IX

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Tre giorni dopo mi svegliò il rumore del citofono. Mi trascinai stanco vicino la porta.

«Chi è?»

«Sono Cam, apri.» Feci scattare il portone e lascia la porta d'ingresso socchiusa così da tornare con la faccia sui cuscini del divano.

«Hale, questo posto fa schifo» fu la prima cosa che disse quando entrò in casa chiudendosi la porta alle spalle.

«Mmmmh» farfugliai senza muovermi. La sentii appoggiare la borsa e il cappotto sul tavolo e tirare su le tende facendo entrare fasci di luce bianca.

«Dio mio, da quanto tempo non esci?» Non risposi. Lei aprì due balconi per cambiare l'aria. Riempì una brocca d'acqua e la distribuì tra le piante che ne avevano visibilmente bisogno. La sentivo muoversi da una parte all'altra dell'appartamento.

«Cam, fermati» la pregai. Lei venne a sedersi di fianco a me.

«Senti, non puoi continuare così» disse.

«L'ho incontrato» confessai. Lei non parve particolarmente stupita.

«Anche io l'ho visto.»

«Che cosa?!»

«Che ti aspettavi, scusa? Faccio la detective di professione. Volevo vederlo. Come ti è sembrato?»

«Vivo» dissi ironicamente ma senza sorridere. «E felice.» Lei si incupì.

«Potresti provare a parlargli» consigliò. Non me la sentii di tornare sull'argomento Sono la causa della sua quasi morte e rappresenterei un pericolo per la sua vita.

«Non so se è una buona idea.»

«Ho scoperto che ogni venerdì sera suona da Brandy, il bar sulla 84esima ad Est. Potresti andarci stasera.» Quella era la prima vera novità nella nuova vita di Stiles.

«Va bene» dissi ma non avevo nessuna intenzione di andarci, stavo già abbastanza male così.

«Adesso devo andare, promettimi che metterai un po' apposto.»

«Promesso» e riprese in mano borsa e cappotto e andando via lasciò una scia di profumo.

Impiegai un paio di ore per convincermi ad alzarmi e solo quando ci riuscii mi resi conto delle condizioni pietose del mio appartamento. Raccolsi prima tutta la spazzatura (cartoni di pizza e scatoli di take-away principalmente) poi lavai i piatti sporchi e le tazze che usavo per la colazione (non ne avevo più di pulite) che strabordavano dal lavandino. Infine raccolsi i panni sporchi sparsi in giro e li misi nella cesta per il bucato. Feci una doccia infinita e scesi nella lavanderia nel seminterrato con i gettoni in tasca. Non facevo una lavatrice da settimane. Riempii il cestello capo dopo capo fino a quando non mi passò per le mani quello che mi fece sussultare per un secondo: il pantalone che indossavo la notte dello scontro con il Ghul.

Ma era impossibile, mi dicevo, una fantasia mi saltellava come un grillo nella mente.

Con un gesto lentissimo portai la mano nella tasca destra anteriore del pantalone nero, macchiato di sangue in alcuni punti e sporco di terriccio in altri. Sentii il formicolio della carta sotto i polpastrelli. Tirai fuori il pezzo di carta come se stessi disinnescando una bomba, e lei, la bomba, era proprio lì nelle mie mani: il tre fogli pentagrammati dal titolo What was left behind. Mi sforzai di fare respiri profondi. Come diavolo era possibile? Se in quella linea temporale non ci eravamo mai conosciuti perché lo spartito era lì? Sentii la testa girarmi. L'ennesimo scherzo del destino? Adesso una rabbia irruenta stava prendendo il sopravvento. Non bastava quello che avevo subito? Chiamai Walgreen che rispose al terzo squillo.

What Was Left BehindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora