CAPITOLO XXXIV - A carte scoperte

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Quella voce...

«Era ora che ti svegliassi, stavo per lanciarti un secchio d'acqua fredda».
Raya era lì, seduta su una sedia di legno, proprio fuori dalla mia cella.
Dovette notare la mia espressione di assoluta incredulità perché gettò la testa all'indietro, producendosi in una risata isterica, malvagia.
«Eppure credevo che ormai avessi capito tutto» insinuò, ironica «evidentemente sei più stupida di quel che pensavo».

Restai come pietrificata, immobile e silenziosa, incapace di produrre alcun suono.

«Cosa c'è, sei rimasta senza parole?» continuò lei, gongolando senza pudore per quella situazione di predominanza «forse non ti aspettavi di vedermi?»

Annuii.

«Cosa ci fai qui?» le chiesi, ritrovando, a poco a poco, la voce «perché mi state facendo questo?»
«Perché mi state facendo questo?» mi imitò lei, facendomi il verso con una vocina fastidiosa che ero sicura non mi appartenesse.

Le rivolsi uno sguardo tagliente.

«Sei tu che ci hai costretti, Barbara» affermò «ci hai causato fin dall'inizio tanti problemi, ti sei dimostrata la solita ragazzina occidentale viziata».
«Problemi?» farfugliai.
Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capire a cosa si stesse riferendo.
«Immagino che, ottusa come sei, ti starai chiedendo cosa puoi aver fatto di male proprio tu, piccola e dolce anima innocente, non è così?»

La sua rabbia mi impressionò. Sembrava provare un disprezzo nei miei riguardi che superava ogni immaginazione. Mi chiesi come avesse potuto fingere per così tanto tempo di essermi amica, di stare dalla mia parte. Se fosse esistito un premio alla falsità l'avrebbe vinto lei, un Oscar come migliore attrice.

«Sei stata la nostra sfida più grande» continuò, nel suo delirio «ma anche il nostro giocattolo più divertente, devo ammetterlo. Quando Faaris mi chiese, alcuni mesi fa, di procuragli un'altra donna, una nuova moglie che arricchisse il suo harem, per un lungo periodo non sono riuscita a soddisfare la sua richiesta. Cercavo, cercavo, ma proprio non riuscivo a trovare una ragazza che facesse al caso suo, che rispettasse i suoi standard, che costituisse una piacevole sfida. Poi, finalmente, quando ho visto la tua foto su quel curriculum, così simile alle altre ma allo stesso tempo così diversa, con uno stile di vita assolutamente distante dal loro, mi sono subito detta che eri la scelta giusta, che a Faaris sarebbe piaciuta una donna come te, che avrebbe desiderato a tutti i costi sottometterti. E, infatti, da quando ti ha vista sei diventata un chiodo fisso per lui, una vera ossessione».

Quindi era lei l'origine di tutto. Era stata lei a inchiodarmi in quel gioco perverso, a muovere la mia pedina su quella scacchiera di depravazione che, attimo dopo attimo, sembrava sempre più intricata e nauseante. Era stata lei, fin dall'inizio, a procacciare concubine a Faaris, a trovare e piegare le ragazze che avevo conosciuto, che avevo visto accettare con remissività quella loro assurda condizione di schiave. Ma come si era potuta originare quella sordida alleanza? Quale doveva essere il vero ruolo di Raya in tutta quella storia?

Continuai a guardarla, in silenzio, aspettando che continuasse con quelle sue follie. Sembrava non aspettasse altro, da mesi, che raccontarmi il suo gioco, rendermi partecipe del suo bluff e dei passi che aveva fatto affinché io finissi proprio lì, sola, in quella cella.

«L'avevo avvertito che con te sarebbe stato diverso. Con le altre era stato semplice: era bastato prometterle protezione, una vita agiata, corteggiarle un po' e introdurle, a poco a poco, nella cultura e negli usi e costumi del mondo arabo. Il resto è venuto da sé. Si sono assoggettate da sole a lui, alla sua influenza. Tu invece...» caricò quel tu con un disprezzo che mi colpì, quasi un ribrezzo nei miei riguardi che non riuscivo a spiegarmi e, soprattutto, non potevo sopportare «...il primo passo era fare in modo che Faaris guadagnasse immediatamente la tua fiducia. Lo avevo capito fin da subito che eri una ragazza emancipata, una stupida italiana tutta moine e principi. Sono stata io ad avere l'idea di farti salvare la vita da lui. Ero certa che una sciocca bambolina come te, cresciuta a pane e principe azzurro, si sarebbe fidata ciecamente di un bel cavaliere Arabo venuto in suo soccorso».

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