Vanessa

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Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all'uomo, tanto più l'uomo reagisce in modo violento.
MICHELA MARZANO, Sii bella e stai zitta

Pure ci tenevo troppo alla libertà per rinunciare a cercarla liberamente.
SIMONE DE BEAUVOIR, La forza delle cose

Il popolino ha smesso di ricordare e queste stesse parole verranno inghiottite dall'oblio, ma se Roccasirena non fosse il cumulo di macerie che è oggi, se ancora vi fosse vita in quel borgo e i gatti neri non danzassero intorno ai fuochi fatui, certamente si parlerebbe ancora del Monstrum – la terribile creatura che governò su quelle lande divorandone la linfa vitale – e della Belladifiamma.
Lui era un uomo, o almeno si dice fosse tale. L'ultimo della nobile casa Hartai. Era succeduto al padre come signore di quei luoghi e per un certo periodo di tempo tutto era sembrato andare per il meglio: il giovane lord si era mostrato giusto e caritatevole, sempre pronto a venire in aiuto dei suoi sudditi. Eppure, qualcosa consumava le sue notti, rendendole torbide e prive di sonno. Una sola vita da poter spendere su quella terra sembrava evidentemente troppo poco a quell'uomo che, con il trascorrere degli anni, si ritrovò ad essere terrorizzato dall'idea stessa della morte. E così, volse il suo sguardo sulla Belladifiamma.
Lei era una strana creatura, una donna dai lunghi capelli rossi ed una voce capace di ammaliare qualsiasi viaggiatore; forse per questo qualcuno diceva che discendesse dalle sirene. Abitava una torre solitaria, senza porte d'ingresso e con un'unica finestra – e non c'era anima capace di dire come e per quanto tempo quella creatura avesse vissuto in quel luogo: a memoria d'uomo, la torre c'era sempre stata e la Belladifiamma si era sempre affacciata al tramonto, irretendo i passanti con il suo canto.
Voleva la leggenda che, figlia delle sirene, essa stessa fosse dotata di poteri magici e che la sua folta chioma vermiglia, solitamente stretta in una treccia, venisse sciolta solo in rarissime occasioni, sempre provocando mirabilie. Così, se in paese arrivava notizia di un qualche miracolo o di una qualche tragedia, c'era sempre qualcuno pronto a saltar su:
«La Belladifiamma avrà sciolto i capelli» dicevano. E tutti erano d'accordo.
Nessuno conosceva il suo nome e dunque voleva la vulgata che chiunque fosse riuscito a farle rivelare questo segreto non avrebbe più dovuto temere la morte; ma guai a chi si fosse lasciato irretire dalla sua voce finendo per innamorarsene: l'amore non corrisposto lo avrebbe tramutato in un mostro insensibile ai sapori della vita, incapace di saziarsi, nemico della felicità.
Lord Hartai, tuttavia, aveva avuto molte donne e nessuna di loro era mai riuscito a conquistarlo; si riteneva – forse con qualche ragione – quello che si definisce con crasso eufemismo un uomo di mondo. Non temeva le insidie di un amore non corrisposto: era ancora abbastanza giovane, di bell'aspetto e nobile portamento. In più era ricco di una ricchezza inverosimile ma garbata.
Così accadde che al tramonto di un giorno qualsiasi, egli si recò alla torre solitaria che sorgeva a poca distanza dalla sua magione, per osservare la Belladifiamma affacciarsi alla finestra e udire il suo canto. E più che le parole o il suono di quella voce, fu la rossa treccia a colpirlo. La Belladifiamma era lì che cantava e gli ultimi raggi prima del crepuscolo si riflettevano sulla sua chioma e sembravano incendiarla di languide fiamme. Più che una treccia sembrava una colonna di fuoco. L'animo dell'uomo avvampò e per molti giorni di seguito il lord si appostò per ammirare la Belladifiamma, senza mai osare parlarle per timore di interrompere il suo canto.
Ma quando tornava alla sua magione, egli tornava ad essere un uomo disperato: aveva dimenticato il suo timore della morte, ma le sue notti erano adesso ancora più tormentate. Mangiava poco e dormiva anche meno, il suo volto smagrito era scavato dall'insonnia e dalla malnutrizione; ampi cerchi violacei contornavano gli occhi spenti. Le sue giornate trascorrevano in un uggioso grigiore, un'impaziente attesa rischiarata solo dall'approssimarsi del tramonto.
Finché, un triste giorno, egli decise di farsi avanti, non potendo sopportare di ammirare solo da distante quella chioma di fiamme che tormentava le sue notti.
«Buonasera, Belladifiamma» la salutò, ma lei non diede segno d'averlo sentito e continuò a cantare.
Lui rimase lì, ai piedi della torre ad ascoltarla, fino all'ultimo crepuscolo. Spentosi l'ultimo raggio di sole, lei rientrò e chiuse la finestra. Il lord, sconsolato, tornò alla sua magione.
