Addestramento

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Mistgun sedeva su di una roccia che dava sul promontorio, e sotto un aperto paesaggio. Aveva tra le mani una mela che sgranocchiava pigramente mentre osservava inquieto il cielo.
«Ci hai messo molto» commentò quando sentì i passi di Priscilla dietro di sé.
«Mi sono trattenuta alla gilda per un po'» rispose lei, avvicinandosi. «Tieni, qualcosa per perdere il tempo» disse porgendogli il foglio di un incarico.
«Ci terrà impegnati per un po' mentre aspettiamo. Anima sembra essersi calmata, per adesso» disse lui, tornando a mordere la sua mela. Priscilla lo affiancò e si mise a sedere per aria, incrociando le gambe.
«Per quanto ancora continuerai a fare questo vita, principe?» chiese lei e Mistgun sospirò, affranto. «Quante volte ancora dovrai chiedermelo?»
«Non è mettendo toppe al cielo che riuscirai a fermare questa follia, lo sai meglio di me».
«Detto da te» sghignazzò lui, per niente turbato dalla predica.
«Ormai il mio cielo è irreparabile» sospirò lei, altrettanto tranquilla. «Devo aspettare che si strappi del tutto, così posso dargli una bella sistemata finale».
«Sono passati cinque anni e ti aspetti ancora che possa ricordare?» chiese lui, sconsolato. «Chiunque ci avrebbe rinunciato, ormai» aggiunse.
«Io non sono chiunque, credo di avertelo spiegato bene. E ormai... credo non manchi molto» confessò.
«Che intendi dire?» chiese Mistgun, curioso.
«I discorsi sull'ereditare la gilda si sono fatti più frequenti, è più irritabile. C'è stato uno scontro con Phantom Lord» spiegò.
«Sì, ne sono a conoscenza» annuì Mistgun.
«So che hai dato il tuo contributo per aiutarci, le voci sono arrivate anche da noi. Hai distrutto da solo tutte le loro sedi, davvero impressionante» sorrise Priscilla. «Ciò non toglie che la gilda ormai è da ricostruire a partire dalle fondamenta. È stata completamente distrutta, il nonno per poco non ne restava ucciso, non penso che la cosa possa averlo lasciato indifferente. Se lo conosco bene comincerà a pensare che ormai il nonno sia troppo anziano per occuparsi della gilda e che perciò questo è il suo momento. Non penso resterà con le mani in mano».
«Cosa credi succederà?» chiese Mistgun, concentrandosi sul leggero soffio di vento che gli fece svolazzare il mantello. Lei era quel vento, aveva imparato a conoscerla, bastava ascoltarlo e poteva avere la sensazione di riuscire a leggerle l'anima.
«Chissà...» sospirò lei, pensierosa. «Ma comunque io sarò lì».
Il silenzio calò tra loro per pochi istanti, ognuno perso nei propri pensieri e nelle proprie preoccupazioni. Sapevano entrambi che quell'evento avrebbe significato una svolta non solo all'interno della gilda, ma nel loro stesso rapporto. Per quanto avessero trovato quell'accordo solo per un mutuo beneficio, erano comunque entrambi portatori di un segreto che nessun'altro aveva mai ascoltato prima. Non riuscivano a definirsi amici, ma qualcosa di diverso sicuramente li legava ed era strano ora pensare che dopo tre anni di attesa e preparazione sarebbe arrivata la fine di tutto.
«Senti, Gerard...» mormorò Priscilla, altrettanto immersa in quel soffio di vento. Era strano sentirle pronunciare il suo vero nome, avevano entrambi concordato che sarebbe sempre stato meglio chiamarlo solo Mistgun. Ma quello era un luogo sicuro, racchiuso, poteva provare ad esporsi un po' di più. «C'è una cosa che ho sempre desiderato chiederti».
«Cosa?» chiese lui, concedendole quello che sembrava un ultimo desiderio.
«Non c'erano missioni da quelle parti, quel giorno, e l'ultimo attacco di Anima era avvenuto abbastanza distante. Allora perché eri lì?»
Quel giorno, Mistgun sapeva bene a cosa si stesse riferendo. Il giorno del loro primo incontro, il giorno in cui avevano cominciato a interessarsi tanto l'uno all'altra da decidere incredibilmente di abbandonare la propria solitudine e concedersi un compagno di viaggio. Il giorno che avevano preso il loro accordo di mutuo sostegno, in previsione delle proprie grandi battaglie finali e dei loro interessi.
Priscilla, quel giorno di tre anni addietro, aveva preso dalla bacheca un incarico di effimera importanza, il minimo sufficiente a potersi pagare un tozzo di pane. Era ferma da quasi due anni, dopo il litigio con Laxus, senza nessun incarico portato a termine se non quelli necessari alla sopravvivenza. E quel giorno non era andata diversamente. Doveva semplicemente occuparsi di un piccolo gruppo di teppisti a cui piaceva definirsi "malvagi" e che avevano rubato oggetti di valore da una casa. Li aveva seguiti fino alla loro base, una casa su un albero, nascosta nella foresta, e lì aveva scoperto che erano solo in quattro. Proprio quello che le ci voleva: una missione di misero valore, senza impegno, che le desse semplicemente da mangiare. Aveva messo KO con facilità i quattro malviventi e aveva recuperato ciò che doveva in pochi minuti. Aveva appena cominciato a scendere dalla casa sull'albero, quando era arrivato anche il capo di quella banda. Un uomo nerboruto, grosso e violento. Aveva sventolato per aria la propria ascia da guerra ed era scattato subito contro Priscilla, ancora impegnata a scendere giù dalla scala. L'aveva sentito, ma era rimasta impassibile nel volto e si era mossa con estrema lentezza, pigra nel suo lavoro.
L'ascia l'aveva colpita in pieno all'altezza del polpaccio con una tale violenza da staccarle la gamba. Lei era caduta a terra, sotto le risate macabre e soddisfatte del suo aguzzino, che già aveva cominciato a ipotizzare come avesse potuto usare il corpo di quella donna a suo favore, gamba a parte.
Ma Priscilla non si era scomposta e usando il proprio vento si era risollevata, anche senza gamba, restando perfettamente in piedi. Si era guardata la ferita e il bandito aveva fatto altrettanto, sbiancando subito dopo: il sangue aveva già smesso di scorrere e la pelle, la carne, le ossa, avevano cominciato a riformarsi, ridando forma all'arto perduto.
«Ahi ahi» aveva mormorato Priscilla, sospirando. «Mi hai fatto male».
Non era nemmeno stata costretta ad affrontarlo, il malvivente aveva avuto così tanta paura di trovarsi di fronte a un mostro che era scappato senza lasciare traccia. Priscilla si era incamminata perciò verso l'uscita della foresta, mentre la gamba pian piano tornava al suo posto, ma aveva camminato lenta e attenta, consapevole di non essere sola, fino a quando non si era stancata.
