UNO

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Cesare

Era stata la cosa più difficile che avessi mai fatto. Spezzare il mio cuore e quello di Camilla nello stesso momento era stato come morire centinaia di volte. Vederla sparire nella notte mi aveva distrutto dentro.

Mi portai una mano agli occhi per ricacciare dentro le lacrime. Duchessa mi fissò e iniziò a piangere anche lei. Appena si raddrizzò e iniziò ad abbaiare contro un cespuglio, mi misi in allerta. Udii un battito di mani e poi uscì allo scoperto.

«Molto bene, ben fatto Cesare», disse Discordia avanzando verso di me. «Devo ammettere che per un momento pensavo non ci saresti riuscito invece... complimenti, ti meriteresti un Oscar... hai quasi spezzato il cuore anche a me!», esclamò ridendo.

Lo fissai serio, la mandibola serrata e con uno sguardo di ghiaccio. «Ho fatto come mi avete chiesto, ora lasciatela in pace», dissi e lui sogghignò.

Senza rispondergli mi voltai e tornai assieme a Duchessa verso casa, con la consapevolezza che sarebbe stata al sicuro. Nessuno le avrebbe fatto del male, tranne il sottoscritto.


Due settimane dopo...

 «Perché non sei andato con tuo padre a prenderla?», mi chiese Ottavio lanciandomi la palla da basket che afferrai al volo.

«Credimi, è meglio così. Andarci avrebbe significato illuderla ed è esattamente l'ultima cosa che voglio», dichiarai lanciando a canestro.

 Ottavio annuì sconsolato, si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla. «Mi dispiace cugino.»

«Anche a me.»

Quella notte non rincasai subito. Mi fermai in auto, parcheggiato all'ombra di un albero. Dal posto di guida riuscivo a vedere la camera di Camilla. La luce era accesa e io me la immaginai mentre si cambiava d'abito. Dio quanto avrei voluto essere lì assieme a lei. Mi sentivo come quel cretino di Romeo, con la differenza che io avevo rinunciato all'amore della mia vita. Non avrei sfidato la sorte, non avrei scalato le mura per raggiungerla perché la cosa che desideravo di più al mondo era tenerla al sicuro. Appena la luce si spense espirai tutta l'aria dai polmoni e due ore dopo decisi di entrare.


Il mattino seguente mi svegliai tardi, l'aver aspettato ore sotto casa non aveva certo giovato il mio riposo. Scostai le coperte e scivolai fuori dal letto. Presi l'asciugamano e mi diressi in bagno per fare una doccia. Posai lievemente la mano sulla maniglia, chiusi gli occhi immaginando di trovarla dall'altra parte esattamente come la prima volta che la sorpresi nella doccia. Avevo finto di non averla notata, ma la verità era che non ero riuscito a togliere lo sguardo dal suo corpo nemmeno per un istante. Nelle notti seguenti mi ero immaginato come dovesse essere toccare quella pelle morbida e baciarla dappertutto.

Fare la doccia tra quelle mura fu difficilissimo. Ogni volta che chiudevo gli occhi mi tornavano in mente le immagini di noi mentre ci amavamo, le sue espressioni mentre godeva. Mi lavai il più in fretta possibile per poter uscire da quell'inferno personale.

Corsi in camera mia e mi infilai il primo paio di jeans che trovai nell'armadio. Il denim era chiaro, con degli strappi sulle ginocchia. Pensai fosse appropriato dal momento che il mio cuore era nello stesso stato.

Mi fermai sulla soglia della cucina indeciso se varcarla o meno.

«Dai, avanti Cami! A me puoi dirlo. Com'è stato vedere Filippo vestito da nonna?», chiese Ale sogghignando.

Filippo sbuffò. «Non ero affatto una nonna, bensì una ragazzina molto carina.»

«Carina? Credo che tu ti stia un po' troppo sopravvalutando!», scherzò Camilla ed io, al suono della sua voce, mi sentii stringere lo stomaco. Aveva senso dell'umorismo nonostante il tono piatto della voce. «Grazie per essere venuto a prenderci ieri, è stato carino da parte tua», mormorò ad Alessandro.

«Be', era il minimo. Era ovvio che sarei venuto», ribatté quest'ultimo.

«Non così scontato per tutti», bofonchiò Filippo rivolgendosi al sottoscritto.

«Fili...», cominciò Ale pronto a difendermi.

 Ma Filippo lo fermò. «No Ale! Non provare a giustificarlo, l'aveva promesso!»

«Basta!», gridò d'un tratto Camilla. «Basta... vi prego io... non ce la faccio... non ora... per favore non parliamone più, okay?», propose e i gemelli accettarono.

Mi staccai dalla parete e uscii di casa. Mi sedetti sui gradini del portico tentando in tutti i modi di trattenere le lacrime. Erano passati anni, dal funerale di mia madre, che non piangevo. Credevo di non sapere più come fare, ma a quanto pare era come andare in bicicletta. La porta si aprì e Alessandro mi passò accanto senza degnarmi di uno sguardo.

«Pensi che riuscirai più a rivolgermi la parola?», domandai fissando la ghiaia sul terreno.

 Ale si avviò verso la moto, alzò le spalle e si voltò verso di me. «Vuoi la verità? Non lo so, so solo che sono incazzato da morire con te e Filippo più di me, quindi ti conviene andare a prendere Ottavio e Cecilia perché tanto non verrà in auto con te, nessuno dei due verrà con te.»

Annuii e lo vidi allacciarsi il casco e montare in sella. Chiusi gli occhi e facendo roteare le chiavi dell'Audi attorno all'indice, salii in auto, misi in moto e andai a prendere i miei cugini.

E' sempre bello averti intorno (THE ROSSI'S SERIES 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora