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«Non fa un po' freddo per starsene qua fuori?» mi sentii chiedere, mentre guardavo la strada a braccia incrociate.
Ridacchiai. «Sono troppo arrabbiata per sentire il freddo» risposi a Henry Hatcher.
Mi posò comunque la sua giacca sulle spalle ed io gli sorrisi riconoscente.
«Ti fai più bella ogni volta che ti vedo, sai?» mormorò.
«Grazie. Anche tu non sei male» scherzai con sguardo basso.
«Io lo so che non dovrei intromettermi nelle tue questioni di famiglia, ma... i miei mi hanno detto del tuo matrimonio con Robert.»
«La voce si sta spargendo troppo in fretta, a quanto pare.»
«Se vuoi, non lo dirò a nessuno.»
«Grazie, Henry» ripetei. «E tu, niente fanciulle in vista, ancora?»
«Sono troppo concentrato sul lavoro, al momento.»
Annuii senza commentare. «È triste che nel ventunesimo secolo si senta ancora parlare di matrimoni combinati, vero?»
«Non volevo dirlo, ma sì, un po' lo è.»
Mi voltai finalmente verso di lui. I suoi capelli biondi, lisci e setosi seguivano la corrente del vento e la sua mascella era contratta a causa del freddo, probabilmente. La camicia gli aderiva perfettamente al busto, mettendo in risalto le sue braccia forti. Puntò gli occhi nei miei e sospirò.
«Sei troppo bella per non essere baciata, lo sai questo, vero?» mi chiese con tono quasi disperato.
«Peccato che non ci sia nessuno a baciarmi, allora, perché io da Robert non mi faccio nemmeno sfiorare e per tutti gli altri sono off-limits.»
«Potrei farlo io» sussurrò.
«Allora ti sei perso l'ultima parte del mio discorso, Henry.»
«È solo un bacio, Candy.»
«Allora perché esiti?»
Mi prese il viso tra le sue grandi mani e premette le labbra sulle mie. Sin da piccola, quando lo vedevo correre di fronte a casa mia per andare nell'ufficio del padre a disegnare pubblicità di giocattoli per bambini, avevo sognato di poter avere qualcosa di speciale con lui. Adesso quel sogno era completamente scemato, ma era comunque bello essere baciata da lui, che aveva le labbra così morbide, soprattutto perché io non mi ero lasciata baciare per tre anni. Mi abbandonai completamente contro il suo petto, ma non ci fu altro se non quella pressione di bocche, l'una contro l'altra. Alla fine mi lasciò e, dopo avermi avvertita di prendermi cura di me stessa, se ne tornò dentro, mentre io oscillavo tra la rabbia verso i miei genitori e l'euforia per il bacio.

¤ ¤ ¤

«Giornalismo?» gridò mia madre, appena entrati in casa.
Aveva iniziato ad urlarmi contro già in macchina, enumerando i miei infiniti difetti e le innumerevoli gaffes che avevo commesso durante la serata, cominciando dal modo in cui il mio vestito cadesse disordinatamente sul fianco della sedia, la mia uscita dal ristorante fosse risultata completamente maleducata, il mio modo di rispondere ai commensali fosse stato poco professionale e, ultimo ma non meno importante, il mio totale rifiuto di contatto con Robert fosse stato visto da tutti come sconveniente. «Dovete sposarvi» aveva detto. «Prima o poi dovrai baciarlo e, nonostante tu sappia che non è convenzionale per me tirare in ballo certi argomenti, prima o poi dovrai avere dei figli da lui, Candice.»
Traduzione dal complicato dizionario di mia madre: prima o poi dovrete fare sesso, perciò il contatto sarà inevitabile.
«Credevo avessimo deciso che tu studierai economia, Candice. Come ti sei anche solo minimamente permessa di nominare un'altra facoltà di fronte ad altre persone? Ci hai fatto fare la figura degli insensibili!»
«Forse perché lo siete?» ribattei, comodamente seduta a gambe accavallate sul divano, le braccia allargate sullo schienale.
«Non rivolgerti così con me, signorina, e sta' composta, che ti si forma la gobba.»
«È solo l'università, mamma, tanto lavorerò comunque per voi, no?»
«Candice, tu non lavorerai per noi, ma con noi, per questo ti servono forti basi e competenze in economia.»
«Ma a me non interessa l'economia!»
«E a cosa ti servirebbe mai giornalismo?»
«Forse per fare una cosa che mi piace, almeno per una volta nella mia vita?»
«Tesoro, oh, povera, ingenua, Candice» disse con aria dispiaciuta lei, prima di sedersi velocemente accanto a me con una mano sulla mia spalla. «Perché sprecare tempo in ciò che ti piace quando puoi impiegarlo in qualcosa di utile?»
«Questa frase non ha senso» commentai. «È come chiedere a un pittore perché dipingere quando potrebbe fare l'architetto.»
«Se tu fossi una pittrice, sarebbe esattamente ciò che ti direi.»
«Non ne avevo dubbi» risposi con un sorriso falso.
«Columbia accettata, anche se tutti noi siamo andati a Yale» si intromise mio padre. «Ma non ti permetto nemmeno di pensare al giornalismo. Tu farai economia, che sia a Yale, o che sia alla Columbia.»
Prese mia madre per mano e le baciò il dorso mentre salivano le scale. Mi chiesi se mio padre amasse mia madre quanto dimostrava, o se loro fossero un altro matrimonio combinato che fingeva di stare bene per l'opinione pubblica. Eppure, quando mia madre guardava mio padre, a me pareva di vedere davvero amore, nei suoi occhi; per questo mi dava fastidio che loro avessero avuto una scelta che a me non era concessa.
«Stronzi» mormorai, ripensando all'università, mentre anche io mi avviavo verso la mia camera. «"Columbia accettata, ma tu farai economia"» scimmiottai mio padre, tenendomi il vestito tra le mani mentre percorrevo continuamente le stesse parti della mia stanza. «"Perché fare giornalismo, quando puoi rovinarti la vita nell'azienda di famiglia?"» imitai poi mia madre. «Forse dovrei scegliere Yale, così me ne vado da questo manicomio. "Prima o poi dovrai dare dei figli a Robert, così saranno gli eredi al trono dei Neil".»
Sentii una risata dalla strada grazie alla finestra aperta e, quando mi affacciai, Dylan mi stava guardando con aria divertita appoggiato al muro esterno della casa di fronte alla mia.
«Le mie imitazioni ti divertono, Brooks?» gli chiesi, poggiandomi con i gomiti al davanzale degli infissi. Per un attimo mi chiesi se non fosse parente dei Brooks con cui avevo cenato quella sera stessa, ma poi mi diedi dell'idiota: molte persone a New York portavano quel cognome, dato che era molto comune, e Dylan non sembrava affatto un futuro uomo d'affari.
«Sei perfetta per il cabaret» scherzò, incrociando le braccia al petto. «Chi era lo sfortunato soggetto?»
«Meglio che tu non lo sappia. Che ci fai qui?»
«Passeggiavo e ti ho vista. È tutto. E tu, che ci fai qui?»
«Io... Io ci vivo, qui» risposi ridendo.
«Bello, il vestito.»
«Grazie.»
«Però staresti meglio senza.»
Spalancai la bocca, scioccata, semplicemente perché non me lo aspettavo. «Vaffanculo, Dylan» ribattei, prima di scuotere la testa e chiudere la finestra. Speravo solo che i miei non avessero sentito niente.

Aʟᴛᴀ Iɴғᴇᴅᴇʟᴛᴀ̀Where stories live. Discover now