«Continuerai a seguirmi per molto, o mi dirai cosa vuoi?» aveva chiesto a nessuno apparentemente, ma Mistgun era sceso da un albero a quelle parole, atterrando alle sue spalle.
«Quando ti sei accorta di me?» aveva chiesto.
«Appena la palla di lardo ha smesso di urlare. Hai il respiro pesante».
Mistgun aveva ridacchiato, prima di dire: «Sarà colpa del fazzoletto davanti al viso».
Priscilla solo allora si era voltata e aveva guardato in volto il suo interlocutore.
«Tu... sei Mistgun, giusto?» aveva chiesto, titubante. In fondo nessuno aveva mai visto quali fossero le sue sembianze, se non il master Makarov.
«Non dovresti avere difficoltà a riconoscermi, visto che fingi sempre di dormire quando arrivo alla gilda e uso la magia per addormentarvi» aveva risposto lui e allora a ridere era stata Priscilla.
«Credevo di avere doti recitative migliori» aveva confessato.
«Su di te per qualche strana ragione la mia magia non ha effetto. E ora comincio a capire perché» aveva detto guardandole la gamba che dal leggero fascio luminoso blu continuava a ricomporsi, esattamente come nuova. «Che cosa sei?»
«Cosa?» aveva mormorato Priscilla, colta da un pensiero che l'aveva assorbita completamente. Si era abbassata a guardarsi la gamba e ancora una volta aveva sussurrato a se stessa: «Cosa sono?»
«Sì!» aveva esclamato Mistgun. «Cosa sei?» aveva ribadito, più determinato, per poi aggiungere: «E qual è il tuo scopo? Perché sei a Fairy Tail?»
«Scopo?» aveva sobbalzato Priscilla, sgranando gli occhi. Qualcosa di cui si era dimenticata ma che ora tornava a rimbombarle nella testa. «Qual è... il mio scopo? Il mio compito...» era come persa in un limbo di pensieri e ricordi, da cui faticava a liberarsi. Era come una boa, in preda a una tormenta, annegava e riesumava, veniva sbattuta e scaraventata, ma poi tornava a galla, e infine... la tormenta era sembrata cessare.
«Te lo dirò» aveva detto decisa. «Ma in cambio di qualcosa».
«Che cosa vuoi?» aveva chiesto Mistgun, dubbioso ma intenzionato ad ascoltarla.
«Addestrami».
«Addestrarti?» aveva chiesto lui, stupito.
«Dicono tu sia uno dei maghi più forti di tutta la gilda, pari addirittura a Laxus. Ti rivelerò il mio segreto più grande, ma in cambio desidero che tu mi renda più forte. Nel frattempo svolgerò per te qualsiasi incarico di cui tu abbia bisogno, sarò al tuo completo servizio. Ma addestrami, ti prego».
Aveva accettato senza troppa convinzione, ma quando Priscilla si era decisa a raccontargli la sua storia si era convinto a prendere seriamente quella richiesta. E da allora la loro collaborazione aveva avuto inizio.
«Che cosa ci facevi lì?» chiese Priscilla, tre anni dopo quel ricordo, seduti entrambi su quelle rocce sul promontorio.
«Non dormivi... ricordi?» si limitò a rispondere Mistgun, abbozzando un sorriso.
«Mi hai pedinato, allora. Come pensavo. Te l'eri proprio presa a morte, eh?» ridacchiò divertita.
«Non è per quello. O meglio, non solo...» rispose lui e Priscilla gli diede tutta la sua attenzione. «Su Edoras ho incontrato una volta Ivan Dreyar. Si portava appresso un figlio allegro, timoroso e impacciato di nome Laxus. Ma nessuna figlia femmina. C'è sempre stato qualcosa di strano in te, era come se fossi diversa da tutti gli altri, avevi una strana aura. Poi cominciai a notare che facevi solo finta di addormentarti quando arrivavo e tutte le volte che tornavate dalle missioni, tu e Laxus, nonostante lui fosse pieno di ferite tu non avevi mai nemmeno un graffio».
«Ti ho incuriosito» sorrise Priscilla.
«Sì, ammetto che ero curioso, ma anche egoisticamente speranzoso».
«Speranzoso?»
«Mi sono chiesto chi fosse la strana nipote di Makarov, ammetto di aver ficcato un po' il naso in cose che forse non mi competevano. Ivan Dreyar ebbe un primogenito maschio, questo annunciano i documenti e le testimonianze di Earthland. Un vivace bambino dai capelli biondi che si portava sempre appresso quando andava a Fairy Tail e di cui sembrava orgoglioso. Poi, cinque anni dopo la nascita di Laxus, si venne a sapere che Ivan aveva anche una figlia femmina di già tre anni ma di cui nessuno sapeva niente. Sembrava come apparsa dal nulla».
«Ho capito» mormorò Priscilla, pochi secondi dopo. «Pensavi fossi arrivata da Edoras, vero?»
«Tutti abbiamo una controparte, tranne te. Vista la stranezza del tuo potere magico, il fatto che sei come comparsa dal nulla e che non esisteva un'altra te a Edoras, sì... ho pensato che tu semplicemente fossi arrivata da lì. E volevo saperne di più».
«Mi spiace non essere stata all'altezza delle tue aspettative» disse quasi distrattamente, ma Mistgun ridacchiò divertito. Lei, con quella sua assurda verità, era andata ben oltre le sue aspettative.
Prese il foglio che lei gli aveva portato con il nuovo incarico di grado S da svolgere. Non lo guardò neanche e glielo porse indietro.
«Il tuo esame di fine addestramento» annunciò.
«Eh?» sbarrò gli occhi Priscilla.
«Pensaci tu, questa volta. È l'ultimo compito che ti do».
«Da sola?» strillò lei, già in preda al panico.
«Tuo fratello è un mago di classe S, se doveste mai scontrarvi come credi di riuscire a tenergli testa se non sei al suo livello?»
Priscilla guardò quel foglio ora sgualcito e pian piano si rannicchiò in se stessa, corrucciandosi. Era impensabile che fosse in grado di star dietro a una missione di classe S, ma il ragionamento di Mistgun non faceva una piega e questo la innervosiva.
«È questo il tuo problema» commentò Mistgun. «Continui ad appoggiarti agli altri, forse per pigrizia o forse semplicemente non hai fiducia nelle tue capacità. Prima era Laxus, ora sono io, non riesci ad assumerti le tue responsabilità e chiedi sempre aiuto. Non potrai mai vincere le tue battaglie con questo atteggiamento».
«Da' qua!» ringhiò Priscilla, strappandogli il foglio di mano. «Ho battuto l'uomo vento da sola senza l'aiuto di nessuno, credi possa spaventarmi una cosa come questa?»
«L'uomo vento?» chiese Mistgun, non capendo, ma non ebbe risposta da Priscilla che già si era incamminata, mugolando e borbottando dal nervoso.
Mistgun la guardò andare via con un sorriso divertito sulle labbra, ma la richiamò prima che potesse sparire del tutto. Prima che la perdesse di vista per sempre, vittoriosa nella sua missione e ormai libera dal suo addestramento, doveva rivelarle un'ultima cosa.
