Nel tardo pomeriggio, Paolo si ritrovò da solo: Rosalia, dopo le capriole in cui si erano lanciati nel suo letto in albergo, aveva afferrato le sue cose, gli aveva lasciato il suo numero di telefono sparendo nel giro di una mezz'ora. Paolo non pensava fosse semplicemente fuggita da lui ma, nonostante fossero passate solo poche ore, la ragazza già gli mancava.
Resistette all'impulso di mandarle un messaggio per lasciarle il tempo di riprendersi da quanto era successo tra di loro e decise di farsi una doccia.
Al termine, chiuse l'acqua, indossò l'accappatoio ed iniziò a camminare a piedi nudi sull'asciugamano che aveva lasciato precedentemente sul pavimento. Passò una mano sullo specchio posto sopra il lavandino che aveva finito per appannarsi a causa dei fumi dell'acqua calda, e si guardò allo specchio.
Per la prima volta, da quando aveva iniziato quel viaggio folle, si sentì davvero nel panico: era solo, in un posto sconosciuto e la consapevolezza di ciò lo colpì in pieno. Non aveva idea di come avrebbe trascorso i restanti tredici giorni in cui sarebbe dovuto restare a Palermo; Gabriele e Rosalia lo avevano distratto a sufficienza durante l'inizio del suo viaggio, ma non aveva idea di chi fosse realmente e dove diavolo fosse finito Gabriele, così come non poteva scocciare e pretendere due settimane di attenzioni da parte di Rosy.
Sospirò.
Si tolse l'accappatoio e si rivestì decidendo di fare due passi nella zona, anche solo per capire dove andare quella sera per cena: doveva imparare a conoscere la città e di certo non avrebbe potuto farlo restando ancorato ai due luoghi che aveva già scoperto grazie a Rosalia.
Per strada si accorse che l'aria si era fatta più leggera: il sole stava tramontando e non picchiava più furioso contro la pelle; rimaneva quella cappa di afa soffocante e l'assenza totale di vento gli fecero imperleare la fronte di goccioline di sudore.
Attraversò la strada fermandosi al chioschetto di fronte l'albergo, comprò una bottiglietta di tea verde freddo e decise di entrare nel giardino antistante il chioschetto.
Era un bel posto, pieno di aiuole rigogliose, alberi maestosi e piccole costruzioni in pietra sparse qua e là che fungevano da "salottini" per i visitatori del luogo. All'interno del giardino c'erano anche diverse fontanelle, un bar ed un piccolo parcogiochi per i più piccoli. Era un posto affascinante, dove si riuniva un'accozzaglia di persone diverse: c'erano giovani coppie ad occupare gli angoli più nascosti, ragazzini appollaiati sulle panchine intenti a fumare, chiacchierare e bere qualche birra, uomini di una certa età vestiti di tutto punto che attraversavano il giardino a passo svelto stringendo in una mano le loro ventiquattrore e nell'altra il cellulare. Mamme e papà con i loro bambini e meravigliosi uomini in divisa che passeggiavano per il giardino in sella a dei cavalli tenendo sotto osservazione la situazione in modo discreto ed elegante.
Paolo si abbandonò su di una panchina finendo di bere il suo tea, gettò la bottiglietta vuota nel cestino lì vicino e si sparapanzò gettendo la testa indietro e chiudendo gli occhi. Faceva troppo caldo per concedersi le attività di un turista. E poi, lui non lo era, almeno, non nel senso stretto del termine: era lì per imparare a conoscere la città sul piano pratico, nell'eventualità in cui si fosse deciso di trasferirsi lì con il padre.
Si permise, finalmente, di riflettere seriamente sulla sua situazione: davvero si sarebbe trasferito con il padre a Palermo? Conosceva la vita a Londra, la metropoli uggiosa che tanto amava ed a cui era abituato. Gli sarebbe piaciuto continuare a vivere con sua madre? Voleva bene ai suoi genitori ma, se avesse davvero dovuto scegliere con chi stare, non c'erano dubbi sul fatto che pensasse si sarebbe trovato meglio a convivere con suo padre. Sua madre era sempre stata troppo puntigliosa, snob ed apprensiva, litigavano continuamente, ma l'idea di non vivere più con lei o comunque, di non vederla spesso, lo rattristava. E suo padre era altrettanto pieno di difetti, seppur diversi e non proprio fautori di liti tra padre e figlio, anche se, Paolo temeva, sarebbero potuti diventarlo in una convivenza a due.
Non aveva idea di ciò che avrebbe deciso, sapeva soltanto che non si sentiva pronto per staccarsi da entrambi in modo netto e, quindi, non pensava che avrebbe optato per andarsene a vivere da solo. Era un pensiero che l'aveva sfiorato spesso nell'ultimo anno ma, nel ritrovarsi quasi costretto dalla situazione ad analizzare la possibilità di quella scelta, d'istinto decise che non avrebbe imboccato quella strada, forse, più per ripicca: fatto sta che si sentiva dannatamente confuso.
