𝐜𝐡𝐚𝐩𝐭𝐞𝐫 𝟐𝟑 ~ 𝐎𝐧 𝐃𝐞𝐚𝐭𝐡 𝐚𝐧𝐝 𝐃𝐲𝐢𝐧𝐠

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Roxy impiegò tutte le proprie forze per affrontare la situazione. Si ricordò di un libro letto quasi per sbaglio al terzo anno. "On Death and Dying" della Ross. La copertina cupa di quella psichiatra babbana aveva attirato subito la sua attenzione, tanto da convincerla a dedicare a quel volume qualche ora del proprio tempo. Ricordava perfettamente il concetto chiave che la svizzera mirava ad esprimere: la schematizzazione del dolore nelle sue fasi.

Shock.
Roxanne non aveva idea di come comportarsi. Nei giorni seguenti si recò alle lezioni, ma non partecipava realmente, i suoi pensieri vorticavano in un limbo. Quando tornava in dormitorio non studiava, non mangiava, semplicemente restava distesa sul letto, non sapeva nemmeno lei a fare che cosa.
Ogni volta che vedeva Atlas e Annabeth anche solamente tenersi per mano, il suo cervello le ordinava di restare impassibile e distogliere lo sguardo. Dunque si concentrava su qualche dettaglio di un qualsiasi oggetto davanti a sé, e lo fissava intensamente. Poi contava fino a 10 per più volte fino a che i due cugini non si allontanavano. Aveva sviluppato una sorta di disturbo compulsivo, rigorosamente accompagnato a una routine in grado di farle evitare il più possibile il contatto con sua sorella e At.
Non sapeva più che giorno o che ore fossero, non le importava. Non le importava più di niente e nemmeno lei sapeva spiegarsi perché si fosse ridotta così. Inerme.

Rifiuto.
Riuscì finalmente a comporre una frase di senso compiuto, dopo una settimana di quasi assoluto silenzio interrotto solo da qualche sporadico singhiozzo.
Pronunciò un netto <<no>> di fronte ad un Atlas sempre più confuso.
<<Che succede Roxy?>> chiese preoccupato di vederla in quello stato da un po' di giorni. Ma lei non rispose. Chiusa in dormitorio, accompagnò altre negazioni ad un'amara risata.
<<Mi stanno prendendo in giro, non ha senso. Non è possibile>>
Si rifiutava di credere a ciò che le stavano facendo passare quei due. Come aveva potuto sua sorella che la conosceva da una vita non accorgersi dei sentimenti che provava per Atlas o dei chiari atti compiuti unicamente per ricevere attenzioni da lui?

Senso di colpa.
Dovette ricredersi. Passò così tanto tempo a riflettere al punto di diventare paranoica. Effettivamente tutta quella situazione era colpa sua, e se non completamente lo era in parte.
Lei era diventata sua amica. Lei si era affezionata. Lei si era innamorata. Lei lo aveva baciato. Aveva fatto tutto da sola. Atlas nemmeno ricambiava, e ultimamente aveva occhi solo per la sorella. Sembrava per la prima volta aver riposto interesse in qualcuno.
Se lei non si fosse invaghita del cugino non sarebbe successo niente di tutto ciò, ora starebbe sorridendo felice, magari a divertirsi al fianco di Maia, che in quel momento la stava lasciando sempre più spesso da sola pensando di farla riflettere meglio. Tuttavia Roxy non aveva affatto bisogno di stare sola, ma l'esatto contrario.

Paura.
Sostituì tutte le altre emozioni in poco tempo. Era forte e le pulsava nelle tempie.
La notte non riusciva a dormire per gli incubi. Temeva il futuro e ciò che non sarebbe più riuscita a fare a causa della sua stupida abitudine di affezionarsi a qualcuno. Atlas non era un semplice "qualcuno", era speciale e meritava il meglio. No, non meritava affatto il meglio, l'aveva fatta soffrire più volte ma lei continuava a dargli fiducia.
Ecco il terrore del drago che tornava a scatenarsi impetuoso. Nessun eroe a salvarla.

Rabbia.
Successivamente si presentò anche la rabbia. Strappò altre pagine dal libricino, ruppe altre lampade. Un giorno fu costretta a correre a perdifiato nella foresta dietro al Lago Nero per sfogarsi. L'accesso a quel luogo era negato agli studenti, ma a lei importava ben poco. Non aveva mai sentito prima il bisogno di lanciare incantesimi contro qualunque cosa le capitasse a tiro. Quel pomeriggio avrebbe distrutto il mondo intero, anche lui, la fonte dei suoi problemi.
Con una forza di volontà che non sapeva di avere, si sfogò in solitudine, piangendo e gridando, riuscendo a tarda sera, sfinita, a mettere fine alla sua crisi.

Depressione.
Il periodo peggiore.
Fu più lungo del previsto, e più demoralizzante di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Aveva smesso di mangiare, di presentarsi a lezione. La sua migliore amica la rassicurava ogni giorno, restandole vicino e consolandola.
Nonostante ciò, Roxanne si chiudeva sempre di più in sé stessa.
Con la scusa di una forte influenza, Maia giustificò l'assenza dell'amica a chiunque facesse domande, incluso suo fratello. Una mattina si presentò in dormitorio, ansioso di conoscere le condizioni della bionda. Negli occhi di Roxanne apparve un guizzo di felicità alla sua vista, ma della durata di un attimo, necessario a farle comprendere il suo errore. Era ancora felice di vederlo dopo tutto quello che le stava facendo passare? No, non lo sarebbe più stata. Si impose di cambiare per sé stessa, per dimostrare che sapeva gestire le sue emozioni e che non si sarebbe lasciata abbattere. Non da lui. Non in quel momento.

Accettazione.
O meglio rassegnazione.
Sua sorella era stata migliore di lei in questo, nella conquista del ragazzo a cui entrambe aspiravano. Annabeth aveva vinto, ma la sua vita non dipendeva da ciò. Si alzò dal letto, uscì nel cortile, fece due chiacchiere con chi non la vedeva da quasi due settimane, ricominciò a frequentare regolarmente le lezioni.
Non era felice. Questo termine era un lusso che ancora non poteva permettersi. Più che altro si era arresa con Atlas. Non voleva né aveva più forze di combattere per qualcuno che non ricambiava i suoi sentimenti.

Intanto, il libricino dei due cugini, quello con cui avrebbero dovuto comunicare in momenti come quello, se ne restava immobile sotto la crescente polvere, con le pagine strappate che iniziavano a ingiallirsi.

𝐃𝐞𝐚𝐫 𝐀𝐭𝐥𝐚𝐬...Where stories live. Discover now