«C'è una persona che forse potrebbe risolvere il tuo problema» e il cuore di Priscilla prese a battere come mai era successo prima. «È una mia vecchia amica. Ho sentito che ha sviluppato negli anni una grande capacità nella magia curativa».
«Credi che possa...?» chiese Priscilla, tremando per l'agitazione che quella notizia le dava.
«Non ne ho idea. Ma puoi sempre provare. È una brava persona, sono certo che se le spieghi quale sia il tuo problema farà di tutto per aiutarti».
«Chi è? Dove posso trovarla?» chiese Priscilla, agitata come non mai. Mistgun titubò un po', prima di dirle: «Porta a termine quell'incarico e io ti dirò il suo nome».
Per quanto fosse un vero e proprio ricatto, Priscilla non si lasciò turbare minimamente. Strinse il foglio dell'incarico tra le dita, tanto forte da strapparlo, e scese giù dal promontorio a grandi passi. Il vento ora sembrava più forte che mai.


Il mandante era un uomo nobile e potente, dalla corporatura massiccia e la barba ben curata. La moglie, Lady Forhead, non aveva fatto che piangere nascondendo il volto all'interno di un fazzoletto, mentre lui aveva raccontato l'accaduto: l'amato e altrettanto nobile figlioletto di appena sei mesi era sparito nel nulla durante la notte, rapito dai fantasmi sostenevano.
«Gli abbiamo rimboccato le coperte, come tutte le notti» spiegò con gli occhi vitrei per la paura che stavano vivendo in quel momento. «Abbiamo chiuso la porta alle nostre spalle e abbiamo fatto in tempo, appena, di fare qualche passo. Abbiamo poi sentito un vento gelido, degli spiriti ci hanno toccato le dico! Tutte le luci sono saltate contemporaneamente e quando sono tornate Maximilian non c'era più! I fantasmi se lo sono portato via!» piagnucolò. «I fantasmi del Bosco dei Sussurri sono venuti a prenderlo».
«Cosa vi fa credere che siano stati proprio loro?» chiese Priscilla, che ormai da tempo aveva smesso di credere ai fantasmi e certo non si sarebbe lasciata convincere da tali superstizioni.
«In che altro modo può sparire un bambino di sei mesi se non rapito dai fantasmi?» brontolò Sir Forhead, furioso per il fatto che la maga non gli credesse. Fu la Lady a intervenire e spiegare: «Da qualche tempo dicono che sentono arrivare degli strani sussurri dal bosco a est della città e da quando hanno cominciato a sentirli, sono cominciati a sparire i bambini dal paese. In molti hanno provato ad addentrarsi lì dentro per andare a cercarli, ma nessuno ha mai fatto ritorno. È un luogo stregato e maledetto! La prego, riporti a casa il nostro Maximilian».
Priscilla si era alzata in piedi e aveva annunciato con sicurezza: «Certo!» prima di farsi indicare la strada per la stanza del piccolo Maximilian. Non appena entrò potè sentire distintamente un forte odore di pioppi e pini, il che era veramente strano visto che il bosco si trovava poi non così vicino da far sentire in quel modo il suo odore. Oltretutto il vento tirava in direzione contraria.
"Che abbiano ragione?" pensò rendendosi conto come effettivamente gli indizi portassero a quel bosco. Si avvicinò alla finestra aperta e provò a cercare tracce di effrazione o il passaggio di chiunque avesse preso e portato via il bambino. Le coperte erano ancora ben fatte, con solo una piccola gobba rigonfia laddove il bambino aveva riposato. A terra o sulla finestra non c'erano tracce di scarpe, nonostante la sera del rapimento avesse piovuto a dirotto e certamente i vestiti del rapitore non potevano essere asciutti e puliti se era entrato dalla finestra. Sembrava come se il bambino all'improvviso si fosse messo a volare e fosse stato portato via in quel modo. E quel forte odore di alberi ancora non le lasciava le narici.
"Viene davvero da pensare ai fantasmi" rifletté guardando la giostra appesa sopra il lettino di Maximilian, dove ciondolavano pigramente dei fiori e delle farfalle. Si sorprese di trovarli perfettamente immobili, nonostante la finestra aperta sembrava non ci fosse un alito di vento...eppure lei su di sè lo percepiva, e portava l'odore del bosco. Si avvicinò alla giostra e accarezzò con la punta delle dita una di quelle farfalle.
«Lui amava quella giostrina» disse la Lady, colta da un singhiozzo.
«Il vostro Maximilian sa già gattonare?» chiese insistendo nello strofinare la farfalla tra le dita.
«Sì, aveva cominciato a imparare da poco ma non può essere andato via da solo: porta e finestra erano chiuse ed è tutto successo nel giro di qualche breve istante» rispose il padre, mentre la madre era ancora impegnata a singhiozzare all'interno del suo fazzoletto.
«Credo andrò a dare un'occhiata a quel bosco» annunciò Priscilla, lasciando finalmente in pace la farfalla e uscendo dalla stanza.
«Sono in molti ad essersi addentrati lì dentro, in cerca dei loro bambini, ma mai nessuno ne è uscito. Quel bosco è pericoloso, ma non ho dubbi che per un mago di alto calibro di Fairy Tail sarà solo una passeggiata» disse speranzoso Sir Forhead e questo fece sorridere Priscilla. Come l'avrebbero presa se avesse loro rivelato di non essere di classe S, ma che era sempre stata solo un'assistente? Decise era meglio tenere per sè quell'informazione e si limitò a dire, speranzosa: «Riporterò a casa vostro figlio».
«Gliene siamo immensamente grati» rispose il Sir, aprendole la porta per permetterle di andarsene.
«Sarò di ritorno tra non molto. Abbiate cura di voi nel frattempo e siate speranzosi! A presto!» salutò Priscilla, incamminandosi lungo il viale tra i giardini, fino all'immenso cancello che delimitava la loro incredibile proprietà. Fuori da esso si apriva il paese, allegro e vivace nonostante stanziasse vicino a un bosco della morte.
"C'era traccia di potere magico" rifletté Priscilla, guardandosi le dita con cui aveva toccato le farfalle della giostrina. "Altro che fantasmi, qui si parla di un vero e proprio delinquente".
A testa bassa, pensierosa e concentrata, cercava di rimettere insieme tutte le informazioni che aveva per risolvere quel mistero e nel frattempo camminava lungo la strada affollata di gente, diretta al sentiero che avrebbe poi portato al temibile Bosco dei Sussurri. Una figura scura le passò improvvisamente fin troppo vicino, fino a sfiorarla, e attirò per questo la sua attenzione. Alto, muscoloso, capelli biondi tirati verso l'alto, una giacca scura sulle spalle e un odore fin troppo familiare.
"Laxus?" pensò in un sussulto, alzando la testa e voltandosi a cercarlo.
