"Giustizia fatta con Violenza"

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"Sinceramente Warren, io ho un patrimonio in banca e lo investerò su qualcosa di sensato se mai dovrò farlo" Sorseggiai il mio whisky mentre parlavamo d'affari.

È vero, i soldi non mi mancavano. Ma li custodivo e risparmiavo sempre.

"Senti.." Iniziò la frase sottovoce.

"Ho sentito che tanti se ne vogliono andare da Cuba, ciò significa che si fa a galla più lavoro" Mi guardò ma non lo seguivo, non riuscivo a capire cosa voleva.

"Cioè?" Chiesi tenendo lo sguardo fisso su Lolita, dio quant'era bella.

E quel schifoso di Caraido allungava troppo le mani.

"Cioè? Sto seriamente iniziando a dubitare di te Ferrez. Se pronuncio il nome Ferrari non ti viene in mente nulla?" Mi riprese in modo serio.

Appena disse Ferrari capì. Erano macchine che qui a Cuba non si vedevano nemmeno col cannocchiale ma, erano molto amate e vendute in questi tempi.

"Ne avev-" Vennimo interrotti da Caraido che iniziò a urlare con un cameriere.

"Ti ho detto che volevo un cazzo di champagne! Non una spremuta d'arancia!" Lanciò il bicchiere a terra da quanto era ubriaco.

Il cameriere si scusò e iniziò a balbettare, Caraido lo prese per la nuca sbattendo la sua testa sul tavolo.

"Cazzo! Nessuno sa fare più il suo lavoro oggigiorno!" Urlò.

Io mi alzai per intervenire, ciò che gli altri non avevano  il coraggio di fare.

"Lascialo stare, avrai il tuo champagne" Gli dissi in modo serio dividendolo da quel povero cameriere.

"E tu chi cazzo sei? Levati sennò ti spezzo pure a te!" Mi sputò in faccia ma non reagì perché non ne sarebbe valsa la pena.

"Tu provaci" Lo provocai.

Mi voleva tirare una testata ma lo schivai così lui andò a finire contro il muro cadendo a terra.

"Ci hai provato almeno" Dissi sottovoce.

Tutti rimasero scioccati in silenzio, mi girai e incrociai lo sguardo di Lolita.

Era spaventata ma appena mi vide le lacrime gli vennero agli occhi e si girò in fretta tornando nel suo camerino.

"Warren andiamo" Gli feci capolino con la testa e ce ne andammo.

Non capivo perché lei aveva reagito in quel modo, non so.

So che da quella sera ero seriamente concentrato solo su una cosa. L'Affare Ferrari, noi in codice dicevamo: L'Affare Rosso.

Il progetto era di venderle a Cuba, nonostante rischiassimo. Il punto era che non avevamo i designer delle Ferrari a Cuba, e non avevamo nemmeno il marchio originale di chi le produceva.

Sarebbe stato un affare di milioni, per come l'avevamo messa io e Warren.

Avevamo bisogno di informazioni che poteva sapere solo Castro, e non sapevo come arrivare a Castro.

Dormivo nel mio letto con la coperta di seta e sognavo tanti soldi piovere dal cielo, ma io stesso sapevo che ci voleva più di una mente sognante.

Ma una mente da volpe.

Se un uomo riesce a pensare in modo elegante,
Allora sarà per sempre un uomo galante.

Lo diceva mio padre sempre, e penso che sono il suo peggior incubo.

Lui voleva il figlio perfetto, quello serio, quello di famiglia, e un nome pulito.

Io non sono mai stato perfetto e non avrei mai avuto intenzione di diventarlo. Mi piacevo di carattere per così com'ero.

Spesso da ragazzino, o per noia, mi piaceva tirare pugni senza sosta. Sapevo saltellare, e muovermi come un vero pugile.

In paese mi dicevano che sembravo Carnera, il pugile italiano. Forse lo dicevano tanto per dire, ma io mi sentivo forte.

E mi sentivo ancora forte.

