~Capitolo 8~

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ATTENZIONE IN QUESTO CAPITOLO CI SARANNO SCENE DI VIOLENZA

Angelica

Quando Beck se ne andò rimasi da sola con i miei pensieri. Seduta sulla piccola brandina che fungeva da letto, tentavo di far abituare i miei occhi all'oscurità, in caso un ragno demoniaco decidesse di saltarmi addosso per sbranarmi con le sue piccole tenaglie.

Noah era ancora ipnotizzato e ammanettato alle sbarre, con gli occhi vitrei e un'espressione assente. Sperai che l'effetto dei poteri di Beck durassero per tutto il tempo che sarei rimasta lì. Ero sicura che, se fosse riuscito a liberarsi, non sarei riuscita a difendermi da qualunque attacco da parte sua. Non ero come le protagoniste dei film d'azione, che riuscivano a mettere al tappeto un grazie a un cavatappi.

«In effetti penso che avresti dovuto partecipare a quel corso di autodifesa in seconda media.» Sobbalzai quando sentii quella voce nella mia testa. Stavo diventando pazza? Mezza giornata all'Inferno e già iniziavo a sentire delle presenze nella mia mente?
«Ho sempre saputo che non eccellevi per intelligenza, ma non riconoscere nemmeno la voce della tua coscienza...»
«Come potrei riconoscerti? Non ti ho mai sentita.»
Se l'energia negativa dell'Inferno già mi portava a discutere con me stessa, non immagino il resto.
«Ed ecco perché sei finita qui, se mi avessi ascoltata più spesso... »
«Sì, sicuramente, coscienza. E perché adesso ho il privilegio di sentirti?»
«Perché quando una persona muore l'ostacolo del legame tra anima e mente, cioè il tuo corpo, si disgrega. Quindi adesso puoi anche parlarmi.»
«Che fortuna!» pensai ironica.

Anche se non poteva sbuffare, sentii chiaramente la disapprovazione della mia coscienza.
«Noto con rammarico che la tua inopportuna ironia è sempre viva e vegeta.»
«E questa sarebbe una battuta? Perché non è divertente scherzare sulla mia morte.»
«Sono io che decido cosa è divertente. E adesso basta parlare! Riposati fino a quando quella specie di energumeno è ancora sotto il controllo di quel bell'angelo.»
«Innanzitutto io non prendono ordini da te... cioè da me... vabbè hai capito. E seconda cosa vedi di dimenticarti di Beck, non so ancora se mi posso fidare.»

Attesi diversi attimi, ma non sentii risposta. Sospirai, litigare con me stessa mi aveva sottratto ultime energie. Decisi di seguire il consiglio della coscienza e, dopo essermi assicurata che Noah fosse ancora imbambolato, mi distesi sulla brandina. La paura venne sovrastata dalla stanchezza e crollai addormentata.

Un sinistro tintinnio mi risvegliò. Con la mente annebbiata, gli occhi appannati e il cuore che iniziava ad accelerare i suoi battiti, fissavo la parete in penombra verso cui ero rivolta. Un leggero tonfo metallico e un sospiro mi fecero intuire che Noah si era risvegliato. Imprecai mentalmente e iniziai a ragionare.
«Che cosa faccio?!»
«E lo chiedi a me?!» mi rispose prontamente la mia coscienza.
«Sì! Non sei te quella con le idee?»
«Ignoralo, magari si è dimenticato della tua presenza.»
«Non credo funzionerà.»
«Tu fallo e basta!»

Rimasi immobile, ogni muscolo era teso, mentre tentavo di respirare in silenzio. Nella calma della notte, anche un minimo sussurro sarebbe suonato amplificato al massimo. E fu proprio grazie a quel silenzio che riuscii a sentire i passi del carcerato, che si stava muovendo alle mie spalle.
Spalancai gli occhi nel buio, quando intuii che puntavano verso me. E fu allora che commisi l'errore. La mia indecisione ancora una volta aveva giocato contro di me, mentre davo al mio nemico tutto il tempo per fare la sua mossa.

Una mano mi tappò la bocca, mentre l'altra mi torceva violentemente il braccio dietro la schiena. Urlai di sorpresa e di dolore, mentre cadevo dalla brandina e sbattevo la testa sul pavimento di pietra.
Fui subito invasa da dolore che appannò anche i miei pensieri. Solo l'istinto mi aiutò a reagire, mentre consideravo la mia situazione.
Avevo un braccio bloccato sotto al mio corpo, il ginocchio dell'uomo sul petto e una delle sue mani tra le cosce, mentre l'altra mi tappava la bocca.