La medesima scena si ripeté per i successivi sei giorni, sempre con lo stesso triste finale.
All'ottavo giorno, giunto il crepuscolo, la Belladifiamma smise di cantare ma, contrariamente a quanto era avvenuto fino a quel momento, guardò in basso verso quell'uomo miserrimo.
«Cosa cercate, signore?»
A Lord Hartai non parve vero di poter udire quella voce rivolgerglisi direttamente.
«Cerco di voi, mia signora» rispose, con voce tremante e cercando di ritrovare tutto lo charme di cui si era sempre fatto un vanto.
«E cosa desiderate?»
«Sapere il vostro nome, giacché sono giorni che vi odo cantare e vi ammiro dal fitto della boscaglia.»
«Non posso rivelarvi il mio nome» rispose la Belladifiamma. E così dicendo si ritirò nella torre.
Il lord tornò a casa macerandosi dell'insoddisfazione. Stava dimostrandosi una conquista assai più ardua di quello che si sarebbe aspettato, ma da giovane aveva letto dei grandi condottieri e sapeva che un assedio non si conclude mai in fretta. Tornò da lei il giorno dopo, e quello dopo ancora, ma la Belladifiamma non lo degnò più d'uno sguardo.
Fu allora in una notte più terribile di altre che il lord decise che l'indomani avrebbe lanciato il suo assalto ai bastioni della dama dai capelli di fuoco, vincendo le sue resistenze.
Il giorno successivo si presentò alla torre con il suo seguito al gran completo e dieci carrozze ognuna contenente doni per la Belladifiamma; il lord era paludato da vestiti d'oro e porpora e perfino i cocchieri indossavano livree in filigrana d'argento. Prima ancora che la Belladifiamma potesse intonare il suo canto, appena affacciatasi alla finestra, il lord le offrì tutto quanto aveva da offrire e anche di più – in cambio di una cosa sola.
«E cosa sarebbe, di grazia?» domandò la Belladifiamma.
«Il vostro nome» disse il lord.
«Non posso rivelarvi il mio nome.»
«Sono il signore di queste terre!»
«Questa torre era qui prima di vostro padre e lo sarà ancora dopo di voi».
«Ma io vi amo!» si lasciò sfuggire il lord, esasperato.
«Ma io no» replicò la Belladifiamma. E tornò all'interno della torre.
E da quel giorno, smise di affacciarsi al tramonto.
Il lord, dopo l'inatteso rifiuto, rimase attonito. Ogni suo tentativo era stato vano, si era lanciato da solo verso la propria dannazione. Fu così che il Monstrum sorse dalle ceneri dell'ultimo rampollo degli Hartai.
Per quanto l'indole dell'uomo fosse sostanzialmente crudele, gli insegnamenti che gli erano stati impartiti ne avevano fin lì mitigato la condotta: egli sapeva distinguere il giusto e l'ingiusto, riuscendo così a reprimere ciò che di terribile c'era in lui. Il padre, che aveva sempre saputo quale grumo di cattiveria si celasse nel cuore del figlio, lo aveva ammonito d'evitare le grandi passioni, conscio che queste avrebbero finito per abbattere gli insegnamenti, rivelando ciò che di torbido si annidava nel suo animo. Il Monstrum però necessitava d'essere nutrito costantemente e così di giorno il lord caritatevole e giusto alleviava le sofferenze che l'abiezione di cui era composto infliggeva nottetempo ai suoi stessi sudditi.
Trascorsero i giorni, infine i mesi. Il lord si consumava come un fiammifero e non c'era nulla che potesse saziare l'ingordigia del Monstrum, il suo famelico desiderio per quei capelli rossi – che si illudeva di amare tanto da avere a volte l'impressione di odiarli.
Un giorno gli venne alle orecchie la storia di un pazzo di un paese vicino, sempre ubriaco di vino e di chissà quali altre misture, che andava raccontando di essere stato una volta l'amante della Belladifiamma. Incredulo e tuttavia speranzoso – ché l'ossessione non conosce altra sconfitta da sé – il lord mandò a chiamare quell'uomo per interrogarlo. Quando glielo ebbero portato, lo squadrò con scarsa considerazione. Era quello un uomo non bello, né particolarmente attraente. Trasandato, e dal naso rubizzo tipico degli alcolisti. Aveva però degli intensi occhi verdi intarsiati di vita e lamine d'oro.
«Così tu saresti stato amante della Belladifiamma?» lo interrogò.
«Sì, mio signore.»
«E lei avrebbe amato te? Uno sputo d'uomo!»
«Non so se mi abbia mai amato, signore. Forse amava me, forse amava ciò che immaginava io fossi. O le storie che ero in grado di narrarle, le mie fantasie.»