La mattina mi alzai, e mi venne data la notizia che Pedro si era ferito. Andai a casa sua per vedere il suo stato di salute e perché si era ferito.

Bussai a quella porta sottile e rotta che secondo me cercarono di sfondare. Mi tenni il cappello sul petto in attesa che mi venne aperta la porta.

"Chi è?" Sentivo la voce sofferente e aggressiva di Pedro dietro la porta.

Capisco che non apriva la porta a chiunque dato che c'era molto pericolo per le strade.

"Sono Ferrez. Apri" Gli dissi.

Lui mi aprì la porta e il mio sguardo cadde subito sul suo occhio blu e gonfio, sul collo aveva un taglio molto profondo.

"Chi è stato?" La prima cosa che gli dissi era quella.

Gli andai incontro e lui abbassò lo sguardo.

"Dimmi chi è stato Pedro, è un ordine" Chi poteva ferire questo ragazzino? Ero incazzato nel vederlo ridotto così.

"L'altra sera..-" Iniziò a singhiozzare.

"L'altra sera?"

"L'altra sera ho rubato un pezzo di pane, alla panetteria quella dove lavora il comunista" Mi disse.

Io lo fermai e dalla rabbia me ne andai da quel comunista infame.

Ero infuriato per cosa stava diventando il nostro paese, graffiare con un coltello un bambino per un pezzo di pane. Ma come si fa?

Appena arrivai spacchai la sua porta vetrata col ombrello e lui dalla paura si nascose sotto al bancone.

"F-ferrez-" Disse con voce tremolante.

"Sì coglione, sono Ferrez. Ora alzati" Si alzò e puntai l'ombrello sul suo mento.

"Sai che siamo stati tutti piccoli vero?" Lui annuì con la paura che lo mangiò vivo.

"E ricordi quant'eri morto di fame che non potevi permetterti nemmeno un paio di mutande?" Alzai la voce come una bestia e lui annuì.

"Quindi spiegami perché cazzo lo hai ferito e dammi un motivo buono per non spezzarti le gambe!" Lo buttai a terra. Lui indietreggiò su se stesso finché non toccò il muro.

"I-io p-ensavo di fare la cosa g-giusta.." Disse.

"Nella vita non si pensa, si fa! Tu tutti i giorni gli porterai il pane a casa sennò sarai un uomo morto e sai che ho molti informatori in giro e che non ti conviene fare il contrario vero?" Gli urlai in faccia.

Lui con un groppo in gola annuì, e per dargli l'ultimo colpo di grazia presi il coltello e glielo lanciai proprio vivino al braccio, mancava un pelo che non gli tocassi la pelle.

Uscì da quella panetteria sistemandomi il cappello e andai verso casa.

Vidi Rosalia nel mio giardino con una vestaglia trasparente dalla quale si vedeva la sua biancheria, stava sorseggiando un bicchiere di vino seduta al sole vicino Principe e Principessa.

Rimasi seduto ad un bar dal quale avevo la visuale su casa mia, ma che da casa mia lei non aveva la visuale sul bar.

Mi feci portare un sigaro e rimasi a guardare, mi sembrò strano che mia sorella si fermasse a dormire a casa mia, non che avessi qualcosa in contrario.

Quel tizio al quale spacchai la vettura abbracciò mia sorella da dietro baciandogli il collo.

Capì allora perché rimase a casa mia a dormire.

Casa mia non era un rifugio per le sue avventure, mi incazzai tantissimo. Questa volta per me poteva andare pure con i barboni, infondo non erano affari miei.

Deciso andai verso casa mia e feci segno ai cani di stare in silenzio, Lolita e il tizio quando mi videro rimasero pietrificati perché pensavano che ero in garage.

"Fuori o vi sparo, e sono serio"Alzai la mia camicia facendo intravedere la pistola.

"Sei un psicopatico!" Urlò lei trascinando quel babbo, che tra l'altro non ebbe nemmeno il coraggio di ribattere.

Sì lo so, ero violento e forse un po' folle.

Ma avevo un cuore dopotutto. E le palle.

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