Era lui, ci avrebbe scommesso, poteva riconoscerlo tra mille. Ma la strada alle sue spalle risultò vuota se non per i volti sconosciuti delle persone del paese.
Possibile se lo fosse immaginato?
Perché mai la mente aveva voluto ingannarla in un momento come quello?
«Che sia colpa di questi ultimi eventi?» mormorò, tornando sui suoi passi. L'aveva incrociato due volte in pochi giorni e in uno di questi era persino riuscita a parlargli. Da quanto tempo non gli parlava? Forse erano passati mesi, se non un anno intero, dall'ultima volta che l'aveva incrociato ed era riuscita a rivolgergli la parola. E nonostante tutti quegli anni, serbava verso di lei ancora del folle rancore. Sentirlo, e soprattutto sentirlo rivolgersi a lei in quel modo così astioso e violento, le aveva dato dei brividi che da molto non provava più.
«Non è certo questo il momento di pensare a lui!» si rimproverò, uscendo finalmente dal paese. Rallentò i propri passi e timidamente si voltò di nuovo, a guardarsi le spalle. Eppure avrebbe giurato di averlo visto.
Si ricompose rapidamente, sforzandosi di tornare padrona della sua razionalità, e infine percorse gli ultimi metri che la portavano all'inizio del bosco. A vederlo da fuori non sembrava avere niente di strano: il vento scorreva tra le foglie, poteva sentire il cinguettio degli uccellini, il ronzio degli insetti. Era un normalissimo bosco come altri, eppure c'era qualcosa che la turbava. Si avvicinò di qualche passo e finalmente potè cominciare a sentirli, quei sussurri che gli davano il nome. Si mescolavano al vento ed erano tanto flebili che non riusciva a distinguerne le parole. Sembrava una cantilena, un mantra.
«Un incantesimo...» riuscì a capire con facilità. Qualcuno stava recitando un incantesimo, probabilmente lo stesso qualcuno che rapiva i bambini nella notte. Non aveva altra scelta, però, se non entrare e andare a cercarlo.
Iniziò a camminare tra i sentieri, silenziosa e attenta, ascoltando la voce che sussurrava nel vento e cercando di concentrarsi su di lei. Più entrava all'interno, più sembrava farsi insistente e forte, e probabilmente era quello il segno che si stesse avvicinando. Voci di bambini iniziarono a unirsi a essa, spensierati, ma sempre distanti e flebili tanto da essere irriconoscibili. Li sentiva parlare, senza capirne le parole, e li sentiva ridere.
«Fa certamente venire la pelle d'oca» rifletté, continuando a camminare verso dove sentiva aumentare quelle voci: non era difficile capire in che modo avesse convinto gli abitanti del paese a dare a quel bosco quel macabro nome e quella terrificante leggenda sui fantasmi. A un certo punto la voce si abbassò improvvisamente, come se avesse varcato la soglia di una porta e se la fosse richiusa alle spalle. Si guardò attorno, sorpresa, e provò a rifare un passo all'indietro, notando come invece quella volta non avvenne nessun cambiamento: era calato un tetro silenzio improvviso. L'inquietudine aumentò quando si rese conto di essere appena sbucata su un sentiero che aveva già percorso in precedenza.
"Sono tornata indietro?" si chiese incredula di aver perso così tanto il senso dell'orientamento. Si voltò e ripercorse i suoi passi, decisa a cambiare direzione e ritrovare quella che sembrava la strada giusta, ma sbucò in un'altra parte di bosco, mai visitata prima.
«Non sono passata di qua, prima» mormorò, sempre più sorpresa. I sussurri avevano ripreso a soffiarle nelle orecchie, ma erano ancora flebili e distanti. Intraprese quel nuovo percorso, sforzandosi di stare maggiormente attenta alla direzione che stava prendendo e riprese a seguire l'intensità dei sussurri. Vagò a lungo, senza riuscire a trovare niente, fino a quando non risbucò un'altra volta su un sentiero già percorso.
«Ho di nuovo perso la strada... possibile?» cominciò a capire perché chi entrasse al suo interno non facesse più ritorno. «C'è qualcosa che non va in questo bosco».
Rendendosi conto di aver perso completamente l'orientamento, decise di alzarsi in volo e andare oltre il tetto degli alberi, per guardare dall'alto dove fosse il paese e ritrovare così la strada. Ebbe un tuffo al cuore quando si trovò davanti quell'incredibile immagine: il bosco si allungava fino all'orizzonte, in qualsiasi direzione, senza variazione di alberi, forma o terreno. Era una piana distesa di foglie e rami tutti uguali tra loro che sembravano aver inghiottito il mondo intero.
Era ovvio che non poteva essere così, perciò non le fu difficile arrivare alla conclusione che l'incantesimo recitato dai sussurri l'aveva appena fatta prigioniera.
«In fondo, era ciò che volevo» mormorò, scendendo nuovamente a terra. «Ora sta a me riuscire a trovarti» e chiudendo gli occhi inspirò a fondo, cercando di annusare l'odore di quell'aria nella speranza di trovare un indizio qualsiasi. C'era qualcosa di strano, un odore pungente, acre. Probabilmente era l'odore di qualche frutto maturo, magari schiacciato al suolo, ma era tutto troppo strano e lei doveva fare attenzione a qualsiasi indizio.
Decise di seguire quell'unico odore che sentiva, unico segnale, e lasciò perdere la sua mappa mentale per ritrovare la strada: da quel momento si sarebbe affidata solo ai sensi e al suo istinto. Camminò per ore, inseguendo voci, odori, sensazioni, ma sembrò non arrivare da nessuna parte e intanto qualcosa le premeva sul petto.
Nonostante l'aria fosse il suo elemento, nonostante avesse un pieno controllo sul mondo intorno a sé, era come se le mancasse l'ossigeno. Ansimava e respirava a fatica. I muscoli cominciarono a dolerle, a perdere di tono, e camminare si fece sempre più difficile.
«Maledizione, ci sto mettendo troppo» mormorò, sempre più affaticata. «E questo bastardo sta avendo il tempo di prosciugarmi».
Una magia che si nutriva del potere magico, non poteva essere che quello. Riusciva a sentirla l'energia, la magia, la sua stessa vita che pareva scorrerle via dai pori della pelle come sudore. Si costrinse a fermarsi un attimo e chinandosi in avanti appoggiò i palmi delle mani sulle propria ginocchia, ansimando.
"Devo trovare il modo di farlo uscire allo scoperto" pensò allarmata. Aveva sperato che facendosi inghiottire volontariamente prima o poi si sarebbe trovata faccia a faccia con chiunque stesse facendo tutto quello, ma disgraziatamente aveva invece scoperto che tutto ciò che lui stava facendo era solo giocare. E più andava avanti e più aveva la sensazione di impazzire, con tutte quelle voci nella testa e le risate dei bambini. Fece un lungo sospiro e cercò dentro sé la forza di concentrarsi e riprendere a camminare, per cercarlo.
