Capitolo undicesimo: isolamento.

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Mi risvegliai in braccio a James, stavamo tornando all'istituto.

-Ahia la testa- dissi massaggiandomi le tempie.

James abbassò lo sguardo e gli altri due si fermarono a guardarla.

-Perché mi fissate tutti?- Sembrava che fossi diventata una calamita per i loro sguardi.

-Meglio controllare che quegli occhi non siano rossi- mi rispose meccanicamente Max e James gli lanciò un' occhiataccia, probabilmente non doveva dirmelo.

-Ah- dissi, imbarazzata. Nel mentre avevamo ricominciato a camminare e chiesi a James di mettermi giù.

Lo fece.

Subito barcollavo un po' ma poi mi stabilizzai.

Volevo aprire un portale e isolarsi. Voleva andare in quella stanza blindata in cui passava le notti di luna piena così gli altri sarebbero stati al sicuro.

Ancora non avevano capito il motivo ma se usava i suoi poteri con la luna piena ne perdeva il controllo e perciò avevano costruito quella stanza nascosta. Solo lei e James erano al corrente della sua esistenza.

Feci per farlo ma prima che finissi l'opera, Elle che era stata zitta fino a quell'istante mi chiese -dove vuoi andare?

Non le andava di avere segreti in quel momento dedicato e risposi -A isolarmi, starete tutti più al sicuro lontani da me- e con queste parole entrai nel portale. Ma prima che di trasportarmi sentì James dire -So dov'è andata. Andrò da lei e la terrò d'occhio- con queste parole sentì passi veloci che si allontanavano, con la sua velocità "avanzata", la quale la motivazione era sconosciuta, forse era perchè era un Golden, verso una meta sconosciuta a Max ed Elle ma conosciuta dalla coppia.

James' pov

Raggiunsi l'istituto.

Era ancora vuoto e subito presi l'ascensore e salì al terzo piano.

Mi ricordavo che dentro la camera di Sophie  c'era un passaggio segreto che portava in una stanza blindata dove la magia non poteva entrare o uscire, rimaneva chiusa all'interno o esclusa fuori. Sophie passava lì tutte le notti di luna piena anche se ancora non si era riusciti a spiegare perchè in quelle notti la sua magia impazziva se la usava, solo che Sophie non sarebbe mai riuscita a ricordarsi che in quelle notti non doveva usarla, era impossibile: utilizzava la magia persino nelle cose più banali come spostare un libro caduto da terra.

Quella stanza si poteva aprire senza problemi.

Aprì la porta.

Quella stanza era piccola, misurava circa tre metri per tre e mezzo. C'era lo spazio per un letto singolo, con una coperta blu e con la spalliera in ferro rosso; una scrivania, fatta di legno con quattro cassetti che avevano le maniglie rosse che richiamavano la spalliera del letto, con la sua sedia abbinata; qualche mensola stracolma di libri (di cui, tra l'altro, Sophie aveva tutti i doppioni nella sua camera) e una porta, dove si aveva accesso ad un piccolo bagno, con giusto lo spazio per un gabinetto, un lavandino e uno specchio. Le pareti della stanzina erano bianche, mentre nel bagno, le pareti erano ricoperte da piastrelle azzurre.

Sophie si trovava sul letto, si stava cullando, con le braccia che avvolgevano le gambe e gli occhi spalancati, come se si fosse appena svegliata da un incubo terribile.

-Chiudi la porta e vattene via subito.- mi ammonì lei immediatamente senza guardarmi.
Era preoccupata per me e per chiunque si avvicinasse a lei.

Mi richiusi la porta alle spalle e si avvicinò a lei -resto qui.

Lei alzò lo sguardo come se subito non lo avesse riconosciuto, poi il suo sguardo si trasformò prima in uno sguardo preoccupato, poi confuso ed infine rincuorato dal fatto che non la lasciassi da sola ad affrontare quell'agonia, nonostante avesse un occhio dorato e uno rosso.

-Non dovresti essere qui- mi disse con voce debole ed esausta. Era evidente che si stava battendo in una battaglia interiore.

-Non dovresti soffrire così tanto, specialmente da sola. Permettimi almeno di farti compagnia- mi guardò rincuorata e accennò ad un sorriso.

-Va bene, ma sto cercando di combatterla con tutte le mie forze e non ce la faccio più. Questa stanza riesce a bloccare gran parte del suo potere ma è un demone superiore e un po' riesce a superare le barriere- era devastata.

-Si nota che stai combattendo, non ti devi arrendere- la incoraggiai.

Sapevo che poteva farcela: era una ragazza molto forte e combattiva.

-Come?- disse confusa e pensierosa -si vede?

-I tuoi occhi- era risposta piuttosto ovvia ma cercai di non far notare la mia lieve scocciatura.

-Ah si, giusto. Vorrei arrendermi ma allo stesso tempo non voglio. Smetterei di soffrire però chissà cosa mi farebbe fare mentre mi controlla- rabbrividì al solo pensiero.

Delle lacrime iniziato a rigarle le guance. Non singhiozzava, piangeva silenziosamente.

Eravamo consapevoli che i suoi poteri nelle mani di un demone superiore non dovevano finirci.

-Ehi, vieni qui- lei si avvicinò a me che le sollevai il viso asciugandole le lacrime con i miei grandi pollici -sei una guerriera, batteremo Lilith, ce la faremo e tu sarai completamente libera- feci una pausa per poter trovare le parole giuste -Noi insieme la batteremo e non dovrai più preoccupartene.

Lo sguardo della ragazza divenne buio e lei poi disse -Non si può- era apparentemente sicura di ciò che aveva detto

-Cosa?- Non poteva essere, nessuno era imbattibile.

Le tremava la voce -Ucciderla, non si può ucciderla senza uccidere anche me.

-Come?!- No è impossibile, no!

-Quel breve rito... ecco lo avevo letto qualche giorno fa su un libro... in questo modo io le sto dando forza vitale e ciò mi consuma potrei vivere molto meno di quanto dovrei, circa la metà. Poi sono una Lightfighter... molti muoiono in battaglia.

-Perché non me lo hai detto?!- Ero preoccupatissimo.

Sicuramente non avrei permesso la morte di Sophie, la ragazza che ogni giorno mi faceva innamorare di più di lei.

-Volevo solo mettervi al sicuro, uccidetela. Non importa se ucciderete anche me. Uccidetela- sembrava sicura di ciò che diceva e anche della sorte che l'attendeva.

-Certo che importa! Come puoi dire una cosa del genere?- Se muori te... muoio anch'io... non posso vivere senza di te. Pensai ma non lo dissi.

-James...

-È fuori discussione, troveremo una soluzione- sempre che ci sia..., mi ricordò il mio subconscio. Pessimismo era il mio secondo nome, era risaputo ormai.

-Resti qui?- mi chiese lei, guardandomi con quei grandi occhi.

-Si.

Rimanemmo abbracciati tutto il tempo. Sophie ogni tanto gemeva, sofferente ma sembrava che la mia presenza la facesse sentire al sicuro e così dopo quel che ora, si addormentarono insieme.

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