Faerie, nella tana.

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[Fernweh "Nostalgia di un posto in cui non si è mai stati"]

Era come nel sogno ma stavolta era vero. La folla che si stagliava aveva i più strani soggetti mai visti, alcuni con tentacoli in posti inauditi, altri con lunghe ali sulla schiena, come quelle di insetti, oppure occhi enormi e liquidi senza palpebre. Un paio persino zampe a mò di artigli di falcone.
L'abbigliamento era come non ne aveva mai conosciuto, eccentrico all'inverosimile. Una veste sottile copriva a malapena, con i suoi larghi spacchi, le forme di silfide di una ragazza con due piccole corna terminanti come le zampe dei coleotteri, una porzione di gonna gli strusciò la mano. Era calda.
Deglutì. Nessuno faceva caso a lui. Era convinto che dovessero pur averlo sentito, cadere dal soffitto. Alzò lo sguardo e nulla. Solo un tappeto erboso sul quale camminava una scolopendra gigantesca, con la corazza luccicante come quella di una coccinella e strisce scoiattolesche fra gli anelli. Si cacciò le mani in tasca e se ne rese conto. Le tasche erano vuote, fra parentesi.
Naturalmente, ci mancherebbe altro, con la mia fortuna. Devo averlo perso cadendo.

Dentro di sé sentiva una nostalgia crescere, qualcosa di viscerale. L'immagine migliore che potesse avere era di essere stato nelle brume per tutta la sua esistenza e di ridestarsi soltanto adesso a contatto con quella tana viva, dove le pareti al tatto si ritiravano al suo tocco e dove sotto ai suoi piedi nemmeno la terra risultava fredda. Persino la terra era un tappeto tiepido. Sfiorò una parete e questa si mosse, si ritrasse e recalcitrò riavvicinandosi come un puledrino dal muso vellutato in un tappeto di muschio. Sotto le sue dita era a tratti umida, ma mutevole, più brillante o meno a seconda del modo nel quale la toccava.
Camminando carponi rischiò di scivolare contro un tavolo fatto, sembrava, di radici nodose incurvate in un abbraccio fra tronchi tranciati. Non erano morti i seggi e le sedie, ma vivi come se niente si decidesse a morire, tutto si ostinasse a restare vivo, sopravvivendo a se stesso in forme ritorte e insolite.

Gli si avvicinò una creatura. Poteva essere un uomo dalla bellezza effeminata incredibilmente elegante o una donna stupenda con le maniere più decise e i tratti mascolini, qualsiasi cosa fosse, appariva come un corpo candido, longilineo, rivestito di pantaloni morbidi in velluto, un farsetto. Lo sguardo che ardeva di tre anelli concentrici, giallo, rosso e blu. Fiamma, fiammella, fuoco fatuo. Le labbra erano due lividi violacei, riflessi corvini nei capelli del più intenso livore, come un ematoma appena esploso sottopelle. Il suo profumo era il sogno di una notte estiva spesa nel modo più felice, mescolata al vischioso sentore dolciastro della putrefazione.
Senza una parola lo prese per mano, noncurante.

Gli voleva parlare. Chiedere perché si trovasse lì e sentendosi così. Non gli uscì un solo suono.
Al suo passaggio si spostavano tutti, sorridendo, con zanne sottili come puntaspilli.
Per qualche ragione, era convinto di sapere chi fosse quei che lo portava via.
Una minuscola tracagnotta gnometta sussurrando lo chiamò "Il Boia". Sì, era il boia.
Newt lo seguì fino a un tunnel, che conduceva a una stanza. La stanza non aveva una porta, ma una enorme ragnatela appiccicaticcia, che l'essere aprì con una mano guantata fino al gomito. Gli fece cenno di entrare.
Come nella tana di un coniglio, o di un toporagno, lo guardò fisso e obbedì.
«Finalmente ci incontriamo, figlio dei Sidhe.»
Deglutì «Credo di aver battuto la testa molto forte, prima»

La risata che fece gli diede la stessa sensazione di una tigre che si stesse stiracchiando, capace di balzare su una preda dal nulla.
«Ho...detto qualcosa di sbagliato? Signore?» molto incerto se dal tono si intuisse un sesso o qualcos'altro, puntando sulla parola Boia che pensava fosse più qualcosa di virile.
«Tua madre si invaghì di una creatura, come me, come quelle che hai visto. La conobbe nella sua forma più pura e bella, quella che poteva sedurla. Gli appartenne e allora...»
«Non parlare così, con quel tono...disgustoso, di mia madre! Non azzardarti a parlare di lei come se fosse...!» strinse i pugni saltandogli addosso.
Fu solo un momento. Di incapacità completa, fu come passarci attraverso. Luci lo accecarono da dentro gli occhi come se le palpebre non offrissero uno scudo da quella intensa luminosità.
Cadde di nuovo ma stavolta si svegliò subito, era già sveglio. Restò per terra a ricordare che quel rumore che sentiva era il cuore e che stava battendo troppo rapidamente.

«Sto...sognando. Questo è solo un sogno che sto facendo, non è vero?»
«No, Nephamael. E' il sogno che ha preso te»

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⏰ Last updated: Apr 02, 2020 ⏰

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