"Non vuole farsi trovare" digrignò i denti, sentendosi impotente. Doveva trovare una soluzione e doveva farlo alla svelta. Si guardò una mano, tremolante. La punta delle dita cominciava a sbiadire, come se stesse scomparendo nel nulla.
"Una magia che risucchia potere magico" rifletté, preoccupata. Per lei, il suo potere magico, era la sua esistenza. Se glielo prosciugava sarebbe morta. Non ne avrebbero mai trovato nemmeno il cadavere.
"Il cadavere" rifletté, colta da un'intuizione. Decine di persone prima di lei erano entrati in quei boschi per cercare i bambini rapiti e sicuramente tutti avevano fatto la sua stessa fine: a vagare fino a quando non sarebbero morti di stenti. Eppure nonostante ore e ore di cammino, non aveva trovato nemmeno l'ombra di un cadavere, nonostante avesse scovato qualche segno del loro passaggio. Aveva notato graffi sui tronchi, gingilli abbandonati a indicare la via, piccoli accenni di focolai accesi forse per riposare.
"Dove vanno a finire tutte le persone che entrano qui dentro?" si chiese.
Si rialzò e trascinando i piedi tornò a vagare e camminare, imperterrita, decisa a seguire il suo piano. Doveva trovarlo, prima di morire. E vagò per almeno altre due ore, sempre più pesante, sempre più affaticata, sempre più disperata.
«Merda» urlò, inciampando sui suoi stessi passi e cadendo a terra. Provò a sollevarsi su di un gomito e tirarsi su. «Mistgun... credo di avere qualche problema» disse tra sè e sè, pian piano che un'idea cominciava a farsi strada nella sua mente. Non era tagliata per quella missione, stava morendo e non era riuscita a fare niente di utile, neanche trovare un indizio.
«Non credo di poter resistere ancora a lungo» digrignò i denti, mentre cercava di alzarsi. «Mistgun!» chiamò, sperando che in qualche modo lui avesse potuto sentirla. «Gerard!» insistè, riuscendo ad alzarsi e provando a barcollare ancora più avanti. La testa le girava impazzita e ormai era anche difficile concentrarsi su dove andare e che strada seguire. «Dico sul serio, Gerard! Non sono... non sono capace! Non sono pronta! Gerard!» chiamò sempre più forte, mentre il panico cominciava a prenderle il cuore. Se lei moriva, come avrebbe potuto svolgere il suo compito? Che ne sarebbe stato di Laxus? Della gilda? Di suo nonno? Aveva accettato quella missione, aveva accettato di mettersi alla prova, ma sapevano entrambi che lei non era una maga di classe S. Aveva esagerato a mandarla da sola.
Urlò, cadendo nuovamente a terra.
«Gerard... perché mi hai mandata sola?» mormorò ormai, con un filo di voce. Si appoggiò sulle mani, per cercare di rialzarsi, ma la terra gli mancò sotto quella sinistra e cadde su di un fianco. Confusa, si guardò il braccio: l'intera mano sinistra era ormai scomparsa, dissolta, prosciugata da quell'incantesimo che sembrava risucchiarla e cibarsi di lei. Sbarrò gli occhi, panica nel volto, e il cuore prese a martellare impazzito nel petto.
«G...erard...» mormorò tremando. «Aiutami...».
«Priscilla» una voce la chiamò, chiara e netta, al contrario di tutti quei sussurri che la stavano facendo letteralmente impazzire. Ma non era la voce di Mistgun, la riconosceva. Si voltò, facendo cadere la testa da un lato, stesa a terra com'era. Gli occhi si spalancarono di fronte a quell'immagine e il cuore cominciò a battere così forte che ne potè sentire il rimbombo nelle orecchie.
«Laxus?» chiese, nascondendo rapidamente la mano semi-sparita. Laxus si corrucciò, in un modo fin troppo familiare.
«Finalmente ti ho trovata» sospirò, più nervoso che sollevato.
«Trovata?» chiese Priscilla, confusa.
«Mistgun mi ha detto che eri qui. Questo posto è pericoloso, che diamine pensava quell'idiota quando ti ha mandato da sola?» ringhiò avvicinandosi a lei. Allungò una mano nella sua direzione, abbassandosi per riuscire a raggiungerla. «Riesci ad alzarti?» le chiese e lei annuì, perplessa, sorpresa, ma emozionata come poche volte lo era stato. Allungò la mano destra e afferrò la sua, facendosi aiutare per alzarsi in piedi.
«Riesci ancora a camminare?» le chiese, facendo qualche passo. Lei annuì e stringendogli ancora la mano cominciò a camminargli dietro. «Andiamo, ti porto via da qui» annunciò Laxus, camminando un passo davanti a lei. Nonostante questo, non lasciò la sua presa e continuò a tenerla per mano. Era diventato più grande, in quei cinque anni. Ora la sua presa le avvolgeva quasi del tutto le dita, la differenza tra loro era sorprendente, ma il calore... quello non era cambiato e lei non l'aveva dimenticato. La pelle si era inspessita, era diventata più ruvida e grezza. Doveva immaginarselo: ormai era diventato un uomo. Quanto erano cresciuti, entrambi, in quei cinque anni di separazione. Quanto era diventato grande e forte, lontano dal proprio abbraccio, ma sotto i suoi occhi che sempre andavano a cercarlo. Avrebbe voluto dirgli che le era mancato, ma temeva che così facendo quell'incanto sarebbe svanito facendolo tornare il solito iracondo, burbero e rancoroso Laxus del giorno prima. Voleva goderne, fintanto che c'era, e si limito e stringere con timidezza quella grossa e decisa mano che sembrava non essere intenzionata a lasciarla andare. E rossa in volto per l'emozione, smise persino di guardare la strada che stavano percorrendo, concentrandosi solo sul profilo del fratello che camminava appena davanti a lei. Era diventato più alto, i lineamenti più marcati. Aveva abbandonato la bellezza della gioventù acquistando il fascino di un uomo ormai adulto. Chissà quante donne, ora che era persino famoso, sognavano quel volto. Quel pensiero la fece sorridere.
Una risata di bambini, questa volta più forte di quelle sentite fino a quel momento. Riuscì a distinguerne la provenienza, non erano nella sua testa, ma reali proprio di fronte a lei. Distolse lo sguardo dal volto di Laxus e guardò davanti a sé, dove ora si apriva una piccolissima radura. Laxus si fermò al suo margine e guardò anch'egli ciò che aveva davanti.
Due bambini giocavano al suo centro, seduti l'uno di fianco all'altro. Uno biondo, dal sorriso aperto e lo sguardo entusiasta, raccontava una storia sui draghi usando dei giocattoli per simularne il volo e l'attacco a una città immaginaria. La bambina mora sedeva al suo fianco, più timida e silenziosa, quasi intimorita, ma gli angoli della bocca erano leggermente tirati verso l'alto e guardava con interesse i giochi del bambino accanto a lei. Priscilla non sembrò sorprendersi, ormai stava impazzendo del tutto, non c'era da meravigliarsi se uno dei suoi ricordi più belli avesse preso improvvisamente forma e si aprisse davanti ai suoi occhi in un'allucinazione. Laxus, in quelle sembianze, aveva appena otto anni, mentre lei sei.
