Irlanda 1862

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A ben guardare era cresciuto abbastanza bene per quello che aveva mangiato, sempre poco. A quattordici anni misurava un metro e settantotto, promettendo di più. Si faceva la barba con un pezzetto di vetro già da 18 mesi. I capelli e i peli sul corpo erano di un biondo brillante, intenso con gli occhi verdi come il riflesso sulla vegetazione delle scogliere, la corporatura normale, né troppo magro né troppo corpulento, slanciato.

Una voglia violacea

come un tralcio di vite, sembra in rilievo, ma non è così

gli correva dietro alla nuca sul collo da quando aveva memoria.

Un giorno si era svegliato con il solito sogno nella mente quando a un certo punto aveva visto una sorta di fuoco fatuo, di un blu come i fulmini nel cielo nella notte, mai visto prima. L'aspetto era come di un gigantesco uccello con lunghissime zampe e le ali diafane di una libellula o simili.

Quelle ali che sembrano di zucchero...come vorrei assaggiarle, sembrano impalpabili.

Lo aveva attraversato, fra sterno e fegato. Il freddo era diventato insopportabile.

Sono i piedi scalzi fuori dal pagliericcio.

Però lo sentiva che era diverso. Questa volta si era svegliato sognando di correre via.

Davanti alla sua porta, aperta, sua madre parlava con qualcuno. Era alto, un uomo arrivato con il carro. Era inglese dall'accento e molto altezzoso. Stava spiegando che la loro casa e tutto quello che avevano tecnicamente sorgeva sulla sua terra, che era sua perchè l'aveva comprata in patria. Nessuno gli aveva detto che lì ci abitava qualcuno? No. Nessuno aveva spiegato che se c'erano loro non poteva essere di altri? No. Ma poteva interessargli, magari, dato che si erano presi il disturbo di costruire quella casa, di abitarla, di farci dei figli- due dei quali seppelliti sul retro-e di riempirla delle loro scarne reti e piccolo orto, che forse doveva ripensarci? Neanche un po'?


Fu così che vennero cacciati.

Come uccelli che nidificano sui caminetti, buttato via il pagliericcio, il loro nido, la loro esistenza in due teli annodati con tutte le loro cose.

I genitori di Newt optarono per la cosa più semplice, che era vendersi tutto, barca compresa e andare per mare verso il paese da cui veniva quel tizio. O trovarsi un altro posto lì.

Una giornata di estenuante cammino le gambe a pezzi, i piedi pieni di vesciche per le calzature inadeguate. Al tramonto, dormivano tutti sotto a un grosso faggio. Newt sentì qualcosa. Era come un cavallo molto alto e scuro, faceva come...il rumore dei rospi quando saltano, un suono umidiccio.

Lo seguì pensando che fosse di qualcuno, con quella criniera lucente che intravedeva in lontananza. Tutto ad un tratto venne afferrato da qualcosa di viscido ai piedi e cadde per terra, battendo fortissimo la testa contro un sasso. Il sasso si spaccò come un melograno: al suo interno c'erano gemme dorate, scintillanti. Non fece in tempo a riempirsene di corsa le tasche pensando di urlare il nome dei suoi genitori. Qualcosa emerse, una specie di cintura. Se mai uno come lui avesse provato come fosse la sensazione di quella stoffa nelle mani,avrebbe detto di seta. Di sicuro era lucida e liscia, lo avvolse intorno al collo muovendosi sottilmente, una specie di cosa vivente.Gli sgusciava fra le dita non riusciva a trattenerla, come fumo.

La cosa buffa era che la cintura sprofondava nella terra, verso le profondità. Newt pensò che in quel forellino si sarebbero chiuse le due estremità della corda e ritirandosi come stava facendo,trainandolo millimetricamente con la faccia verso terra, lo avrebbe impiccato. Morire strangolato a terra da una assurda pianta, con le tasche più piene di quanto avesse mai posseduto, era un pensiero ridicolo. Lo fece arrabbiare, tanto che iniziò a scavare.

Scavava più veloce che poteva attorno al forellino e la corda sul suo collo ormai era tutt'uno, non era riuscito a liberarsi con nessuna torsione o contorsione.

Non è possibile!!

Con la faccia già viola dal dolore e dalla sofferenza, si sentì deformare la guancia schiacciata letteralmente contro le rocce umide.

«Che morte stupida!» esclamò e proprio in quel momento, battè forte interra, tre volte con i palmi, a manifesta rabbia per la sua sorte.

La terra con un boato si spalancò in un tunnel, profondo fino alle viscere. Ne emerse un odore profondo, come di antica cripta, quel sentore fradicio dell'erba appena tagliata. Non c'era vento ma sentì una corrente calda. Vi ricadde dentro, vedendo in un lampo il cielo sopra di lui farsi piovoso e scuro, le nuvole nascondere una luna piena, come vello su un falò. Le radici gli si conficcavano nei gomiti e contro l'osso sacro, mentre sprofondava.

I piedi scalzi, brache sporche e bisunte, troppo corte e senza l'orlo, una camicia ormai strappata che penzolava dal torace. Così conciato cadde al centro di una sala da ballo.
Sotterranea. Inarrivabile per il mondo del popolo di Sopra.

Irish FolkWhere stories live. Discover now