Sospirò ed aprì gli occhi, sollevò il viso rivolgendo gli occhi sul vialetto, trovandosi davanti una ragazza di circa vent'anni. Era graziosa, piccolina e magrolina, con lunghi capelli castani e grandi occhi scuri dalle ciglia folte e lunghe. Indossava un vestitino leggero, verde e dei sandali chiari.
-Tutto bene?- gli domandò. Paolo si mise seduto composto e ricambiò il suo sguardo, annuì: -Scusami se ti disturbo, ma ho notato che sei rimasto a lungo nella stessa posizione e con gli occhi chiusi, temevo ti fossi sentito male per il caldo- Paolo le sorrise:
-No, tranquilla, stavo solo pensando- la ragazza arrossì:
-Mi dispiace, davvero, non volevo disturbarti è che studio infermieristica e vedo ovunque gente bisognosa d'aiuto- Paolo aggrottò la fronte mentre le labbra gli si incuravavano in un sorriso divertito:
-Si vede che nutri molta passione per ciò che studi- la ragazza tirò un sospiro di sollievo e gli sorrise:
-Ti ringrazio per la comprensione, adesso sembra che i nostri ruoli si siano invertiti e che sia io quella che ha bisogno di aiuto. Sono un tipo ansioso e ci tengo a ciò che sto facendo e ho sempre l'ansia di fare la cosa giusta per il mio futuro anche quando mi trovo fuori dall'università-
-Sono sicuro che si rivelerà una cosa utile per il tuo futuro- la ragazza scosse la testa mentre arrossiva:
-Mi dispiace! Non sto facendo altro che importunarti, scusami- e così dicendo fece per andarsene, ma Paolo la trattenne per un polso. La ragazza si voltò nella sua direzione con sguardo dubbioso:
-Io sono Paolo e non sono di qui, che ne diresti di... prendere un tea con me?- le domandò. La ragazza gli sorrise:
-Il mio nome è Valentina, piacere di conoscerti e sì, perché no?- Paolo le liberò il polso e si alzò dalla panchina:
-Dove andiamo?- le chiese:
-Potremmo prenderlo al bar qui dentro il Giardino Inglese oppure salire al Politeama od al Teatro Massimo ed andare in una delle sale da tea che ci sono nelle loro vicinanze- Paolo rifletté sulla proposta della ragazza: seguendo il suo secondo suggerimento avrebbe potuto vedere e conoscere nuovi posti della città, ma era stanco del viaggio e del sesso con Rosalia, e poi faceva troppo caldo e quindi, scelse la prima opzione suggerita dalla ragazza.
Si sedettero in uno dei tavolini sparsi a ridosso dell'ingresso del bar ed, alla fine, optarono per prendere due gelati. Paolo lo trovò molto più buono di quello a cui era abituato a casa e rimase stupito dell'infinità dei gusti proposti e dalla qualità dei prodotti utilizzati nella preparazione di cui si vantavano nel menù.
-Sono qui da meno di ventiquattro ore ma, ho già capito che da voi si mangia bene- Valentina sorrise:
-Il cibo è una cosa seria dalle nostre parti-
-Niente piatti precotti?- la ragazza gli lanciò un'occhiata:
-Dio!, sicuramente ci sarà qualche pazzo, anche qui, che mangia quel genere di schifezze, ma stai certo che, se ti sentisse mia nonna parlare di piatti precotti o peggio, di quanto questi od il sushi siano buoni, ti inseguirebbe per tutta la casa con il suo mattarello- Paolo rise continuando a mangiare il suo gelato.
-Come mai sei da queste parti?- gli domandò poco dopo, Paolo si strinse nelle spalle e sentì che non aveva granché voglia di confidarsi con quella ragazza, era gentile e carina, ma preferì rimanere vago sulla realtà del suo viaggio:
-Sono in vacanza- le rispose:
-Da solo?- il ragazzo annuì: -Ti andrebbe di venire ad una festa stasera?- gli chiese poco dopo. Paolo sollevò un sopracciglio:
-Non mi conosci nemmeno- disse di getto e Valentina gli sorrise imbarazzata:
-In realtà, sarà una serata dove mi esibirò con la mia band all'interno di un locale in via Dante. Se venissi, mi assicureresti uno spettatore- Paolo scosse la testa ricambiando il suo sorriso:
-Che genere di musica fate?- le domandò. Valentina si pulì le mani sporche di gelato con un tavogliolino e si passò la lingua tra le labbra:
-Facciamo musica metal- rispose. Paolo sgranò gli occhi:
-Una futura infermiera che suona musica metal... la cosa mi affascina- Valentina si lasciò scappare un risolino:
-Allora... ci sarai?-
-Assolutamente, sì-
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TWO WEEKS
Teen Fiction⚠️ Da revisionare. Fausto e Raquel hanno da poco divorziato e, da genitori moderni e all'avanguardia quali si credono di essere, decidono di dare la possibilità al loro unico figlio, Paolo, di scegliere con chi dei due continuare a vivere: a Londra...