«Arriva il drago mangiauomini!» dichiarò il Laxus bambino, mentre faceva volare il proprio pupazzo contro alcune costruzioni che aveva disposto con attenzione di fronte a sé. «Oh, no, sta distruggendo la città! Magnolia è in pericolo, c'è bisogno di aiuto!» e fece alcuni versi, imitando ringhia e ruggiti, mentre continuava a buttare giù finti palazzi e finte case. «Chiamate i maghi di Fairy Tail! Chiamate il migliore!» continuò ad esclamare, mentre la Priscilla bambina vicino a lui si portava timida una mano alle labbra per soffocare una risata.
«Chiamate il mago Laxus Dreyar!» intervenì lei, con una voce nettamente più bassa, ma non per questo meno divertita. Il bambino saltò in piedi e si drizzò fiero, alzando il mento verso il cielo e le mani piantate ai fianchi.
«Eccomi qua, pronto a salvare il mondo insieme alla mia incredibile assistente!» annunciò lui, allungando una mano verso la bambina. La Priscilla bambina arrossì e finalmente si tolse le mani dalle labbra, scoprendo un sorriso tanto luminoso da farle brillare gli occhi. Il Laxus bambino sorrise a sua volta tanto forte che fu costretto a socchiudere gli occhi. La piccola Priscilla afferrò la sua mano e si alzò in piedi, aiutata dal fratellino, e sull'onda della sua euforia esclamò: «Andiamo, Dio del tuono!»
«Che soprannome fighissimo!» esclamò il Laxus bambino, illuminandosi, per poi tornare nella parte. «Sono pronto, Dea del vento!» esclamò.
«I fratelli Dreyar spazzeranno via il male da questo mondo!» esclamò la Priscilla bambina, imitando i gesti dei fratello.
«Eccoli che entrano in azione!» disse il Laxus bambino, cominciando a correre e saltare tutto intorno, facendo finta di schivare ostacoli. Continuò a portarsi dietro Priscilla, tenendola ben salda per mano. «Fa' attenzione, sorellina! Il drago può sputare fuoco!»
«Lo spazzerò via con il mio vento!» disse lei, imitando il gesto di una magia che diede vita a un flebile spiffero.
«E adesso tocca a me dargli il colpo di grazia! Potere dei fulmini!» esclamò, saltando su di una sedia a braccia tese per imitare un colpo che mai venne sparato. Il piccolo Laxus scivolò nel salto e cadde all'indietro, facendo saltare in giro tutte le costruzioni che imitavano le case di Magnolia. La bambina Priscilla lo guardò preoccupata, correndo al suo fianco e chiedendogli: «Ti sei fatto male?»
«Che botta» mormorò lui, massaggiandosi la schiena dolorante. Ma, a parte quello, si risollevò tranquillamente e questo fece rasserenare la sorellina. La piccola Priscilla si voltò a guardare le costruzioni ormai sparpagliate ovunque e con un sorriso divertito alzò le braccia al cielo ed esclamò: «Il Dio del tuono ha distrutto l'intera città con la sua potenza per uccidere il drago! Fairy Tail combina ancora disastri! Oh no, il nonno sarà costretto a pagare una salata multa per colpa sua!»
Il piccolo Laxus sobbalzò allarmato e guardando le costruzioni disse terrorizzato: «No, non ditegli niente!» e a quell'affermazione la piccola Priscilla scoppiò a ridere senza riuscire a controllarsi. Il fratellino la guardò per qualche secondo, ancora allarmato, poi si fece coinvolgere dalla sua ilarità e spalancando la bocca diede vita a una risata ampia e fragorosa.
«Dunque è qui che conduci tutte le tue vittime» disse la Priscilla adulta, ancora ai margini della radura mano nella mano con Laxus del presente. Laxus si voltò verso di lei, sorpreso e forse confuso. Si trovò davanti al viso la mano sinistra di Priscilla, ora tornata esattamente al suo posto. Non ebbe tempo di realizzare cosa stesse accadendo che lei diede vita a un getto d'aria tanto potente che avrebbe potuto staccargli la testa dal collo, ma lui fu di riflessi abbastanza pronti da alzare la braccia per difendersi e saltare indietro. Il getto lo colpì al petto invece che al viso e lo scaraventò contro un albero, facendogli sbattere la schiena. Il mondo intorno a lei ebbe come una sorta di distorsione, ogni cosa ondeggiò per qualche istante, ma tornò tutto normale in poco tempo. Laxus teneva ancora un braccio a coprirgli gli occhi e parte del viso, ma Priscilla potè vedere le sue labbra tirarsi in un ghigno. I bambini, che erano stati la sua infanzia, si dissolsero come sabbia nel vento e ora restavano solo loro due.
Si alzò, si raddrizzò e quando si scoprì il viso priscilla poté distintamente notare come quelli non fossero i veri occhi di Laxus. Oltre alla forma e alla luce che trasmettevano, completamente diversi, erano di colore viola con all'interno disegnati dei cerchi magici. Nonostante questo, continuò a essere lui nella forma, nell'odore, nella voce e nelle movenze.
«Pensavo di avertela divorata quella mano» ghignò.
«Questo è quello che ti ho lasciato credere» rispose Priscilla, senza scomporsi.
«Stai bluffando! Riesco a percepirti, sei al limite» ridacchiò Laxus, convinto.
«Sì, sono esausta, questo è vero, ma non abbastanza da impedirmi di prenderti a calci. Era una messa in scena per costringerti a venire allo scoperto» rivelò lei e Laxus la guardò dubbioso, ma comininciando a capire. «Ti stavi cibando di me, del mio potere, e presto sarei morta» spiegò Priscilla. «Io come chiunque altro prima di me, eppure non c'erano cadaveri sulla strada nonostante avessi trovato tracce del loro passaggio. Così ho capito che in qualche modo, a un certo punto, probabilmente sul punto di morte o proprio da morti, intervenivi per prelevare i loro corpi. Non riuscivo a trovarti e ho capito subito che sarebbe stato impossibile, visto che continuavi a modificare la mappa del bosco nella mia testa per costringermi a pensare di trovarmi in un labirinto. Perciò ho deciso di invogliarti a venire tu da me. Certo non mi sarei aspettata di trovarmi di fronte alla copia sputata di mio fratello, mi hai preso di sorpresa, lo ammetto, ma questo ha dato conferma alla mia ipotesi» e sorridendo, si mise in posizione per iniziare un eventuale combattimento. «Usi la mente delle persone, prelevi loro magia, ricordi, emozioni e fai in modo che siano loro a venire da te e non tu ad andare da questi. Hai fatto lo stesso con Maximilian, hai usato le farfalle che a lui piacciono tanto per attirarlo nel bosco e nel frattempo hai storpiato la coscienza di suo padre per fargli credere che fosse passato solo qualche secondo, mentre in realtà il bambino ha avuto tutto il tempo di gattonare sotto ai suoi occhi e arrivare qui».