«E conosci il suo nome?»
L'uomo scosse il capo, sconvolto dai singulti.
«Nessuno conosce il suo nome, ella non può rivelarlo ad anima viva. La torre che la rinchiude, inaccessibile per chiunque, crollerebbe.»
«Quella torre è lì da sempre!» replicò il lord.
«Perché la Belladifiamma è sempre stata al suo interno. Tiene a quella torre più che ad ogni altra cosa, perché è tutto ciò che le rimane dei suoi affetti più cari. Ha avuto molti amanti, uomini e donne, eppure a nessuno ha mai rivelato il suo nome.»
«Ma è una prigione!»
«No, è un amore. Non si può professare amore estorcendo quello altrui.»
«Ma io la amo! E devo averla!»
«Averla? Si può avere una magione, forse anche un villaggio. Ma un villaggio è un insieme di case. Non si può avere una persona, figurarsi un sentimento.»
Il lord, adirato, fece un passo indietro.
«Quest'uomo è pazzo! Io voglio salvarla dalla prigionia.» gridò.
«Forse! Ma voi siete più pazzo di me, se davvero non riuscite a distinguere l'amore dalla smania di possesso.»
Il lord chiamò le guardie. E di quel pazzo con gli occhi verdi nessuno sentì più parlare.
Trascorsero altre notti insonni per il lord, che aveva ormai smesso di recarsi alla torre solitaria.
Finché una notte, rotolandosi nel suo letto e incapace di prendere sonno, il Monstrum si decise. Avrebbe avuto ciò che desiderava. Chiamò i suoi servi e ordinò loro di preparare una scala, la più lunga che si fosse mai vista. I falegnami di Roccasirena lavorarono tre giorni e tre notti, ma riuscirono ad accontentare il loro signore.
Quella notte, fatidica e violenta, il Monstrum fece portare la scala alla torre solitaria e, armato d'una piccola ascia da falegname, prese ad arrampicarvisi. Ogni piolo lo portava più vicino al suo desiderio, e sentiva dentro di sé crescere il sapore della rivalsa.
Arrivato alla finestra, l'abbatté con due colpi decisi che risuonarono sul legno secco come scudisciate sul velluto. Entrò nella torre e persino l'aria parve vibrare il suo scontento.
Si trovava all'interno di una stanza perfettamente circolare, arredata con discreto gusto. Benché fosse notte, non c'era nessuno nel letto e l'unica porta era chiusa. Divorato dal suo progetto persecutorio, si mise a rovistare nell'armadio e nei cassetti, ché più della Belladifiamma, lo spingeva la necessità di trovare ciò che cercava: il nome, chiave dell'amore (e molto più, dell'odio). Infine, lo trovò.
Vergato a mano, sopra una lettera il cui sigillo non era mai stato aperto, in un inchiostro rossastro, era scritto: a Vanessa.
Le dita ossute e nervose come le zampe di un ragno spezzarono il sigillo. La torre tremò sdegnata e la porta alle sue spalle si aprì. La Belladifiamma lo guardava, ma non c'era amore né gratitudine in quello sguardo.
«Il tuo nome...» disse il Monstrum, lasciando cadere la lettera.
«Vanessa. Il mio nome è Vanessa» disse la Belladifiamma, con voce gelida.
«Ora puoi essere mia!» esclamò il Monstrum, gli occhi ardenti di giubilo.
«Non sarò tua. Né di altri, se è per questo.»
«Ma io ti ho salvata!» mugolò il Monstrum, al colmo della disperazione.
La torre tremò di nuovo. Calcinacci e mucillagini si staccavano dalle pareti, i mattoni sembravano gemere e tutto sembrava essere scosso dalla rabbia e dall'indignazione che emanava dalla figura di lei. La torre solitaria stava per crollare.
«Non mi hai salvata. Hai distrutto ciò che amavo, la mia sicurezza e la mia libertà in nome del tuo desiderio malato. Possesso, non amore. Infantile curiosità, non interesse.»
Il Monstrum non seppe cosa replicare, ritrovando in quelle parole il monito di quel pazzo che aveva fatto giustiziare.
Mentre tutto crollava intorno a loro, forse capì cosa c'era stato di tanto sbagliato in lui, di quale orrore si era reso capace pur di soddisfare un suo capriccio. Ma era già tardi.
«Mi ero già salvata da sola, molto tempo prima che tu nascessi. Hai avuto il mio nome, ma è tutto ciò che avrai da me.»
La Belladifiamma congelò il suo sguardo e, fremente di collera, sciolse la sua treccia.
E così oggi non rimane nulla della torre solitaria, e nessuno ricorda il nome degli Hartai.
E gatti neri danzano intorno ai fuochi fatui, lì dove un tempo sorgeva Roccasirena.

Indice dei Nomi InvisibiliWhere stories live. Discover now