🌸1. Prime Impressioni (Editato Starlight)🌸

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«Emily Elisabeth Jamie Moony, ti voglio in cucina tra un secondo esatto!»

Nessuno sapeva essere più terribile di Elisabeth Moony che mi chiamava per nome e cognome. D'altra parte anch'io preferivo non chiamarla "mamma", e questo la diceva lunga sul nostro rapporto.

«Arrivo!», risposi, afferrando lo zaino – che avevo adorabilmente riempito di spille con sciocche emoticon – ai piedi del letto.

Io e mia madre vivevamo nella periferia londinese in un palazzo vecchio stile un po' lugubre e, con la nebbia mattutina, tendenzialmente terrificante. Beth aveva un certo gusto per l'orrido e con quella casa aveva fatto il suo acquisto più stravagante. Si estendeva più in altezza che in larghezza ed era una palazzina abitata da più famiglie; noi occupavamo il terzo e ultimo piano, ma i soffitti erano alti perciò sembrava di vivere ancora più su. Le finestre erano ampie così, nonostante l'atmosfera da film horror, di giorno la luce filtrava senza ostacoli conferendole un'aria quasi romantica.

In famiglia eravamo solo noi due, mio padre se n'era andato tempo prima: era un ricercatore, continuamente in giro per lavoro, mentre mia madre un'avvocatessa; sapevo che tra i due non correva buon sangue, ma non amavo fare domande indiscrete ed Elisabeth non sembrava mai essere troppo disponibile a parlare di lui, così avevo sepolto la mia curiosità nel profondo del cuore e lì sarebbe rimasta.

La scelta di vivere in periferia era data dal fatto che nessuna delle due avesse voglia di trasferirsi nel centro di Londra, sempre così affollata e confusionaria, e poi Beth non era riuscita a trovare una casa che la soddisfacesse; infine si era arresa all'idea che non ci saremmo mai mosse di lì. Quella era una zona molto quieta, poco trafficata, qualche atto vandalico c'era, ma niente a confronto del centro.

«Eccomi!»

Entrai in cucina finendo d'infilare le mie adorate All Stars scure. Avevo indossato la nuova uniforme scolastica, ero ormai quasi una collegiale. Quel giorno iniziava il mio ultimo anno alla Saint Anne School e la divisa da old student mi calzava a pennello; in realtà Elisabeth era stata costretta a portare la gonna di stoffa blu alla sarta in fondo alla strada: era troppo larga e senza il sapiente intervento della signora Lyn, avrei rischiato di rimanere in mutande in giro per la scuola. La camicia bianca, fortunatamente, era perfetta per la mia vita stretta e il netto contrasto coi capelli neri dava un effetto complessivamente piacevole. Tutta in ordine mi sentivo una vera studentessa, di quelle irrimediabilmente curate che non hanno un capello fuori posto, da film.       

«Come sto, Beth?», chiesi a mia madre, ruotando su me stessa e sorridendo radiosa: dovevo farle una richiesta ed era necessario il suo buonumore.

«Come sempre», mi rispose col suo caratteristico poco entusiasmo. «E smettila di chiamarmi per nome. Sono tua mamma, per la miseria!»

Il sorriso mi si spense sulle labbra.

Maledizione.

«Mangia e stasera non aspettarmi in piedi».

Elisabeth era sempre fredda con me, e io ricambiavo con la stessa moneta. Meno riguardo aveva nei miei confronti, più intensificavo le volte in cui sostituivo all'appellativo mamma il suo nome. In fondo al mio cuore però l'amavo con tutta me stessa, e sapevo che lei ricambiava, avrebbe dato la vita per me. Dopotutto eravamo solo noi due. Ci sostenevamo in ogni occasione, anche con pareri fortemente divergenti. Non ci somigliavamo per niente, più e più volte le avevo chiesto se ero stata adottata, ma lei mi zittiva sempre col suo "non dire sciocchezze", il motto preferito della Signora Moony.

«Mamma», mi sforzai di chiamarla come da lei richiesto, almeno in quel momento; dovevo infonderle serenità per ottenere i risultati sperati. «Stasera ci sarebbe una festa interessante da Jenny, credi che possa...» Mi giocai il tutto per tutto, di lì a poco sarebbe andata in ufficio e il tempo stringeva.

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