"Suo padre".
Laxus digrignò i denti, sentendo che un segreto importante era stato scoperto. Priscilla notò la sua espressione e sorrise, decisa: «Beccata! Avevo ragione anche su questo, allora. Tu sei la madre di Maximilian, Lady Forhead!»
«Sta' zitta!» gridò lui, caricandosi di elettricità. Allungò una mano verso di lei e sparò una vera e propria saetta. Priscilla saltò appena in tempo, aiutandosi con la magia del vento per raggiungere una quota sicura. Piroettò e atterrò nuovamente.
"Riesce a imitare anche la sua magia?" si chiese nel momento in cui il finto Laxus provò nuovamente a colpirla. Corse via, girando in tondo e schivando il colpo. Ma la saetta si rivelò più veloce e per poco non la colpì, costringendola di nuovo a usare la magia per saltare e schivare. Quando atterrò ebbe un cedimento e barcollò, cadendo quasi a terra, ma riuscì a rialzarsi subito. Non in tempo però per evitare un'altra scarica elettrica che la colpì in pieno e la fece contrarre per il dolore.
Si inginocchiò, priva di forze e smossa da un dolore lancinante al petto colpito. Fumava, i vestiti erano stracciati e lasciavano intravedere al di sotto una pelle arrossata, aperta in alcuni punti da dove usciva il solito fascio di luce blu che presto l'avrebbe richiusa.
"Fa male esattamente come quello vero" realizzò, ansimando ad ampie boccate.
«Parli molto» ridacchiò Laxus. «E sei stata furba, lo ammetto. Ma il tuo potere è debole comunque, non puoi battermi» per un attimo gli occhi tornarono ad essere quelli del vero Laxus e assunse in tutto le sue sembianze, prima di pronunciare con un ghigno superiore: «Non mi hai mai battuto».
"Ho capito!" realizzò in quel momento Priscilla, alzando la testa verso di lui.
«Che succede, sorellina?» sghignazzò Laxus, notando lo sguardo di Priscilla e interpretandolo come paura e sgomento. «Hai smesso di sorridermi, nonostante avessi promesso di farlo in qualsiasi occasione?»
Priscilla venne colta da una furia incontrollabile. Lui non era Laxus, anche se aveva il suo aspetto, la sua voce, il suo odore, lui non era Laxus. Come osava approfittare così delle sue debolezze? Dei suoi sentimenti? Cosa osava usare la sua voce contro di lei? Si alzò e gli corse incontro, pronta a colpirlo con tutta la forza che aveva. Laxus caricò il colpo, portando indietro la testa, e infine sparò: «Ruggito del drago del fulmine!»
L'ondata di elettricità sprigionata colpì Priscilla in pieno, travolgendola e facendola per un istante sparire alla vista, avvolta dai fulmini. Laxus guardò il suo operato, soddisfatto, ma ebbe un sussulto quando vide Priscilla immobile di fronte a sé, indenne, ancora nella posizione della corsa. Era come se il colpo le fosse passato attraverso, ma la sorpresa raggiunse l'apice quando questa cominciò a dissiparsi in un'onda e pian piano svanire come un'immagine di fumo che veniva spazzata via.
«Anima del vento» la voce provenne dalle sue spalle, quando ancora l'immagine, seppur sbiadita, di Priscilla era sempre di fronte a lui. Si voltò e la vide in volo, capovolta in quello che era la posizione di arrivo di un salto che l'aveva portata in salvo. La sua mano a un palmo dal suo naso, la guardava sconvolto. Come poteva essere in due posti contemporaneamente? Che avesse usato una magia dell'illusione anche lei?
Un altro soffio di vento dalla pressione immensa nacque dal palmo della sua mano e, ancora una volta, avrebbe potuto ucciderlo brutalmente. Ma anche lui parve dissiparsi, scomparendo in uno dei suoi fulmini e schivando il colpo. Riapparve poco distante, sorridendo orgoglioso e soddisfatto per l'incredibile schivata.
«Ci avevi quasi pr...» non terminò la frase, che Priscilla urlò ancora: «Tornado!»
Un tornado nacque su di lei e in un istante si allargò con una tale potenza da sradicare una decina di alberi intorno a sé. Laxus, di fronte a lei, si dissolve e così la radura in cui stavano combattendo. La voce di Lady Forhead finalmente si fece sentire per com'era veramente, in un urlo di dolore e sorpresa, e Priscilla atterrò così su un marcio terreno ricoperto di sangue e cadaveri.
«Abbiamo combattutto sopra di loro fino ad ora» mormorò furibonda, sollevandosi da terra e galleggiando, per evitare di calpestarli. Lady Forhead era ora a terra, appoggiata a un masso a circa sette metri di distanza, dalla parte opposta rispetto a dove si era trovato Laxus prima di sparire.
«Come...» mormorò, confusa. Provò ad allungare una mano e per un istante il mondo intorno a Priscilla parve ondeggiare, mentre ancora una volta la bella radura sembrò prendere il posto di quel cimitero allo scoperto. Priscilla fu più veloce e puntando verso di lei una mano chiuse la donna in una bolla d'aria che la sollevò da terra.
«Modifica pure la mia percezione, è l'unica cosa che sai fare, ma ormai io so di averti in pugno e anche se ai miei occhi mostrerai qualcosa di diverso non mi impedirai di svuotare quella bolla del suo ossigeno e ucciderti» le disse, facendola tremare per la paura.
«Puoi... fare una tale cosa?» balbettò la Lady, sconvolta.
«Posso fare tante cose» disse Priscilla avvicinandosi a lei. «Ma tu questo non lo sai perché non riesci a prendere il possesso totale della mente delle persone. Non manipoli le loro sensazioni a loro piacimento, ma le manipoli secondo una regola precisa. Riesci a prelevare e usare per le tue illusioni solo tutti i ricordi che in qualche modo sono stati legati all'emozione della paura».
La Lady non rispose, ma i suoi occhi terrorizzati lo fecero per lei.