Istintivamente morsi a sangue il palmo del mio aggressore, mentre mi dimenavo sotto la sua presa. «Stai ferma!» ringhiò dandomi uno schiaffo in pieno viso.
Strillai di dolore e gemetti mentre la pressione sul mio petto diventava così opprimente da lasciarmi senza fiato. Avrebbe potuto soffocarmi, se solo avessi fatto il movimento sbagliato.
Così lo graffiai, sul viso e sul collo, morsi le sue mani quando cercava di avvicinarsi nuovamente al mio viso, tentai di allontanarlo, ma il mio corpo non riusciva a sfuggirgli.
Sentivo i suoi grugniti di dolore, ma niente sembrava efficace contro la sua forza. Niente poteva scalfirlo abbastanza da lasciarmi la possibilità di liberarmi.

Fino a quando non mi diede un pugno sullo zigomo, per poi stringermi il collo in una morsa mortale. Urlai ancora, sempre più dolorante, mentre il sangue invadeva la mia bocca e colava lungo la mascella. Lacrime e sudore si mischiarono al liquido scarlatto che ormai imbrattava anche la mano del mio aggressore.
«Brutta troia, pagherai per quello che hai fatto.»

Ansimai, mentre agitavo le gambe in ogni direzione. Tutto pur di resistere. Incassai una ginocchiata allo stomaco, talmente violenta e improvvisa da farmi interrompere la mia lotta disperata.
«Vediamo se adesso ti sei arresa, puttana.» fece scivolare la gamba che mi premeva sul petto all'addome già dolorante. Capii che era un avvertimento: se l'aveva fatto una volta non avrebbe avuto problemi a ripeterlo. A quel punto, compresi di aver perso. Le mie forze mi stavano abbandonando, non c'era più niente da fare. Mi appellai alla mia ultima e improbabile risorsa.

«Coscienza! Aiutami! Per favore!» Nessuna risposta.
«No! Ti prego... Non abbandonarmi!» Piangevo, pur rimanendo immobile, spaventata da possibili reazioni del mio aggressore. «Ci sono io con te Angelica.» all'improvviso una voce che non avevo mai sentito rimbombò nella mia mente. «Chi sei?»

«Non ha importanza adesso. Io ti posso aiutare, ma devi fidarti e lasciarmi il controllo.» Avvertendo le mani del mostro che risalivano il mio corpo con impeto e violenza capii che non era il tempo per le domande. «Salvami.»

I miei occhi si riaprirono di scatto, mentre avvertivo una scarica di nuova energia attraversarmi. La mia mente era lucida, ma non avevo più il controllo su niente.
Ero una semplice spettatrice.
Le mie braccia si mossero da sole e, con una forza sovrumana, respinsero l'uomo, facendolo sbattere contro le sbarre della cella, provocando uno stridio assordante. Subito mi rialzai ma, a quel punto, tutto cambiò.
Mi avventai contro l'uomo, prendendolo per la maglietta stracciata, e inchiodandolo al terreno.
La situazione si era capovolta, nonostante la mia volontà di allontanarmi il prima possibile da lui. Non volevo toccarlo o avere altri contatti con lui, ma la voce che era nella mia testa la pensava diversamente.

«Io ti ho aiutato, ma adesso tu seguirai i miei ordini.» e le mie mani subito attorniarono il collo dell'uomo. «E' ora di uccidere.» sussurrò bramosa
«Stringi! Voglio vedere la vita abbandonare i suoi occhi.»
E la presa aumentò. Il viso diventò paonazzo, il collo si tinse di viola, la bocca si deformò alla disperata ricerca d'aria, il corpo fu scosso da spasmi incontrollati.

«Basta!» la voce della mia coscienza era così flebile... «Continua!» gli ordini dell'altra entità erano così forti...

Gli occhi dell'uomo erano già fuori dalle orbite, quando gli diedi il colpo finale. Torsi il collo, spezzandone l'osso, per poi scoppiare in una risata, così crudele da non poter essere umana. Solo allora tutta la forza e l'adrenalina scomparirono e mi sembrò di aver ripreso possesso di me.

Con un salto mi allontanai dal corpo del carcerato, rannicchiandomi in un angolo della cella. Degludii, inghiottendo sangue e lacrime. L'eco della risata eccheggiava ancora tra i cunicoli. A testimonianza di ciò che era appena accaduto c'erano solo un cadavere e le mie mani, sporche. Sporche come quelle di un assassino.

Angelica all'inferno {IN REVISIONE}Where stories live. Discover now