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Oggi è l'ennesima giornata grigia della mia vita, e non parlo solo del tempo. Guardo in alto, non intravedo una singola sfumatura di cielo, oltre al fitto strato di smog che aleggia su Seoul.
Da quando ricordo questa città è sempre stata così, un po' come se quella coltre tossica la isolasse dal resto.

Mi capita spesso di fare questo genere di pensieri, dopotutto non ho poi molto da fare durante la giornata.
Mi alzo, sento i muscoli rattrappiti dal freddo e le ossa ammaccate dalla scomoda posizione che uso per dormire.
Recupero quindi quel che rimane del cartone su cui dormo, ormai tutto inzuppato dalla pioggia e dal ghiaccio mattutino di questi giorni di dicembre. Il bicchierino di plastica che ho davanti a me contiene appena 1000 won, quello che mi basta per comprare un panino al latte.

Quando le persone mi vedono entrare nei seven eleven della metropoli spesso mi evitano, mi rivolgono sguardi pesanti e parole amare che mi si incollano addosso, proprio come la nube di smog su Seoul.

Acquisto quindi quella che dovrebbe fungere da colazione, ma che dovrò farmi bastare per tutto il giorno. Quello che più mi rattrista della mia situazione è il non avere nessuna certezza, il non poter costruire piani futuri, perché niente per me è più incerto del domani.

Tornata al mio solito angolo di corridoio mi siedo a terra, sul mio cartone lercio e umidiccio. Ho scelto di "vivere" appena dietro a una porta della metropolitana, dove non c'è troppa corrente e il rischio di ammalarmi, o meglio, di peggiorare la mia febbre, è più basso.

Come ogni mattina incrocio migliaia di sguardi, odo miliardi di passi, ma alla fine sono comunque sola.
Apro la merendina, strappandone un pezzo con le mani, conservando il resto per le ore successive. Un gruppo di voci maschili, agitate e giocose, giungono alle mie orecchie, e subito dopo li vedo entrare dalla porta accanto alla quale sono seduta.
Tre uomini, sui trent'anni, che giocano a spintonarsi e a scambiarsi battute a sfondo sessuale, su chi di loro sarebbe stato il primo a finire a letto con la segretaria.
Non fanno caso a me, ma nell'enfasi del momento il più grande si sbilancia in seguito a uno spintone, calpestando gli stracci con cui mi vesto e il mio misero pasto.

Si gira verso di me, scuotendo la testa come se fosse stata colpa mia, quindi con il piede mi avvicina il panino che aveva schiacciato, sporcandolo e rendendolo quindi immangiabile, ma forse non per me.

<La tua maledetta merendina mi ha sporcato le scarpe di lavoro, te le farei leccare se non rischiassi di peggiorare la situazione.> mi sputa acido quell'uomo.

I suoi lineamenti erano quasi felini, la corporatura sana e forte.

<Scusami.> riesco a dire soltanto, non volevo finire in altri guai.

Li vedo così allontanarsi, e nella mia testa si insedia ancora una volta il pensiero del mio incerto futuro.

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Ciao a tutti, ho deciso di scrivere questa storia prendendo spunto da una scena che ho visto qui nella metropolitana di Seoul, speso che vi piaccia -xx

•| CLOCHARD |• L.J.H. Onde histórias criam vida. Descubra agora