«L'immagine di Laxus che mi hai regalato era sì simile alla recente, perché proprio ieri io e lui ci siamo incrociati e questo ha smosso dentro me l'emozione della paura che ti ha permesso di impossessarti di quel ricordo. Ma, a parte nell'aspetto e nel carattere, era il Laxus di molti anni fa quello contro cui mi hai fatto combattere. Il Laxus dei miei ricordi più spaventosi. La sua magia era quella di un tempo, nella forma e nella potenza, il dolore che sentivo per i suoi colpi non era reale, era solo un'illusione legata a ciò che io ricordavo del suo potere. Ma hai sottovalutato una cosa importante: siamo cresciuti. Io sono cresciuta, posso usare magie differenti che un tempo non conoscevo e per questo quando ho usato il Mirage, la magia del Miraggio che ho imparato solo un anno fa e che mi ha permesso di ricreare la mia immagine di fronte a te come un'illusione, sei rimasta sorpresa. I ricordi che tu hai potuto prelevare dalla mia memoria, i ricordi legati a Laxus, vengono tutti da almeno cinque anni fa, prima che smettessimo di parlarci. Probabilmente proprio per questo se ieri io e lui non ci fossimo scontrati, mi avresti mandato un'immagine di Laxus più giovane, un'immagine di allora. Io sono più forte e sicuramente anche lui è più forte, oggi. Per questo ho capito che anche le sue magie e il dolore dei suoi attacchi erano solo un'illusione, che non c'era nessuno davanti a me che stava realmente combattendo. Il tuo potere è insinuoso e potente, ma proprio per questo nel fisico sei invece debole e ti sei tenuta a debita distanza mentre io prendevo a pugni un fantasma e soffrivo per dei colpi ricevuti invece molti anni fa. Ho usato un attacco ad ampio raggio per scovarti in un momento in cui non potevi scagliarmi contro il mio fratellino immaginario ed ora eccoti qui, tu e questa povera gente che ci ha provato prima di me» disse lanciando uno sguardo a tutti i corpi senza vita che giacevano ai suoi piedi. «Maximilian non ha mai amato quelle farfalle, ne è invece sempre stato terrorizzato, e per questo sei riuscita a fargliele vedere e spingerlo verso il bosco. Il Signor Forhead invece deve aver paura dei fantasmi e probabilmente è un uomo molto influenzabile, si è lasciato convincere dalle voci su questo bosco, perciò gli ha fatto credere che un fantasma del bosco avesse rapito suo figlio e gli hai fatto sentire il vento gelido addosso o vedere le luci che si spegnevano e si riaccendevano da sole. Scommetto che hai cercato di opporti quando lui ha proposto di rivolgersi a Fairy Tail per risolvere il caso. Non a caso ti sei tenuta a distanza da me mentre lui mi spiegava la faccenda e con la scusa delle lacrime nascondevi il tuo volto nel fazzoletto per paura che potessi vedere la magia nei tuoi occhi».
Un ghigno sul volto della donna confermò le sue parole.
«Avevo pensato di mandarti via con qualche scusa, di usare le tue paure per chiudere la faccenda e allontanarti, ma poi ho sentito questo incredibile potere magico arrivare dal tuo corpo. Non potevo lasciarmelo sfuggire» disse Forhead leccandosi le labbra.
«Ti cibi del potere magico altrui» osservò Priscilla, ora convinta della sua intuizione.
«L'incantesimo dell'eterna giovinezza, una volta iniziato non si riesce più a smettere, è estasiante. Usa la magia come fonte di rinvigorimento, più ne mangio più la mia vita si allunga e resto eterna. Certo, è una magia complessa, e come tutte le magie proibite richiede dei piccoli sacrifici» disse abbozzando un sorriso.
«I bambini...» mormorò Priscilla, cominciando a capire. «Rubi a loro la vita per darla a te».
L'idea faceva venire la pelle d'oca, esisteva al mondo persona più spietata? Come si poteva uccidere dei bambini solo per il capriccio dell'eternità? Del potere? Perché al mondo esistevano persone che non permettevano agli altri di vivere la propria vita, senza provare ad appropriarsene per i loro scopi? Domande e pensieri che non fecero che aumentare la rabbia dentro di lei.
«La gente del paese cominciava a parlare troppo, terrorizzati dalla scomparsa dei bambini cercavano un colpevole e quando i poveri vengono colpiti sono i ricchi i primi a cui danno la colpa» disse ancora la Lady, prima di portarsi panica le mani alla gola ora improvvisamente chiusa. Sbarrò gli occhi, spaventata, puntandoli sul volto furioso di Priscilla che ora stringeva le dita della mano con cui l'aveva chiusa nella sua magia.
«Hai ucciso tuo figlio così da non essere sospettata. Scommetto che ne hai anche approfittato per prenderti i suoi anni, non è così? Vile creatura» ringhiò Priscilla osservando la Lady che ora si dimenava e spalancava la bocca in cerca di un'aria che non aveva più. «Meriteresti l'estinzione, tu come tutti quelli che credono di poter usare i figli a loro piacimento!»
Una frase che andava ben oltre quel semplice accaduto, Lady Forhead che poteva leggere e manipolare le paure degli altri riuscì a percepirlo sulla pelle il dolore e il terrore che portavano con sé quella frase. Qualcosa del suo passato la stava accecando e non si sarebbe fatta scrupoli ad ucciderla per quello. Ora la paura poté sentirla dentro sé e non era quella di Priscilla, ma la propria. Sarebbe morta, lo sapeva, la ragazza non avrebbe avuto rimorsi e l'avrebbe uccisa accecata dalla sua ira. Poteva sentire i polmoni scoppiare e l'immagine del volto corrucciato dalla follia di Priscilla sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto.
Ma sorprendentemente tutto si placò e lei poté tornare a respirare come prima. Priscilla aveva chiuso gli occhi e ora respirava lentamente, rilassando i muscoli e cercando di calmarsi.
«Ti consegnerò al Concilio della Magia» disse con una calma incredibile. «Ai membri di una gilda è proibito assassinare le persone, anche se si tratta di criminali. Decideranno loro la tua sorte» annunciò prima di sollevarsi in volo e portare con sé, sempre dentro la sua bolla, la Lady imprigionata.
Ora che il suo incantesimo era finito, Priscilla potè notare come quel terribile bosco infinito non fosse altro che un minuscolo raggruppamento di alberi di appena qualche metro, abbastanza profondo da poter nascondere dei corpi uccisi, ma non poi così esteso da potercisi perdere all'interno. La magia illusoria di quella donna era davvero incredibile.
«Aspetta» mormorò la Lady, arrendevole. Senza proferire parola, si limitò a indicare un grande albero al centro del bosco. «Non ho avuto il coraggio di ucciderlo. Non lasciarlo lì... riportalo da suo padre».
Priscilla non ci mise molto a capire di chi stesse parlando e volò rapidamente in direzione dell'albero. C'era uno stendardo appeso sopra, con sopra delle rune magiche. Lo scostò e al suo interno trovò Maximilian, addormentato, ma ancora vivo. Tremolante lo prese tra le braccia e se lo poggiò delicatamente al petto.
«Credo di essere stata sfortunata, in fondo» disse Lady Forhead, ancora galleggiante alle sue spalle. «Di tutti i maghi di Fairy Tail mi hanno mandato la più temibile. Non ho mai incontrato una mente come la tua, è stato estremamente complicato riuscire a entrarci e per questo sono riuscita ad ottenere solo un paio di informazioni. Sembrava quasi che non fosse umana» mormorò, quasi vergognandosi di quanto stesse dicendo.
Priscilla sorrise a quelle parole. Se solo avesse saputo quanto ciò era ironico, probabilmente avrebbe sorriso anche lei.
«Ti dirò...» sospirò, voltandosi verso di lei con un viso quasi angelico. «Io in realtà sono la più debole».

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