EPILOGO

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Guardai le luci dei grattacieli in lontananza, quello spettacolo mi sorprendeva ancora, come la prima volta.
Lo skyline della città era magnifico.
Luci scintillanti, vita, il Burj Khalifa, luminoso come un faro, Il Burj Al Arab -la vela- così diverso, così particolare, ma tutti animati da uno stesso motivo di fondo, da una costante ricerca dell'eccellenza, dal desiderio di stupire. Perché Dubai era proprio così: un oasi di progresso, dove il futuro cercava di essere sempre migliore del passato e dove anche le persone, forse, potevano provare a farlo.

Alessandro mi strinse tra le sue braccia, riscaldandomi in quella fresca notte di capodanno.
«Ti amo» mi disse «so che è presto per dirlo, ma credo di voler passare tutta la mia vita con te».
Gli strinsi le mani tra le mie.
«Anche io ti amo» dissi, senza esitazione, senza paura «grazie a te ho capito cosa è davvero l'amore e mi sono resa conto di non averlo mai provato prima di incontrarti. Hai ragione, è presto per parlare di futuro, ma anche io credo di volerti accanto per sempre».

Ci baciammo, nonostante fossimo in pubblico.
Ma, in quella notte di festa, tutto sembrava essere consentito.

Eravamo ancorati a un paio di chilometri dalla costa, su un bellissimo Yatch dove avevamo deciso di festeggiare l'ultimo giorno dell'anno, sperando che quello venturo ci regalasse tutto ciò che desideravamo e, perché no, ci meritavamo: amore, serenità, guarigione, amicizia.

C'eravamo proprio tutti quella sera: io e Alessandro, James e Frank, Angela e il suo nuovo compagno, il dottore che avevo intravisto, per la prima volta, all'Atlantic Hotel, e che si era dimostrato un uomo pacato, di poche parole, così diverso dall'uragano che era lei, ma allo stesso tempo così affine. Sembravano davvero innamorati.

Infine c'era Jessica.
In quelle ultime due settimane avevo imparato a conoscerla meglio. Era una ragazza meravigliosa, che aveva subito molti traumi. Abusata fin da piccola dalla sua stessa famiglia, violentata, e nonostante tutto con una grande voglia di vivere, di ripartire e di cercare una vita migliore. Era proprio per questo che, pur mettendosi contro tutto e tutti, si era trasferita a Dubai, in cerca di fortuna. E, invece, aveva trovato Faaris che, lusingandola come aveva fatto con me, l'aveva convinta della possibilità di essere, finalmente, felice. L'aveva dotata di una condizione agiata, così diversa da quella che le era toccato vivere fino a quel momento. E, in fondo, le aveva dato ciò che le aveva promesso, fino a un certo punto. Ma, come si era resa conto anche lei, alla fine, quella non era una vera vita, ma solo una dorata prigionia. Quando mi aveva teso la mano, in quel corridoio, mi aveva dimostrato che non le bastava più, che lei era una persona, non una schiava. E aveva deciso di lottare, di combattere con noi.

Adesso occupava casa mia. Da quando eravamo tornati, dalla fine di quell'incubo maledetto, non ero più tornata nel mio appartamento, se non in compagnia di Alessandro, per prendere alcune cose.
Ritornare lì mi era stato impossibile. Mi ero trasferita, ormai in maniera permanente, da lui, e avevo pensato che, finché Jessica non avesse trovato una sistemazione tutta sua, un lavoro, avrebbe potuto stare lì. E, dati gli sviluppi che c'erano stati, ci sarebbe, effettivamente, restata.

Quando Alessandro si era voltato verso di noi, dopo la chiamata di Al Fakir, avevo temuto il peggio. La sua espressione era contrita, strana, ma era stato tutto frutto della mia immaginazione. La paura, la tensione, che avevano pervaso tutti noi, mi avevano portata fuori strada. Dopo qualche secondo, infatti, le sue labbra si erano schiuse in un dolce sorriso.
«Faaris non ci creerà più problemi» aveva detto, sussurrando appena quelle parole, quasi che, alla fine, non ci credesse davvero anche lui.
Il giorno successivo avremmo avuto un appuntamento proprio con Mr. Al Fakir, nel suo ufficio. Voleva vederci. Ci avrebbe spiegato la situazione. E così era stato.

Quel martedì ci eravamo presentati tutti, compresa Jessica, nel suo ufficio al 21esimo piano, davanti alla porta dorata che tanto mi aveva colpita la prima volta che ero stata lì e che, a furia di guardarla, aveva impresso in me, senza che me ne accorgessi, il suo cognome. Un ricordo che mi era stato fondamentale per dare quella dritta a James e aiutarlo a venire a capo della faccenda, a trovarmi.

La rosa del desertoWhere stories live. Discover now