[LOG 07] : 07.22 PM - 29.11.2066

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XX
07.22 PM
29.11.2066


Stronzo.

Massaggiandomi il braccio dolorante osservo la porta chiusa del suo appartamento; doveva andare diversamente, secondo il mio piano. I gatti mi si fanno intorno per ricevere attenzioni, così mi piego sulle ginocchia per accontentarli.

Cosa ci faccio ancora qui?

Conosco benissimo la risposta a quella domanda; mi servono aiuto e protezione. Non voglio rintanarmi nello sprawl come un ratto, abbassando la testa e sperando che con il tempo si dimentichino di me. Copro le labbra con la manica per soffocare un lungo sbadiglio, inizio a sentire il peso degli ultimi due giorni passati senza chiudere occhio.

Aspetterò che si addormenti prima di intrufolarmi di nuovo e poi lo costringerò ad ascoltarmi.

Mi siedo a terra, appoggiandomi alla porta controllo le due estremità del corridoio. Per ora non sembra esserci nessuno ma non posso restare troppo qui fuori; se qualcuno mi vedesse potrebbe allertare la sicurezza e il mio ID falso verrebbe subito smascherato sotto un'attenta analisi.

E se li avesse già allertati lui? Sarei fottuta, fottuta alla grande.

Appoggio il mento sulle ginocchia e abbraccio le gambe con le braccia; i gatti giocano tra di loro tranquilli, ignari di tutto quello che sta accadendo. Nel caso lui non mi desse retta non saprei cosa fare, sono arrivata qui dando per scontato che mi avrebbe aiutata. Non ho preparato un piano B.

Ma non potrà ignorarmi una volta visto il video.

Sbadiglio di nuovo.

Altri due minuti, poi mi sposto.

I gatti si inseguono intorno a me miagolando sommessamente. Le palpebre si fanno pesanti e sembrano volersi chiudere a forza.

Solo due minuti.



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Mi risveglio di scatto balzando in piedi nell'avvertire una lingua rasposa leccarmi un labbro. Mi guardo intorno dopo essermi asciugata gli occhi umidi con la manica.

Non c'è nessuno; devo essere crollata per poco.

Sbadigliando controllo l'ora.

Mezzanotte? Cinque ore. Sul serio? Cazzo!

Tiro su la manica della felpa scoprendo il palmare da polso, lo avvio e faccio partire il programma che ho installato in questi giorni. L'icona è un gattino nero acciambellato sul tetto di una casetta stilizzata. Attivandola entro nel sistema del grattacielo ed effettuo il login con le credenziali di Jonathan, poi accedo al sistema di gestione della porta. Sullo schermo, in rosso, compare l'avviso del blocco assoluto della porta effettuato dall'account-amministratore dell'appartamento. Lo disattivo e apro la porta. Il salotto è vuoto, come lo avevo lasciato, tranne che per la porta della camera da letto che è spalancata. Entrambe le stanze sono tinte di rosso; sul palazzo di fronte si ripete in loop uno spot pubblicitario Coca-Cola. Una pin-up olografica apre una spumeggiante lattina scarlatta e se la porta alle labbra, mentre con l'altra mano invita a unirsi a lei.

Jonathan è steso sul letto a pancia sotto, con nulla addosso se non il pantalone di una tuta da ginnastica. Lascio i gatti nel salotto ed entro nella camera a passo felpato. A catturare la mia attenzione è la sua schiena rovinata, coperta da un gran numero di lunghe e affilate cicatrici, come se qualcuno si fosse divertito a tracciare linee sulla sua schiena con un coltello.

Sfioro il letto e nell'attimo di un respiro mi ritrovo a osservare la canna brunita di una pistola a pochi centimetri dalla punta del naso. In un istante lui ha ruotato su sé stesso e con un fluido movimento ha estratto l'arma dalla fondina appesa alla testata del letto. Deglutisco mentre con un click toglie la sicura. Il suo sguardo è duro e glaciale, non sembra per nulla quello di un uomo che fino a poco fa stava dormendo. Arretro.

» Che cazzo vuoi da me, ragazzina?

Il suo indice sfiora il grilletto. Impugna l'arma con la sinistra. Per qualche assurdo motivo la mia mente corre al suo fascicolo, ricordandomi che in realtà è destrorso. È come una macchina, dai suoi occhi gelidi mi rendo conto che potrebbe spararmi senza provare la minima emozione. Si drizza a sedere per poi passarsi l'altra mano sul volto. Come se avesse appena indossato una maschera la sua espressione cambia; i lineamenti si addolciscono, sembra d'un tratto divertito.

» Per quanto mi faccia piacere che tu abbia cercato di intrufolarti nel mio letto io non vado con le bambine. Quindi prendi la tua roba, cancella quel fottuto nominativo e vattene, così che io possa tornarmene tranquillamente a dormire.

Arcua l'angolo destro delle labbra in un sorriso, quella nuova espressione bonaria mi spaventa ancora di più. Sorride ma non con gli occhi, quelli sono sempre glaciali e continuano a tradire un forte istinto omicida. Colorato di rosso dalla luce della pubblicità olografica sembra quasi un demone. Stringo i pugni facendo un passo in avanti.

» No!

» No?

Le sue sopracciglia puntano verso il basso, affina gli occhi per osservarmi meglio.

» Forse non capisci, ragazzina...

» Tu non capisci stronzo! Io so che cosa è successo davvero al tuo amico, non è stato Fariq a ucciderlo!

Sgrana gli occhi e toglie il dito dal grilletto.

» Posso dimostrartelo. Ti hanno mentito!

» Cosa? Ma tu chi diavolo...

Un abbagliante fascio di luce ci investe spazzando via l'illuminazione rossastra. Schermando gli occhi con il braccio scorgo, tra le dita schiuse, un minaccioso velivolo da combattimento puntarci addosso il suo faro. Oltre quello una mitragliatrice a canne rotanti.

» Corri!

Lui urla balzando giù dal letto, non me lo faccio ripetere due volte. Giro i tacchi e scatto verso il salotto, oltre la porta inciampo in qualcosa di peloso e mi schianto a faccia in terra. Il naso mi brucia mentre del sangue mi cola in bocca.

» Merda!

Mi rialzo correndo alla porta mentre la mitragliatrice inizia a fare fuoco, il rumore è così forte che mi raggelo credendo di essere sul punto di morire. Il velivolo fa fuoco sulla camera da letto. Non mi volto indietro, raggiungo la porta urlandole di aprirsi. Non accade nulla. Schiaccio il comando di apertura sul pannello. Continua a non accadere nulla.

» Apriti. Apriti. Apriti. Apriti.

Riempio di pugni il pannello mentre il velivolo continua a fare fuoco poi qualcuno, Jonathan, mi afferra per la vita e mi solleva di peso. Mi trascina nel corridoio e poi urlandomi di stare a terra mi scaglia contro la porta socchiusa del bagno. Urlo anche io, prima per la sorpresa e poi per il dolore quando impatto la spalla contro la dura superficie in finto-ebano. Poi le mie urla vengono coperte dall'infernale ruggito dell'arma. La spalla e la faccia mi fanno malissimo. Mi trascino in fondo al bagno rannicchiandomi in un angolino. Un gatto robotico nero dorme nel vano doccia come se non stesse accadendo nulla, Salem, uno dei pochi che ho potuto salvare da casa prima di scappare. Lo prendo e me lo stringo al petto con tutta la forza che ho.

Non voglio morire.

Non voglio morire.

Non voglio morire.

Silicium Souls I: MnemosyneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora