte le cose che devo fare."

Detto questo si girò dall'altra parte e incroció le braccia al petto.
Colpita e affondata.
Dalle sue labbra non uscivano parole, ma vero e proprio veleno. Al cento per cento. E in fondo, sapevo che aveva ragione. Avevo pensato prima a me stessa che hai miei figli. Non dovevo lasciarli la sera a casa da soli. Ero stata una stupida, anche a prendermela con Luce. Lei non c'entrava niente. Le davo troppe responsabilità. Dovevo ricordarmi che aveva solo quindici anni.

Appena arrivammo a casa, Luce corse fuori dalla macchina, sbattendo con violenza lo sportello. Poi si rifugió in camera sua.

Cercai di non farci troppo caso. Aveva tutte le buone ragioni del mondo per essere arrabbiata con me, per odiarmi. Anche io lo sarei.
Presi in braccio il piccolo Nico, che si era addormentato in macchina. Cercando di non toccargli il polso dolorante gli misi il pigiamino e lo infilai nel mio letto. Poi mi misi difianco a lui. Il brutto momento vissuto prima sembrava solo un brutto incubo ora che ero stesa vicino a lui. Il suo respiro regolare mi culló e presto mi addormentai.

LUCE POV.

Quella mattina mi svegliai molto presto. Alle 6  ero già pronta per uscire. Non avevo voglia di incontrare mia madre e sorbirmi una delle sue prediche quella mattina, così lasciai un biglietto sul tavolo.

Sono già uscita. Vado a scuola a piedi.

Scrissi poche parole, senza dilungarmi troppo. Cosa insolita per me, che di solito amavo scrivere poemi e pensieri profondi.

Misi bene in vista il foglietto ed uscii di casa. Cominciai a camminare, ovviamente con le cuffie alle orecchie. La musica era la mia salvezza. C'era una frase, che mi rispecchiava pienamente : e vivrai con le cuffie nelle orecchie, ascoltando parole di chi è riuscito a capirti senza conoscerti.
Quanto vero... Molte volte mi ero soffermata su questa cosa. Come mai chi vive con me tutti i giorni, chi mi ha cresciuta, non mi capisce, mentre persone che non sanno nemmeno della mia esistenza conoscono tutto di me? Assurdo. Un vero e proprio paradosso. Ad un certo punto qualcuno interruppe i miei pensieri filosofici, sfilandomi una cuffia dalle orecchie.

"Ehi!"

Dissi non capendo cosa stesse succedendo.

"Biondina, é da mezz'ora che ti chiamo. Ho dovuto addirittura attraversare la strada per venire a chiamarti."

Quando mi voltai, riconobbi subito la voce del mio "simpatico" compagno di banco.

"In primo luogo, non penso che sia stata una tragedia attraversare la strada. Secondo, ovvio che non ti ho sentito. Ho le cuffie non vedi? E terzo..."

"Terzo?"

Chiese con un tono superiore, di chi ascoltava la ramanzina fregandosene beatamente.

"Che vuoi da me?"

"Siamo suscettibili stamattina eh?"

"Si. Hai problemi?"

"Okok ho capito. Hai le tue cose..."

Gli tirai un piccolo pugno sul braccio, trattenendo le risate.

"Ahi!"

Scoppiammo a ridere tutti e due. Poi tornai seria.

"Non hai ancora risposto alla mia domanda. Che vuoi da me?"

"Niente di particolare. Ti ho vista camminare a quest'ora di mattina e ti ho voluta salutare... Comunque se vuoi me ne vado."

Disse, tornando anche lui serio.
In fondo era gentile anche lui. Era stato molto premuroso e mi sentii un po' in colpa per averlo trattato in quel modo.

" No... No. Puoi restare. "

" Grazie, sua altezza reale. "

Disse scherzando.

" Non c'è di che, maggiordomo."

"Maggiordomo?! Io?! Mica sono un assassino!"

"Un assassino?"

Chiesi non capendo.

"Si. Alla fine di tutti i gialli, i maggiordomi sono sempre i colpevoli!"

Scoppiai a ridere e cominciai a ricredermi sul conto di Tommaso. Era proprio molto simpatico. Mi faceva scordare tutte le cose brutte. Non pensavo più a mia madre, a mio fratello, ai miei problemi. Pensavo solo alle sue stupide battute che, nonostante fossero così sceme, erano molto buffe.

Passammo tutta l'andata verso la scuola a ridere e a scherzare, e quando arrivammo davanti al Liceo, non c'era ancora nessuno. Infatti, era ancora molto presto. Si erano fatte le 6.30, così ci sedemmo sulle gradinate per parlare un po'.

 IL CAPOLAVORO CHE È IN ME 2 // ULTIMO Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora